Conclusioni
In un suo intervento nella Sala della Protomoteca, in Campidoglio, il Sindaco di Roma Walter Veltroni ha affermato che "il problema più grave della modernità è rappresentato dalla smoderata sperequazione della ricchezza mondiale" la quale causa una serie di "tragedie globali, come flussi migratori forzati da Sud verso il Nord, milioni di morti per malattie riconducibili alla malnutrizione, conflitti".
Questa è la caratteristica principale del mondo nel Terzo Millennio, nei confronti della quale è nostro dovere etico agire per il cambiamento.
Eppure la comunità internazionale sembra essere intenzionata a disinteressarsi, di fatto, di tali tematiche. Il governo italiano, il mio governo, per esempio, ha diminuito le quote di bilancio relative alla cooperazione internazionale, oggi il mezzo più efficiente per il riequilibrio della bilancia mondiale, e questa operazione cela una tendenza comune del mondo ricco nei confronti degli obblighi che dovrebbe avere verso l'intero pianeta. Gli impegni internazionali vengono regolarmente disattesi. A questo si è aggiunto il ritorno trionfante di un unilateralismo che, nel giro di pochi anni, ha spazzato via tutti gli sforzi compiuti in direzione di una comunità basata sul multilateralismo.
"Ha vinto la libertà" è lo slogan più ricorrente nei tempi recenti. Sarebbe meglio aggiungere a tale proposito una specificazione: ha vinto la libertà del più forte, a scapito della democrazia. Essa si presenta come la vera sconfitta, ridotta alla sola nozione di parlamentarismo, usata per giustificare ogni azione perpetrata anche al di là di ogni regola di diritto internazionale: le principali guerre di aggressione sono compiute oggi da Stati democratici avanzati, con i più alti livelli di sviluppo umano.
Di fronte a questo, l'organizzazione indicata a far operare gli Stati-nazione su un piano paritario, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, non ha la forza politica per imporre una linea che sia rivolta verso la difesa del bene comune dei popoli.
Sessant'anni fa, i devastati vincitori della Seconda Guerra Mondiale si riunivano a San Francisco per decidere di creare una organizzazione mondiale destinata, come avrebbe detto più avanti Henry Cabot Lodge, ambasciatore americano presso le Nazioni Unite, non "a condurci in paradiso", ma, caso mai, "a salvarci dall'inferno".
La fondazione dell'ONU poggiava sull'idea che le aggressioni transfrontaliere costituivano la più grave minaccia occorsa all'umanità: la storia avrebbe dimostrato che le minacce più serie potevano venire da Stati che violano i diritti dei propri cittadini, all'interno delle loro frontiere, o da terroristi che non si curano delle frontiere.
Ciononostante, fin dalla sua istituzione, l'ONU è stata screditata, ma mai aveva conosciuto un anno nero come il 2004, definito dal suo Segretario Generale Kofi Annan come annus horribilis.
A dire il vero è nel 2003 che è iniziato per l'organizzazione un progressivo ed inesorabile indebolimento, quando gli USA, il paese-membro più potente, hanno investito, assieme con il Regno Unito, un Consiglio di Sicurezza diviso, per ottenere che fosse dichiarata la guerra contro l'Iraq.
All'inizio del 2005, mentre l'organizzazione era ormai totalmente screditata, l'amministrazione Bush annunciò che il futuro ambasciatore americano presso l'ONU sarebbe stato John Bolton, un uomo che ha dichiarato che se le Nazioni Unite "perdessero dieci piani, ciò non cambierebbe assolutamente nulla".
L'idea dominante nel progetto del 1945 era quella della sicurezza collettiva, ma le minacce immaginate all'epoca erano interstatali, forze militari contro forze militari. La natura delle minacce è cambiata, come sottolinea l'alto responsabile delle Nazioni Unite: disseminazione della armi classiche o nucleari, terrorismo con mezzi rudimentali, genocidi a colpi di macete, sono altrettante violenze che attraversano e oltrepassano gli Stati.
Le cause sono la fame, le disparità nello sviluppo, le disuguaglianze di fronte alle catastrofi naturali, la promozione della vendita di armi, per la maggior parte prodotte dai cinque paesi che siedono di diritto al Consiglio di Sicurezza.
Oggi le Nazioni Unite, come soggetto che rappresenta la comunità internazionale, palesano un necessario bisogno di riforma, ostacolato però da più parti: manca, ad esempio, la volontà politica di allargare il Consiglio di Sicurezza ad un numero maggiore di Stati, che potrebbe voler dire l'attribuzione di un peso specifico diverso a forze che fino ad oggi hanno subito le decisioni di altri.
"Se l'ONU si mostra non emendabile, dato che le grandi potenze non vogliono cedere nulla del loro potere e persistono nel captare l'essenziale delle risorse mondiali, occorre urgentemente inventare un'Organizzazione della comunità mondiale" . Gli Stati più sacrificati dalla globalizzazione dovrebbero immaginare di lasciare l'ONU per fondarne immediatamente un'altra commisurata alle loro necessità. Essa potrebbe essere insediata a Gerusalemme, secondo la proposta di Règis Debray, o in Africa, per decentralizzarla simbolicamente dal Nord.
Un'Organizzazione internazionale rifondata avrebbe per obiettivo la costruzione di una comunità politica internazionale effettivamente cogente, non sostituita alle comunità nazionali, ma complementare ad essa. L'obiettivo centrale sarebbe la definizione e la difesa del bene comune dei popoli. Qualora attuato questo progetto, il mantenimento della pace potrebbe apparire qualcosa di diverso da interventi tardivi e spesso disperati.
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