Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Diritti umani. Un approccio normativo per una questione di giustizia globale :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Diritti umani. Un approccio normativo per una questione di giustizia globale
Tesi di laurea

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

DIRITTI UMANI
UN APPROCCIO NORMATIVO
PER UNA QUESTIONE DI GIUSTIZIA GLOBALE

TESI DI LAUREA

Relatore: Prof. Fabrizio Sciacca
Correlatore: Prof. Matteo Negro


ANNO ACCADEMICO 2004-2005
Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2005

 
Sommario

Di fronte all'orrore del terrorismo globale e della guerra, i diritti umani possono essere la base di quella che John Rawls chiama una "società dei popoli ragionevolmente giusta" e il punto di partenza su cui costruire le istituzioni che assicurino la "nuova governance dell'era globale".

 
Indice dei contenuti
 
Introduzione

CAPITOLO I

Il problema della fondazione filosofica dei diritti
umani

1. Il mito della fondazione assoluta dei diritti umani
2. Alcune precisazioni linguistiche e concettuali
3. Alla ricerca di una definizione minima
4. Un punto di vista umano
5. L'approccio utilitarista
6. L'approccio dei beni primari di Rawls
7. L'approccio delle capacitazioni
8. Una definizione minima di diritti umani

CAPITOLO II

L'universalizzazione difficile. I diritti umani, di fronte al
fatto del pluralismo.

1. Il difficile cammino dell'universalizzazione dei diritti umani
2. Monismo, relativismo, pluralismo
3. L'universalismo alla prova: la sfida islamica
4. Conclusioni

CAPITOLO III

Estensione e confini del concetto di diritti umani

1. Forme dell'ingiustizia
2. La questione dei diritti sociali
3. Diritti sociali internazionali ?
4. Il problema del multiculturalismo
5. Critiche alla tradizione politica liberale
6. Una via liberale al multiculturalismo
7. I confini del concetto di diritti umani

CAPITOLO IV

SULLA LEGITTIMITÀ DEGLI INTERVENTI UMANITARI.


1. Il problema
2. Quali violazioni, sono veramente rilevanti
3. La guerra umanitaria. Un caso di guerra giusta?
4. I lati oscuri della guerra umanitaria
5. Una teoria dell'intervento umanitario giusto

Bibliografia
 
Abstract
 

Introduzione


Il tema dei diritti umani è al centro dell'agenda politica globale almeno dal 1948, anno in cui la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, venne approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Era ancora fresca la memoria dell'orrore dei campi di concentramento, di Auschwitz, della Shoah, della distruzione morale e materiale, causata dalla seconda guerra mondiale. In risposta all'esperienza della disumanizzazione assoluta, la comunità internazionale elaborò la dichiarazione del 1948, in cui venne sancito che ogni essere umano dovesse godere di diritti inviolabili che proteggessero la propria persona, per il semplice fatto di essere tale, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di ordine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (art. 1 Dichiarazione universale).

Un documento coevo alla dichiarazione universale, come la legge fondamentale del 1949 della Repubblica federale tedesca sorta dalle ceneri del regime nazista, conteneva anch'esso, un riferimento solenne al principio della dignità umana. Principio ripreso a distanza di più di cinquanta anni dal Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea dove si afferma che: "l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà" e dall'articolo I-2 dell'appena nata Costituzione europea, secondo il quale: "l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti ad una minoranza"[...] Un modo solenne di ricordare ai popoli europei, che i valori su cui si basa il processo di unificazione del vecchio continente, derivano dalla memoria del male assoluto della Shoah e dal superamento del mito della sovranità statale non condizionata da limiti di carattere etico.

Oggi l'ordine internazionale bipolare, vigente ai tempi dell'approvazione della dichiarazione universale, si è sgretolato. Il collasso del mondo comunista e la diffusione massiccia del nuovo "zeitgeist democratico" , sembravano le premesse necessarie per diffondere su scala globale il linguaggio dei diritti umani. La fine della guerra fredda, aveva infatti posto sul tavolo, problemi politici la cui natura etica era evidente. Questioni come i diritti umani, l'intervento umanitario, il trattamento dei rifugiati, la sostenibilità ambientale dei processi di sviluppo economico, emergevano prepotentemente come temi centrali dell'agenda politica globale, dopo che per quasi cinquanta anni erano stati sacrificati in nome degli interessi geopolitici delle due superpotenze. Sembrava che per la prima volta nella storia dell'umanità, non esistessero spaccature ideologiche fondamentali, in altri termini nulla di insanabile (divario economico a parte), pareva in grado di distinguere e contrapporre i popoli della terra.

