INTRODUZIONE
Il 19 Marzo 2003 la coalizione di Stati guidata dagli Stati Uniti iniziava le operazioni militari contro l'Iraq, che si concludevano ufficialmente il 1 Maggio dello stesso anno. La rapida capitolazione delle forze armate irachene, non adeguatamente numerose ed addestrate a rispondere ad un attacco quale quello messo in atto dagli eserciti anglo-americani, e la successiva cattura di Saddam Hussein, non hanno potuto tacere le polemiche e le discussioni che hanno accompagnato il conflitto fin dai suoi albori, quando ancora era solo ventilata l'ipotesi d'intervento militare nei confronti dello Stato iracheno.
Le diatribe sorte tra più Nazioni in merito alla questione irachena hanno toccato diverse parti fondamentali del sistema di sicurezza collettiva della comunità internazionale, creato dalle Nazioni Unite, mettendo in discussione alcuni tra i più importanti valori legati all'uso della forza. Ciò ha fatto di conseguenza emergere, in più sedi, dibattiti inerenti la legittimità o meno di un'azione militare che non avesse ricevuto l'avallo del Consiglio di Sicurezza per mezzo di una risoluzione ex articolo 42 della Carta che ne autorizzasse il ricorso.
Questo lavoro si prefigge l'obiettivo di analizzare (sulla base del diritto internazionale consuetudinario e pattizio, delle risoluzioni delle Nazioni Unite inerenti tale caso e di altre fonti utili a dirimere la presente questione) i fattori che hanno costituito la base fondante delle discussioni, in modo tale da capire al meglio quali fossero le motivazioni di quanti fossero favorevoli alla guerra, e parimenti le ragioni opposte, portate avanti da coloro i quali abbiano ritenuto illegittimo l'uso della forza armata in tale ambito.
La situazione creatasi, in modo particolare, in seno alle Nazioni Unite, indirizza parte dell'analisi che verrà compiuta in questa sede allo studio della posizione assunta dalle Istituzioni O.N.U. riguardo al problema iracheno. Il ruolo del Consiglio di Sicurezza, sulla base dei suoi compiti ed obiettivi, destinatigli dai dettami della Carta, è stato al centro di aspre polemiche, sia durante i mesi in cui si è assistito allo scontro tra opinioni divergenti sull'Iraq e l'entità delle violazioni commesse, sia nel periodo successivo, in cui la sua autorità e competenza, messe in discussione, hanno conosciuto difficoltà raramente viste in passato, con tendenze individualiste manifestate da alcuni Stati, riguardo all'uso delle armi nelle relazioni internazionali ed alla legalità della legittima difesa, considerata dallo Statuto quale diritto imprescindibile riconosciuto alle Nazioni, qualora sia messa in pratica in circostanze quali quelle che hanno fatto da cornice all'invasione statunitense.
La questione irachena non ha rappresentato unicamente un interessante esempio di crisi internazionale, ma ha anche creato un vero e proprio caso, sia per ciò che concerne il diritto internazionale e la valutazione dell'illecito riconducibile agli Stati, sia riguardo alla politica internazionale ed alle relazioni diplomatiche. Sensibili, infatti, sono state le conseguenze che tale avvenimento ha prodotto sulle norme stesse di diritto internazionale, sulla loro interpretazione, sulla loro valenza, recando con sé il sentore che, a seguito delle circostanze che si sono venute a presentare a partire dagli attentati dell'11 Settembre, le norme stesse che regolano le relazioni tra gli Stati possano necessitare alcune modifiche o reinterpretazioni, perché le nuove minacce siano affrontate in maniera più efficace, in taluni casi con la possibilità di prevenire rischi altrimenti capaci di provocare danni non comparabili con quanto finora conosciuto.
Conseguentemente, verranno misurate le valutazioni compiute da quanti si sono espressi in favore dell'attacco all'Iraq e da quanti, al contrario, si siano opposti ad un tale disegno: ciò rispetto alle medesime risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ed ai medesimi principi di diritto internazionale, quali il diritto di legittima difesa, (preventiva e non) ed il cosiddetto intervento umanitario, praticato in soccorso delle popolazioni civili in grave pericolo di sopravvivenza non adeguatamente protette o soccorse dalle autorità interne competenti.
