INTRODUZIONE
Dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica gli stati, ed in particolare le grandi potenze, non hanno saputo ridefinire le priorità della politica internazionale ed individuare le strategie adeguate a governare la nuova fase post-bipolare.
Gli Stati Uniti d'America, nel corso degli anni Novanta, hanno promosso politiche spesso contraddittorie e prive di ampio respiro. Gli stati europei, concentrati nella costruzione prevalentemente economica dell'Unione Europea sono stati incapaci di presentarsi sulla scena internazionale con una voce unitaria e sono, pertanto, risultati privi di rilevanza politica strategica.
La Cina ha dovuto affrontare notevoli cambiamenti, che hanno generato spettacolari tassi di crescita del prodotto interno, ma in politica estera, per quanto attiene alle questioni globali, si è limitata ad attendere e ad osservare gli eventi, aspettando, probabilmente, di consolidare la sua potenza, che le consentirà di giocare un ruolo da protagonista assoluto nella politica internazionale. La Russia solo recentemente è riuscita ad avviare la ricostruzione politica ed economica del paese, anche se il cammino per riguadagnare un peso politico paragonabile a quello dell'Unione Sovietica appare quanto mai lungo e tortuoso.
Nel corso degli anni Novanta la globalizzazione dei mercati è stato il maggior problema di cui si è occupata la politica internazionale. La speranza di un boom economico duraturo si è rivelata un miraggio; tutte le grandi potenze si sono concentrate sull'incasso dei sostanziosi dividendi della crescita economica, disperdendo buona parte delle loro energie politiche.
Le grandi potenze, insomma, si sono prese una "vacanza strategica" nel corso degli anni Novanta. Le numerose crisi regionali che hanno caratterizzato il passato decennio, invece di essere interpretate come il sintomo di un sistema internazionale ormai inadeguato, sono state affrontate dalle grandi potenze senza una precisa strategia.
Le Nazioni Unite sono state oggetto di un tentativo di riforma - fallito - affrontato seguendo schemi interpretativi in gran parte superati dal nuovo contesto internazionale.
Le grandi potenze condividono, quindi, la responsabilità di non essersi adoperate sufficientemente per soddisfare le speranze di pace e di sviluppo che l'opinione pubblica globale aveva riposto nella fine della contrapposizione bipolare. Paradossalmente il mondo appare ora tutt'altro che più sicuro.
Gli attentati dell'11 settembre 2001 hanno sconvolto gli Stati Uniti d'America e il mondo intero. Quei tragici eventi hanno contribuito a mutare il corso della politica internazionale ed hanno ridato una priorità elevata alle questioni globali.
Il Presidente statunitense Bush ha elaborato una strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America, nota come dottrina Bush, per rispondere a quelle che vengono considerate le nuove minacce: il terrorismo internazionale, la diffusione delle armi di distruzione di massa e i c.d. stati canaglia.
La lotta al terrorismo, prima ancora di trovare una sua teorizzazione formale, è stata attuata in occasione dell'intervento militare in Afghanistan, stato canaglia accusato di proteggere al-Qaida, la rete terroristica ritenuta responsabile degli attentati terroristici dell'11 settembre.
L'Amministrazione Bush, poi, ha elaborato la National Security Strategy of the United States of America, documento centrato sulla lotta ai rogue states, ed un "corpus" di altri documenti strategici sostanzialmente miranti a promuovere la dottrina strategica della guerra preventiva. Questa dottrina sembra essere stata elaborata più con riguardo al caso specifico dell'Iraq che come norma generale per la soluzione delle controversie internazionali. Tanto è vero che mentre è stata applicata, appunto, alla crisi irachena, per quanto riguarda la Corea del Nord si sono cercate altre soluzioni.
Accanto a ciò l'Amministrazione Bush ha varato il più consistente aumento del budget militare dai tempi di Reagan, accompagnandolo con l'inizio di una vasta trasformazione dell'esercito statunitense, nota come Revolution in Military Affairs.
