I vari accordi internazionali a protezione dei diritti umani vietano la tortura nonché ogni trattamento crudele, disumano o degradante. Si tratta di accordi già da tempo in vigore per l'Italia.
In particolare, il divieto è previsto sia nella Convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art.3), sia nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (art.7): e già la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 poneva il divieto, pur con delle limitazioni di non poco conto (morale, ordine pubblico, benessere generale di una società democratica).
Successivamente, nel 1984, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava senza quelle limitazioni la Convenzione per la prevenzione specifica della tortura e dei trattamenti disumani, crudeli e degradanti e, nel 1987, gli Stati membri del Consiglio d'Europa adottavano la Convenzione europea per una eguale prevenzione mediante i meccanismi di controllo, sopralluoghi del Comitato europeo ad hoc intesi a verificare il trattamento delle persone in stato di detenzione al fine di rafforzare la loro protezione dalla tortura e da trattamenti crudeli.
Ora, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (firmata a New York il 10 dicembre 1984) in vigore dal 26 giugno 1987, vige per la Repubblica italiana dall'11 febbraio 1989, dopo il deposito dello strumento di ratifica del 12 gennaio di quell'anno.
La ratifica era preceduta dalla legge di autorizzazione del 3 novembre 1988: e quella stessa legge conteneva l'ordine di esecuzione d'uso per le norme della Convenzione già esaustive, così direttamente introdotte nell'ordinamento italiano.
L'ordine di esecuzione era peraltro insufficiente - pur introducendolo come principio nel nostro ordinamento - al rispetto dell'obbligo convenzionale, anzi del suo "nucleo" essenziale della Convenzione (art.1 e art.4 in combinato disposto): cioè l'obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura (come pure il tentativo praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto) fosse espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno, conformemente alla definizione di tortura prevista all'art.1 della Convenzione.
Per di più il secondo paragrafo dell'art.4 della Convenzione medesima prevede l'obbligo per ogni Stato parte di stabilire senz'altro per il reato stesso pene adeguate in considerazione della sua gravità.
Purtroppo, resta il fatto che di norme italiane di adattamento ordinario all'obbligo precipuo della Convenzione di New York non v'è tuttora traccia nel diritto penale italiano: la legge di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione contiene una norma (art.3) che, al più, si correla - resta da chiedersi, per vero, quanto compiutamente e correttamente - agli artt.5 e 7 di quella Convenzione, a norme rivolte a far perseguire da ogni Stato parte la tortura ovunque e da chiunque commessa.
E' vero che il "legiferare" contemplava l'esercizio della competenza legislativa delle Camere ai sensi della Costituzione italiana, ma è vero pure che:
1. il principio generale del rispetto dei patti internazionali introdotto dall'art.10 Cost. implicava - quanto meno - l'obbligo d'iniziativa legislativa del Governo italiano al fine dell'introduzione del reato di tortura nel diritto penale interno conforme alla Convenzione, sin dall'entrata in vigore per l'Italia della Convenzione;
2. le Camere avrebbero dovuto comunque essere richiamate alle conseguenze internazionali di una mancata approvazione interna di norme adeguate agli artt.1 e 4 della Convenzione e, in mancanza, al risultato di una condotta internazionalmente illecita;
3. infine, è da ricordare che per la recente revisione costituzionale (art.117) le Camere hanno da utilizzare la loro competenza in conformità con gli obblighi internazionalmente assunti.
A tal proposito va detto che la Convenzione, all'1, definisce puntualmente la nozione di tortura rilevante ai sensi e per i fini della Convenzione. Il termine "tortura" indica infatti "qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione" qualora - sottolinea la Convenzione - "tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito".
Inoltre, per l'art.2, il divieto di tortura così menzionata è assoluto: nessuna circostanza eccezionale, quale essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica interna o di qualsiasi altra situazione eccezionale, può essere invocata per giustificare la tortura escludendosene dunque qualunque limitazione.
Ora, se questo è il quadro convenzionale, è evidente che per i fini del rispetto dell'obbligo internazionale (art.4, in combinato con l'art.1 della Convenzione di New York) s'imponeva senza possibilità di alternative l'emanazione di norme penali interne non potendo bastare, per i fini del rispetto della Convenzione, quelle "coperture" penali non specificamente volte alla repressione della tortura.
S'imponeva, dunque, l'emanazione di una nuova fattispecie criminosa definita con le parole dell'art.1 della Convenzione medesima e la fissazione di pene adeguate alla sua gravità, senza esimenti. E questo è quanto, del resto, va sostenendo Amnesty International da gran tempo.
Sono attualmente quattro i disegni di legge già assegnati alle Commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento che hanno per oggetto l'introduzione del reato specifico di tortura nel codice penale italiano per i fini dell'adattamento alla Convenzione.