Nel mondo post-guerra fredda, riaffiorava anche la possibilità che l'ONU, potesse ricoprire il ruolo di garante della legalità internazionale e di guida della comunità mondiale, che per più di quaranta anni gli era stato negato, a causa dei veti reciproci delle due superpotenze. La crisi irachena del 1991, in cui l'ONU aveva assunto un ruolo centrale, pareva confermare questa tendenza, e sembrò possibile costruire un nuovo ordine internazionale post-bipolare, in cui le Nazioni Unite potessero assumere il potere di sanzionare le minacce alla sicurezza internazionale e le violazioni dei diritti umani.

L'evoluzione successiva del sistema politico globale smentì invece, le ipotesi ottimistiche di chi dopo il 1989 riteneva imminente e inevitabile la "fine della storia", ed il trionfo del modello occidentale basato sull'economia di mercato e sulla liberal-democrazia.

Il "nuovo ordine internazionale," che il Presidente degli Usa George Bush Sr. voleva instaurare a partire dalla prima guerra irachena, risultò irrealizzabile senza un'opportuna riforma di istituzioni internazionali risalenti al modello bipolare di Yalta . Anche il tentativo compiuto dal suo successore Bill Clinton, di ricercare un maggiore multilateralismo e una condivisione degli oneri del governo mondiale fallì, e azioni come quelle che l'11 settembre 2001 hanno trascinato gli Stati Uniti e il mondo in un nuovo tipo di guerra rappresentano il prezzo di tale fallimento .

Nuovi fattori di tensione, quali l'emergere delle differenze culturali e del conflitto tra le civiltà, rendono instabile il terreno delle relazioni internazionali e difficile l'emergere di prospettive etiche universalmente condivise, ma non le negano del tutto. Anzi, di fronte all'orrore del terrorismo globale e della guerra, i diritti umani possono essere la base di quella che John Rawls chiama una "società dei popoli ragionevolmente giusta" e il punto di partenza su cui costruire le istituzioni che assicurino la nuova governance dell'era globale" .

Il tema dei diritti umani, che sarà l'oggetto della nostra discussione, rientra a pieno titolo nell'area di studi emergente, chiamata etica delle relazioni internazionali. Sebastiano Maffettone e Gianfranco Pellegrino, sostengono che: "l'etica delle relazioni internazionali prende le mosse dall'esistenza effettiva di problemi di natura normativa, sia giuridici sia etici in senso stretto, nell'arena internazionale, per vedere se è possibile comprenderli al meglio e talvolta ipotizzare loro soluzioni basate su principi teorici."

Si tratta, dunque, di utilizzare un approccio di tipo normativo, in un campo, quello delle relazioni internazionali, dominato fino a qualche decennio fa dalle teorie realiste. Il realismo politico internazionale è una corrente di pensiero molto antica, che affonda le sue radici in storici della Grecia classica come Tucidide, per passare da Machiavelli ed arrivare a teorici contemporanei come l'americano Hans J. Morghentau, l'inglese Martin Wight, il francese Raymond Aron. Secondo l'approccio realista alle relazioni internazionali l'unico criterio che le nazioni usano nei loro rapporti reciproci è l'interesse, inteso ora come interesse alla sicurezza, ora come interesse a estendere la propria area di influenza. Questo si verifica perché in mancanza di un organismo sovra-ordinato capace di regolare le controversie tra i soggetti del sistema internazionale, quest'ultimo assume una struttura anarchica inidonea ad avere un centro di potere, in cui ogni stato può sopravvivere e realizzare i suoi interessi soltanto agendo come garante di se stesso. La politica internazionale è caratterizzata dunque, dalla ricerca del potere, perché solo con il potere militare lo stato sopravvive e realizza l'interesse nazionale. In un quadro in cui i soggetti del sistema internazionali, cercano soltanto di accrescere il proprio potere, al fine di realizzare i propri interessi nazionali. Qualsiasi richiamo a pretese di tipo etico con valenza universalistica, è considerato dai teorici realisti, strumentale a ragioni di dominio e quindi da combattere come esempio di utopia pericolosa per la stabilità del sistema.