La dottrina Bush aspira ad essere una strategia globale, dove l'aggettivo globale non sta ad indicare solo il terreno materiale della sua applicazione, ma anche l'ampiezza degli argomenti che vengono affrontati. Le dichiarazioni riguardanti la promozione della democrazia e dello sviluppo economico (inteso come adozione del neoliberismo da parte di tutti gli stati), risultano, però, essere troppo poco incisive per sostanziare questa aspirazione.
La nuova politica inaugurata da Bush è una sintesi eclettica dei temi di politica estera che hanno caratterizzato tutta la storia americana. Riprendendo concetti quali quello dell'eccezionalismo della condizione americana e del destino manifesto mira a ribadire il ruolo di "nazione necessaria", già teorizzato da Clinton e dalla Albright, ovvero la profonda convinzione che la sicurezza globale passi attraverso quella degli USA. La dottrina Bush non si basa esclusivamente sugli assunti della teoria realista delle relazioni internazionali, ma opera una creativa fusione tra idealismo e realismo. Bush afferma, infatti, di perseguire un "equilibrio di potenza che favorisca la libertà".
Questa impostazione si richiama fortemente alla trazione della presidenza Reagan, tanto da essere stata definita una politica estera neo-reaganiana. Un'eredità evidente, ad esempio, nel richiamo alla moral clarity e nella celebrazione dell'american way of life, così come nel rilancio di proposte politiche tipiche della presidenza Reagan: su tute quella del c.d. scudo spaziale e il forte aumento delle spese per la difesa.
Nella dottrina Bush emerge, inoltre, una spiccata propensione all'unilateralismo: gli Stati Uniti intendono dettare le priorità, i tempi e i metodi dell'agenda politica internazionale senza coinvolgere gli alleati o le organizzazioni internazionali, le altre nazioni possono decidere di collaborare, altrimenti gli USA si dichiarano pronti ad agire da soli. La relazione con le Nazioni Uniti, nell'elaborazione teorica dei documenti strategici e nella prassi, appare quanto mai problematica.
Questa politica statunitense risente, in particolar modo, delle idee sviluppate e promosse da un gruppo eterogeneo interno al partito Repubblicano, i cui membri vengono definiti neoconservatori. Essi si prefiggono l'obiettivo di creare un "nuovo secolo americano" nel quale gli USA riescano a far valere la propria egemonia benevolente.
Dopo l'approfondimento degli argomenti sopra brevemente citati, si cercherà di trarre delle conclusioni che contribuiscano a chiarire i contenuti della dottrina Bush, tentando di fornire al lettore gli strumenti necessari ad elaborare un suo giudizio autonomo.
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LA DOTTRINA BUSH. Un'analisi storica e critica.
"Ubi solitudinem faciunt,
pacem appellant."
Tacito, Agricola, 30
La dottrina Bush è la strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America elaborata dall'Amministrazione del Presidente George W. Bush successivamente agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001. Contiene le linee guida della politica estera americana e l'approccio alle relazioni internazionali.
Il documento principale in cui è stata enunciata è "The National Security Strategy of the Uited States of America" (di seguito anche USNSS). Siglato dal Presidente il 17 settembre 2002 è stato trasmesso al Congresso il 20 settembre 2002, secondo quanto previsto dal Goldwater-Nichols Department of Defense Reorganization Act del 1986, che richiede al Presidente di illustrare regolarmente al Congresso e al popolo americano la strategia della sicurezza nazionale.
Altri documenti ufficiali dell'Amministrazione USA (sia precedenti che successivi alla USNSS) specificano, perfezionano e approfondiscono la dottrina Bush, che è stata espressa, inoltre, in un alcuni discorsi, ufficiali e non, pronunciati dal Presidente e dai suoi più stretti collaboratori.
Di seguito è riportata un'elencazione cronologica di questi documenti e discorsi.
Ø QUADRIENNAL DEFENSE REVIEW REPORT, Department of Defense (30 settembre 2001). È stato pubblicato pochi giorni dopo l'11 settembre 2001, ma la sua elaborazione, considerandone l'ampiezza e la complessità, è sicuramente precedente. Nonostante ciò contiene già molti degli elementi che caratterizzano la dottrina Bush.
