Tra le attività che contraddistinguono le Nazioni Unite, un ruolo rilevante hanno assunto le peacekeeping operations, ovvero le operazioni per il mantenimento della pace effettuate in stati che per la gravità della situazione interna possono minacciare la pace e la sicurezza internazionale.
Anche se la prassi ha consolidato la formazione di tali operazioni, occorre rilevare che la carta delle Nazioni Unite non fa nessun esplicito riferimento a questo genere di attività e per alcuni aspetti si trovano delle incongruenze anche in relazione alla dottrina che ha espresso finanche pareri contrastati al fine di inquadrare giuridicamente le operazioni di mantenimento della pace.
Per una parte della dottrina, le peacekeeping operations sarebbero riconducibili all'articolo 36 Cap. VI della Carta delle Nazioni Unite e dunque relative alle raccomandazioni del Consiglio di Sicurezza per la soluzione pacifica delle controversie, tuttavia l'esistenza di un corpo militare armato che partecipa alle operazioni fa propendere per lo piu ad una soluzione ricavabile dal Cap. VII della Carta e nello specifico agli articoli 39, 40 e 42 e quindi alle azioni previste dalla carta per il ristabilimento della pace.
Tuttavia occorre sottolineare che le azioni previste dal Capitolo VII prevedono sì l'uso della forza ma non precisamente il dispiegamento di un esercito con funzioni di mantenimento della pace e quindi anche questa formulazione potrebbe apparire giuridicamente infondata, ciononostante si potrebbe adottare la c.d. teoria dei poteri impliciti. Attraverso tale teoria al fine del raggiungimento della pace e della sicurezza internazionale, specificata anche nel Cap. 1 relativo ai fini ed ai principi dell'organizzazione, si potrebbe inquadrare giuridicamente l'attività di peacekeeping delle Nazioni Unite.
L'attività dei contingenti armati per tale tipo di attività è stabilito dal Consiglio di Sicurezza autorizza con risoluzione il dispiegamento delle forze. Ciò deve avvenire con il consenso dello stato in cui verranno inviate le forze armate, difatti l'autorizzazione è essenziale poiché in caso contrario, si dovrebbe inquadrare l'azione come un atto di aggressione illecito dal punto di vista del diritto internazionale.
Tra le varie operazioni di peacekeeping tuttavia si evince come sovente esse siano state inviate in paesi reduci da guerre civili interne e con l'insediamento di nuovi governi che hanno accordato da subito l'invio di tali contingenti.
I paesi membri delle Nazioni Unite stabiliscono autonomamente il numero di militari e di mezzi da inviare in missione. Il comando della missione è de facto dipendente dal Segretario Generale dell'ONU che a sua volta nomina un comando sul territorio.
Un aspetto alquanto problematico è relativo alla responsabilità che tali contingenti hanno nei confronti del loro paese di origine e nei confronti dell'ONU. I contingenti, anche se direttamente sottoposti all'autorità nominata dal segretario generale, dal punto di vista amministrativo e logistico sono direttamente riconducibili al loro paese di provenienza e dunque non cessano di appartenere alle forze nazionali del paese di provenienza, laddove i comandi di natura meramente militare pervengono solo ed esclusivamente dal comando generale dell'ONU.
Le problematiche relative alla responsabilità emergono tuttavia nel momento in cui si evincano eventuali atti illeciti che sono stati compiuti dai militari presenti in missione. In tali casi la responsabilità giuridica è da collegare all'organizzazione piuttosto che agli stati di appartenenza dei militari? La questione ha trovato una prassi piuttosto variegata in materia, che tende a far sorgere diversi problemi di natura giuridica relativa alla responsabilità.
Anche se l'ONU ha piu volte ribadito la subordinazione di tali contingenti all'organizzazione si dovrebbero ricordare alcuni casi che hanno di fatto creato dei precedenti giurisprudenziali piuttosto importanti. Durante la missione di peacekeeping in Congo, il contingente dell'ONUC compì taluni illeciti che coinvolsero la popolazione civile del paese. In quel caso l'ONU ritenne che la responsabilità dovesse cadere interamente in capo all'organizzazione per le riparazioni dovute. Una tendenza contraria si ebbe invece in Somalia per il contingente UNOSOM, laddove in presenza di altri fatti illeciti commessi dai militari dei contingenti presenti nello stato, i paesi dei militari coinvolti sollevarono l'ONU da ogni responsabilità e si ritennero direttamente imputabili delle violazioni commessi dai propri contingenti.
Appare dunque evidente che tutte le problematiche relative alle missioni di peacekeeping sono riconducibili all'assenza di una normativa in materia che regoli e disciplini tale fondamentale attività ed è dunque auspicabile che l'organizzazione decida di disciplinare tale materia anche per la valenza che esse hanno acquisito nel corso degli anni.
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