Come si legge nella Relazione ad uno di questi progetti (n.1483/S), non si possono infatti ritenere sufficienti per il rispetto dell'obbligo internazionalmente assunto "gli articoli 606 (arresto illegale), 607 (indebita limitazione di libertà personale), 608 (abuso di autorità contro arrestati o detenuti), 609 (perquisizione e ispezione personali arbitrarie)..e nei reati di percosse e di lesioni personali manca la specificità dell'elemento soggettivo, tipico, invece, della tortura". La proposta di legge prevede dunque l'introduzione di un art.593-bis del seguente tenore " Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di fare pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La pena è aumentata se ne deriva una lesione personale. E' raddoppiata se ne deriva la morte. Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all'impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente". Quanto poi all'atteggiamento dell'Esecutivo, va detto che nella precedente legislatura il Consiglio dei Ministri aveva approvato un disegno di legge recante "Norme in materia di tortura ed altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti" (28 luglio 2000); ma si trattava - a ben vedere - di un progetto finalizzato non già all'introduzione del reato specific o di tortura, ma solo alla previsione di aggravanti per delitti non colposi contro la persona: nella relazione al disegno di legge tale scelta veniva motivata sulla base della considerazione che la previsione di aggravanti avrebbe comunque consentito "di sanzionare più efficacemente quelle gravi pressioni fisiche o morali volte al fine di intimidire, violare la dignità della persona", senza necessariamente pervenire all'introduzione di un reato specifico di tortura. Ma va ribadito che per un compiuto adattamento alla Convenzione, la previsione del reato di tortura nel diritto penale interno nella fattispecie delineata all'art.1 della Convenzione, resta scelta necessitata se ci si vuol conformare compiutamente all'impegno internazionale assunto, scongiurando l'illecito internazionale.
Per quanto attiene poi al divieto di trattamenti crudeli, disumani o degradanti, non desumibili nell'ampia descrizione di tutte le ipotesi qualificate dall'art.1 della Convenzione di New York come "tortura", è da dire che la Convenzione stessa non li trascura.
L'art.16 impone ad ogni Stato parte di far valere effettivamente il divieto di "altri atti costitutivi di pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti" ma che non siano atti di tortura qualora siano compiuti "da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisce a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito". La Convenzione non definisce peraltro tali fattispecie, né dispone, come è invece per la tortura, l'obbligo per gli Stati parte di sanzionare specificamente tali condotte.
La Convenzione è tuttavia esaustiva (self-executing) nell'imporre la proibizione di tali atti per cui è da dire che l'ordine di esecuzione italiano alla Convenzione ha già inserito l'obbligo nel nostro ordinamento.
Obbligo pure di stretta vigilanza sulle pratiche di interrogatorio poste in essere nei confronti di persone poste in custodia o private della libertà e l'impegno di promuovere fra le forze dell'ordine (e più in generale fra le persone che possono intervenire nel corso della custodia) la più ampia consapevolezza del divieto per costoro di praticare trattamenti disumani, crudeli o degradanti.
E in aggiunta, gli art.12 e 13 (richiamati dall'art.16) dispongono l'obbligo per gli Stati parte di predisporre meccanismi di tutela adeguata che si devono tradurre anche nell'esperimento di "inchieste imparziali" tese all'accertamento dei fatti nel caso violazione del divieto di trattamenti degradanti.
La Convenzione contro la tortura e i trattamenti disumani prevede poi l'istituzione di un Comitato cui possono rivolgersi gli Stati e gli individui. La Repubblica italiana è fra gli Stati che hanno dichiarato di riconoscere la competenza del Comitato ai sensi degli artt.21 e 22. Gli individui possono pertanto rivolgersi al Comitato quando ritengano di esser vittime di una violazione degli obblighi convenzionali da parte dello Stato italiano, nel rispetto della regola del previo esaurimento dei ricorsi interni (effettivamente predisposti): e purchè la stessa questione non sia stata o non sia all'esame di altra istanza internazionale, come la Corte europea di Strasburgo (per violazione del divieto di cui all'art.3 della Convenzione europea) o il Comitato sui diritti umani di cui al Protocollo facoltativo al Patto sui diritti civili e politici (per violazione dell'art.7 del Patto sui diritti civili e politici).
E sul punto si badi che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo prevede, all'art.53, che nessuna delle sue disposizioni possa essere interpretata "in senso limitativo o pregiudizievole ai diritti dell'uomo che possano essere riconosciuti in base a leggi di qualunque Stato contraente o da accordi internazionali cui le stesse parti contraenti partecipino".
Tale disposizione esprime dunque, da un lato, una precisa connessione fra la Convenzione europea e gli altri trattati (antecedenti ma anche successivi) in materia di diritti umani; dall'altro, che questi altri trattati andrebbero richiamati nel contesto convenzionale europeo sulla base di un'interpretazione sistematica dei trattati internazionali in materia di diritti umani.
Resta infine da precisare che la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni rimane fuori causa (anche per la giurisprudenza della Corte europea) laddove l'illecita condotta legislativa omissiva precluda ogni rimedio giudiziario o amministrativo ai fini di una pure doverosa conformità agli artt. 1 e 4 della Convenzione di New York vigente per l'Italia - come dicevo - sin dall'11 febbraio 1989... e siamo ora nel 2002!
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