Ø NUCLEAR POSTURE REVIEW, Department of Defense (31 dicembre 2001). Enuncia la nuova strategia nucleare dell'Amministrazione americana.
Ø Discorso del Presidente Bush sullo Stato dell'Unione (29 gennaio 2002). Bush, dopo l'operazione Enduring Freedom in Afghanistan, parla dell'asse del male composto dagli stati che hanno le armi di distruzione di massa e dai terroristi da questi sponsorizzati.
Ø Discorso del Presidente Bush a West Point (1 giugno 2002). Nel quale dichiara inadeguata alle muove minacce la strategia del contenimento e della deterrenza e annuncia la strategia della guerra preventiva.
Ø NATIONAL MONEY LAUNDERING STRATEGY, O'Neill Secretary of the Treasure, Ashcroft Attorney General (luglio 2002). Contiene la strategia per bloccare le attività finanziarie e il riciclaggio di denaro sporco del terrorismo internazionale.
Ø THE NATIONAL SECURITY STRATEGY OF THE UNITED STATES OF AMERICA, White House (20 settembre 2002)
Ø Discorso del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice sulla National Security Strategy, Waldorf Astoria Hotel, New York (1 ottobre 2002)
Ø NATIONAL STRATEGY TO COMBAT WEAPONS OF MASS DESTRUCTION (dicembre 2002). Approfondisce quanto già contenuto nella USNSS sull'argomento.
Ø ANNUAL REPORT TO THE PRESIDENT AND THE CONGRESS, Rumsfeld Secretary of Defense (2002). Riprende i temi enunciati nella Quadriennal Defense Review e riporta lo stato dell'arte delle forze armate americane.
Ø Discorso del Presidente Bush sullo Stato dell'Unione (28 gennaio 2003). Analizza le minacce che l'America deve fronteggiare e le motivazioni per l'intervento in Iraq.
Ø NATIONAL STRATEGY FOR COMBATING TERRORISM (febbraio 2003). Approfondisce quanto già contenuto nella USNSS sull'argomento.
È possibile ricomprendere nella dottrina Bush anche numerosi provvedimenti di politica interna che si prefiggono l'obiettivo di accrescere la sicurezza entro i confini nazionali. Per completezza di seguito è riportata una cronologia delle leggi e dei principali documenti in cui sono contenuti questi provvedimenti.
Ø Presidential Executive Order per la creazione del OFFICE OF HOMELAND SECURITY presieduto da TOM RIDGE (8 ottobre 2001). Ufficio interno alla Casa Bianca con il compito di coordinare le agenzie esistenti che si occupano della sicurezza interna.
Ø USA PATRIOT ACT "Uniting and strengthening America by providing appropriate tools required to intercept and obstruct terrorism" [H.R. 3162] (26 ottobre 2001). Questa legge mira a contrastare gli attentati terroristici attraverso: lo sviluppo delle procedure di sorveglianza, l'adozione di misure per abbattere il riciclaggio di denaro con il quale vengono finanziati i terroristi, la protezione dei confini, il rafforzamento della legislazione contro il terrorismo e il miglioramento dell'intelligence.
Ø Documento per la creazione del THE DEPARTMENT OF HOMELAND SECURITY, White House (giugno 2002). Il Dipartimento per la sicurezza della patria è un nuovo ministero che raggruppa e coordina le numerose agenzie esistenti che si occupano di sicurezza a livello federale. In sostanza è un ministero degli interni. Il documento indica il percorso da seguire per arrivare alla creazione di tale ministero.
Ø SECURING THE HOMELAND STRENGTHENING THE NATION, White House (giugno 2002). Contiene alcune linee guida sulle azioni per aumentare la sicurezza interna.
Ø Creazione degli "USA Freedom Corps" che racchiudono le varie organizzazioni dei volontari tra le quali la nuova "Citizen Corps" (Gennaio 2002). È un provvedimento che aumenta e riorganizza il sistema della difesa civile americana.