L'approccio normativo alle relazioni internazionali è il tentativo di superare la teoria realista, basandosi sul presupposto che esistano principi morali e sociali comuni, che rendono possibile la composizione pacifica dei conflitti d'interesse tra stati. Per citare ancora Rawls, il problema di fondo dell'etica delle relazioni internazionali, è trovare "una concezione politica del giusto e della giustizia valida per i principi e le norme del diritto e della pratica internazionale" .

Il tema dei diritti umani oggetto di questo lavoro, fa dunque parte, pur non esaurendole, di quelle che Salvatore Veca ha definito questioni di giustizia globale. Le questioni di giustizia globale, come: la necessità di una redistribuzione globale della ricchezza che riduca le diseguaglianze tra nord e sud del mondo; la gestione dei flussi migratori; la protezione dai rischi ambientali; la lotta contro le reti transnazionali del terrorismo globale; sono quelle che travalicano i confini nazionali e gli spazi locali per riferirsi a quella che Habermas ha definito la "costellazione post-nazionale" . La sfida che attende oggi un approccio di tipo normativo, è quindi, quella posta dalla necessità di riferirsi a criteri di giudizio e di valutazione etica non limitati a comunità chiuse ma validi al di là dei confini statali .

In questo lavoro la questione dei diritti umani sarà affrontata da un punto di vista fondazionale e filosofico. L'attenzione verrà posta sull'analisi dei problemi concettuali, ontologici ed etico-politici, che la questione pone sul tappeto. Un approccio di tipo normativo non è l'unico possibile, si può analizzare la questione diritti umani anche attraverso un approccio empirico che tenga conto delle peculiari condizioni storiche e dei problemi di ordine pratico, connessi alla realizzazione giuridica e politica dei diritti umani. Ma, utilizzare un simile approccio, significherebbe allontanarsi troppo dall'obiettivo di questo lavoro, che è quello di fornire ragioni e criteri per il giudizio etico che giustifichino l'adesione al linguaggio dei diritti umani. È chiaro che nel corso della trattazione non potremo esimerci dall'utilizzare l'approccio di tipo empirico, ma lo faremo soltanto quando sarà funzionale alla ricostruzione filosofica della nostra questione.

Il lavoro è suddiviso, in quattro capitoli. Il primo capitolo si occupa del problema della fondazione filosofica dei diritti umani. L'ipotesi che viene portata avanti, scarta la possibilità di una fondazione filosofica assoluta, per concentrarsi su una giustificazione dei diritti umani, come risorse a difesa della fragilità della condizione umana.

Nel secondo capitolo, viene affrontato il tema dell'universalizzazione dei diritti umani. L'argomentazione che viene avanzata, è che in un mondo caratterizzato da diverse versioni e visioni di ciò che è bene, ogni cultura deve esprimere la propria adesione al linguaggio dei diritti umani, in maniera confacente ai propri valori.

Il terzo capitolo, si sofferma sull'opportunità di estendere ai diritti sociali e ai diritti differenziati in funzione dell'appartenenza di gruppo, la categoria di diritti dell'uomo. L'analisi che viene portata avanti, mostra la necessità di individuare un nucleo minimo di diritti dell'uomo, che possa essere garantita in ogni stato, a prescindere dal livello di sviluppo economico. Per questo motivo, pur rispondendo a legittime richieste di libertà e di eguaglianza, i diritti sociali e i diritti differenziati positivi, che per essere realizzati necessitano di una prestazione da parte dei poteri pubblici e di risorse economiche rilevanti, non possono essere considerati diritti umani in senso proprio.

Infine, nel quarto capitolo, viene affrontato il problema di quali misure, sia legittimo intraprendere in caso di gravi violazioni dei diritti umani. L'ipotesi portata avanti, parte dal presupposto, che i cosiddetti interventi umanitari sono giustificati, soltanto se riescono a conseguire realmente, l'obbiettivo di minimizzare il numero delle violazioni dei diritti umani.

Norberto Bobbio, ha sostenuto che il problema di fondo relativo ai diritti umani è non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. Quello dei diritti umani, sarebbe dunque, un problema non filosofico ma politico. Siamo pienamente d'accordo con Bobbio, ma ci permettiamo di integrare il suo pensiero, dicendo che, se il compito della filosofia politica non è quello di trovare il fondamento assoluto dei diritti umani, essa non può astenersi dal ricercare di volta in volta buone ragioni per proteggerli.

 
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