L'evoluzione di alcune norme di diritto internazionale verrà analizzata anche sulla base di quanto indicato dal High Level Panel on Threats, Challenges and Change, pubblicato dalle Nazioni Unite il 2 Dicembre 2004, il quale, plausibilmente, porterà grandi discussioni e probabili cambiamenti nella struttura interna dell'Organizzazione e nel suo modus operandi riguardo alla gestione delle crisi internazionali.
A seguito di tale lavoro, verranno raccolte le informazioni esaminate, in modo da poter valutare, per quanto possibile, la concreta legittimità o meno dell'attacco americano all'Iraq, con la destituzione dei suoi principali organi di potere e l'occupazione militare che ne ha fatto seguito.
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CONCLUSIONE
Dopo aver avuto modo di valutare in modo completo i vari ambiti che hanno contraddistinto la questione legata alla guerra contro l'Iraq del Marzo 2003, con un'analisi delle posizioni assunte dai contrapposti schieramenti ideologici e le interpretazioni differenti riguardo alle norme ed ai dettami su cui si basa la dottrina dell'uso della forza (e che ne regolano gli ambiti e i criteri di applicazione) alcune conclusioni possono essere tratte in tal senso.
Malgrado alcuni pareri si siano dimostrati concordi con l'asserita legittimità dell'intervento armato compiuto dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Iraq, alla luce di quanto mostrato, delle posizioni assunte dai Rappresentanti di molti Stati presso le Nazioni Unite, e delle norme di diritto internazionale consuetudinario e pattizio, l'aggressione commessa in territorio iracheno, in quanto priva di una previa Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, non sembra in nessun caso rientrare nei parametri di legalità concernenti le possibilità di ricorso alla forza armata. Nelle giustificazioni avanzate da Stati Uniti e Gran Bretagna, infatti, permangono alcune questioni poco chiare, con interpretazioni e flessibilità forzate appositamente nel tentativo di legittimare un attacco che sarebbe altrimenti stato in palese violazione del diritto internazionale. Il divieto di ricorrere a mezzi di tipo bellico per la risoluzione delle controversie e più in generale nelle relazioni tra Stati, non può essere messo da parte, né può essere considerato duttile o alternativamente interpretabile a seconda delle situazioni che vengono a presentarsi.
Né le eccezioni previste alla predetta proibizione possono, in questo caso specifico, essere considerate ammissibili, in quanto esse, secondo una prassi condivisa dell'operato delle Nazioni Unite, e secondo una dottrina stabilita, richiedono alcune particolari condizioni, in assenza delle quali non si può agire seguendo la loro autorità. Le valutazioni espresse dagli alleati in riferimento alla legittima difesa, alla validità di autorizzazioni all'uso della forza contenute in precedenti Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, o al cosiddetto intervento umanitario non sono apparse in grado di far emergere specifiche realtà che rendessero evidente come il caso iracheno avesse i requisiti minimi necessari per renderne possibile il ricorso.
In assenza dei presupposti fondamentali, dunque, che, come si è potuto ampiamente evidenziare, non si sono verificati, un attacco non autorizzato contro il territorio di un altro Stato non rispetta i parametri in cui viene inscritta la legalità dell'uso della forza, ed è pertanto un illecito internazionale. Come tale, esso è punibile secondo i dettami della Carta delle Nazioni Unite.
Non è questa la sede per esprimere giudizi sul fatto che alcuna presa di posizione o misura è stata o verrà presa nei confronti delle Nazioni che si siano trovate ad agire contro l'Iraq illegalmente. Ciò nonostante, i perpetui tentativi portati avanti dalle potenze alleate aventi lo scopo di convincere la maggior percentuale possibile di Stati del fatto che un'azione militare contro l'Iraq fosse legale è apparsa sintomo di consapevolezza riguardo l'illiceità di un simile evento.
La guerra contro l'Iraq, come da più parti sottolineato, è stata compiuta andando contro il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite, e sembra poter essere considerata come l'inizio di un nuovo corso in cui (a meno di non restituire al Consiglio di Sicurezza quel ruolo di garante e gestore della sicurezza internazionale, nonché rispettarne le decisioni, i vincoli e i divieti) ogni Stato possa agire, anche militarmente, a protezione di interessi ritenuti unilateralmente fondamentali per la propria sicurezza, o contro minacce analizzate e valutate in modo individuale, senza che il consesso delle Nazioni, creato dalla Carta con lo scopo di arrestare la guerra e costruire una pace duratura per le generazioni a venire, sia investito dell'autorità che gli è stata conferita.
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