Ø NATIONAL STRATEGY FOR HOMELAND SECURITY, Office of Homeland Security (16 luglio 2002). Complementare alla USNSS, si occupa della minaccia rappresentata dagli attentati terroristici all'interno degli Stati Uniti. Riorganizza ed indirizza le funzioni degli organismi federali, locali e privati che si occupano della sicurezza nazionale.
Ø Homeland Security Act of 2002 (25 novembre 2002). Il Presidente firma la legge per la creazione del Department of Homeland Security, che diviene operativo il 1 marzo 2003.
Ø THE NATIONAL STRATEGY FOR THE PHYSICAL PROTECTION OF CRITICAL INFRASTRUCTURES AND KEY ASSETS, White House (febbraio 2003). Contiene i provvedimenti per salvaguardare le principali infrastrutture nazionali.
Ø THE NATIONAL STRATEGY TO SECURE THE CYBERSPACE, White House (febbraio 2003). Contiene la strategia per aumentare la sicurezza del world wide web ed evitare danneggiamenti ai sistemi informatici nazionali.
In questa sede si procederà effettuando un'analisi delle principali tematiche della USNSS, mettendole in relazione con i contenuti degli altri documenti e discorsi strategici, al fine di approfondire i singoli aspetti della dottrina Bush.
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CONCLUSIONE
Lo studio degli aspetti salienti della politica estera americana riconducibili alla dottrina Bush rappresenta il tentativo di contribuire a comprendere il ruolo che gli Stati Uniti hanno svolto nel corso degli ultimi anni, in particolare dall'11 settembre 2001.
Dall'analisi del principale documento strategico in cui è espressa la dottrina Bush, la National Security Strategy of the United States of America, risulta evidente che le nuove minacce alla sicurezza nazionale sono individuate nel terrorismo internazionale, negli stati canaglia e nella diffusione delle armi di distruzione di massa, che potrebbero essere utilizzate tanto dalle reti terroristiche, quanto dai leaders senza scrupoli nemici degli Stati Uniti. Da una lettura più approfondita, però, emerge la considerazione che l'attenzione della dottrina Bush sia centrata in particolare sugli stati canaglia, piuttosto che, come ci si aspetterebbe, dopo l'11 settembre, sul terrorismo internazionale. I documenti strategici appaiono vaghi e spesso contraddittori nel definire tanto la natura della minaccia quanto la strategia per eliminarla. Tale indeterminatezza complica non poco l'interpretazione della dottrina Bush.
La dottrina Bush probabilmente passerà alla storia come la dottrina della guerra preventiva. La USNSS presenta la pre-emptive war come la grande innovazione strategica in grado di sostituire il contenimento e la deterrenza. Anche in questo caso risulta difficile comprendere appieno il senso di questa nuova strategia. Se da un lato, infatti, essa è presentata come la risposta adeguata alle minacce più gravi e imminenti, dall'altro, nella stessa USNSS, si legge che l'azione preventiva deve essere attuata prima che gli stati canaglia siano in grado di rendere operative ed effettivamente utilizzabili le WMD. Un esempio concreto di questo paradosso è il comportamento statunitense nei confronti dell'Iraq e della Corea del Nord. L'Iraq, che come i fatti fino ad oggi dimostrano non possedeva WMD, ha subito un attacco preventivo, mentre la Corea del Nord, che ha dichiarato di possedere testate nucleari, non è stata attaccata né sembra in procinto di esserlo.
Questo ragionamento appare meno paradossale se si conclude che la USNSS, e dunque la dottrina Bush, sia stata concepita come una tattica per l'intervento militare in l'Iraq e non come una strategia generale.
La dottrina della guerra preventiva ha suscitato un notevole dibattito sulla sua conformità al diritto internazionale, sia negli ambienti accademici e specialistici sia nel "grande pubblico" dei mass media sia all'interno del mondo politico. Pur non essendo questa la sede adeguata per trattare in modo approfondito l'argomento dal punto di vista giuridico, si è cercato di dimostrare che la dottrina, pur essendo divisa, propende sostanzialmente per la tesi secondo cui la pre-emptive war violerebbe il diritto internazionale.
La dottrina Bush si caratterizza per l'affermazione esplicita dell'unilateralismo; l'Amministrazione statunitense, cioè, intende agire da sola, dettando agli alleati "occasionali", che costituiscono le c.d. coalizioni dei volenterosi, le condizioni per partecipare alle missioni. Il rapporto con le Nazioni Unite, nelle enunciazioni e nei fatti, è assai problematico. Il tratto caratteristico della dottrina Bush è proprio quello di voler ridefinire, diminuendolo, il ruolo delle organizzazioni internazionali; non solo dell'ONU, ma anche della NATO. Tutto ciò che può costituire un impedimento e rallentare l'azione politica degli Stati Uniti viene visto con diffidenza. Agire unilateralmente, però, richiede una grande forza e una notevole capacità di assorbirne i costi politici. Gli Stati Uniti non sembrano, però, essere in grado di farlo.
Le Nazioni Unite, per quanto ritenute ormai inutili da molti membri dell'Amministrazione (su tutti Perle), restano ancora una dimensione ineludibile, non solo per ottenere consensi, ma anche per il contributo insostituibile che possono fornire nella soluzione dei problemi concreti.
La recentissima approvazione, all'unanimità, di una risoluzione del CdS dell'ONU sull'Iraq è l'ulteriore conferma di quanto sostenuto in queste pagine: gli Stati Uniti non possono fare a meno delle Nazioni Unite. Sembra, infatti, che l'approvazione di tale risoluzione vada letta proprio in questa direzione. La risoluzione, UNSCR 1511, che di fatto sancisce la situazione esistente in Iraq, autorizzando gli stati membri a partecipare alla "missione" sotto il comando unificato degli USA in Iraq, non è una legittimazione a posteriori dell'intervento militare in Iraq, ma risponde a molteplici altre necessità, delle quali due sembrano essere le più rilevanti. La prima è l'esigenza degli Stati Uniti, in notevole difficoltà nella gestione del dopoguerra, di ottenere il sostegno militare, con l'invio di truppe, da parte di altri stati; le uniche nazioni disponibili a fornire un supporto, in primis l'India, subordinavano tale decisione ad una risoluzione dell'ONU che legittimasse la loro partecipazione. La seconda necessità sembra essere quella di una progressiva attribuzione di compiti alle Nazioni Uniti nella gestione del dopo guerra in Iraq. In realtà la risoluzione apre ben pochi spazi a tale prospettiva, ma rappresenta pur sempre un'indicazione del fatto che le Nazioni Unite saranno destinate a ricoprire un ruolo sempre maggiore in Iraq.
Anche in Afghanistan si sta assistendo ad un'estensione delle competenze delle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza, infatti, ha approvato, il 13 ottobre 2003, la risoluzione UNSCR 1510 sull'estensione della missione ISAF a tutto il territorio afghano (sino ad ora la missione copriva solo l'area di Kabul). Sancendo in tal modo l'avvenuto passaggio di poteri nella gestione di quel territorio dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite (gli USA, comunque, continuano ad essere presenti grazie alle loro basi militari dislocate non solo in Afghanistan, ma anche negli altri paesi della regione).
Le Nazioni Unite, sempre irrilevanti nella gestione immediata delle crisi, sul lungo periodo tornano sempre a ricoprire un qualche ruolo. La vicenda della risoluzione sull'Iraq va quindi letta, in riferimento alla prova di forza nei confronti dell'ONU intrapresa dagli Stati Uniti in occasione dell'intervento militare, come una presa d'atto dell'attuale debolezza degli USA, bisognosi di truppe di supporto e, soprattutto, di ricostruire un consenso internazionale attorno alla loro azione. I "grandi oppositori" all'intervento USA in Iraq, Germania, Francia, Russia e Cina, sono, ovviamente, stati determinanti per l'approvazione della risoluzione, ma si sono subito affrettati a frenare gli entusiasmi. In una dichiarazione congiunta, Francia, Germania e Russia hanno dichiarato che avrebbero, comunque, continuato a non fornire il loro sostegno militare ed economico alla missione USA in Iraq. I rapporti tra le due sponde dell'Atlantico non sembrano, quindi, essere sostanzialmente migliorati, in quanto le divergenze politiche rimangono.
Se l'approvazione della risoluzione è sicuramente un successo del Segretario di Stato Powell, è ancora prematuro decidere se l'ala neoconservatrice, che tanta influenza ricopre nell'Amministrazione Bush, possa considerarsi ridimensionata. Molti neocons avevano chiesto l'aumento delle truppe USA in Iraq, esprimendo la loro contrarietà ad un coinvolgimento di altri stati attraverso le Nazioni Unite. Che questa loro proposta non sia stata accolta è, comunque, una conferma dell'ipotesi che la grande forza degli USA, premessa principale dell'elaborazione teorica neoconservatrice, inizia a dare segni di cedimento.
Resta da capire se la dottrina Bush possa essere definita realmente una strategia. Il capitolo 9 del presente lavoro è espresso in forma interrogativa, perché appare difficile fornire una risposta univoca. Si è detto che la dottrina Bush della guerra preventiva sembra esprimere più una tattica per l'intervento in Iraq che una strategia per combattere il terrorismo e gli stati canaglia.
Si è poi constatato che l'Amministrazione Bush possiede, comunque, un progetto per la ridefinizione del sistema internazionale e dei rapporti di forza tra le potenze. Questo progetto, però, non può essere definito una strategia. Esso è semmai la linea politica dell'Amministrazione Bush, ma manca completamente la strategia, che consentirebbe di perseguire tale linea politica. La dottrina Bush sembra essere, quindi, una tattica finalizzata all'intervento in Iraq, obiettivo che si inserisce nel contesto di un progetto politico, che, però, non riesce a trovare, ancora una volta, un'elaborazione strategica in grado di superare le esigenze contingenti e produrre delle regole generali in grado di orientare la politica estera statunitense nei prossimi anni.
Anche se si riuscisse a definire in progress una strategia, come suggerito da Haass , i contenuti che la sostanzierebbero sarebbero sempre inspirati ai principi dell'accrescimento della potenza, dell'azione unilaterale e del perseguimento dell'interesse nazionale. Anche le altre grandi potenze non sembrano avere una strategia definita ed anch'esse basano la loro azione politica a livello internazionale sostanzialmente sui medesimi principi. Le stagioni dei grandi progetti multilaterali, come quella che ci fu all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, sembrano aver esaurito la propria spinta propulsiva.
Gli Stati Uniti d'America, sicuramente la maggiore potenza globale rimasta sulla scena post-bipolare, dopo essere stati i garanti della libertà politica e dell'ordine economico per mezzo secolo ed aver promosso i grandi progetti multilaterali e sopranazionali del '900, non hanno saputo compiere i passi necessari per portare a compimento, venuto meno l'ostacolo della contrapposizione bipolare, i processi di costruzione di un ordine mondiale regolato in modo democratico. Le altre grandi potenze, d'altronde, non hanno certo saputo fare di meglio.
Il mondo continua a rimanere intrappolato nelle molteplici dinamiche dei nazionalismi e dei conflitti armati. La guerra, il più atroce fenomeno di massa prodotto dall'umanità, la violenza, la povertà, le morti per malnutrizione e mancanza di acqua, l'impossibilità di acquistare medicinali per curare e prevenire le malattie che flagellano le popolazioni del continente africano, continuano ad essere dimensioni reali di un'umanità che si vanta dei progressi conquistati, ma continua ad ignorare i veri problemi.
Di fronte a tali questioni la logica di potenza si rivela un esercizio crudele e cinico che impedisce alla politica, nonostante la pressante richiesta proveniente dalle moltitudini, di assumersi la responsabilità di costruire un altro mondo possibile
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