1. Missioni di peacekeeping.
Il primo modello da prendere in considerazione è quello di missioni di peace keeping organizzate dall' Organizzazione delle Nazioni Unite. Come è noto, in assenza di applicazione dell' art. 43 della Carta con la conclusione di accordi speciali per la messa a disposizione del Consiglio di sicurezza da parte degli Stati membri di truppe a disposizione incondizionata delle Nazioni Unite, la prassi delle operazioni di peace keeping ha visto la conclusione di accordi di partecipazione ad hoc fra Stati e Segretario generale a ciò delegato dal Consiglio di sicurezza, per l' assegnazione di unità militari a specifiche missioni.
Tali accordi sono attualmente negoziati sulla base di un accordo modello, redatto dal Segretariato generale, che risale al giugno 1991 (Model Agreement between the United Nations and Member States Contributing Personnel and Equipment to United Nations Peace-Keeping Operations, Doc. A/46/185). A partire dal 1993 è stato introdotto un sistema, maggiormente istituzionalizzato, di intese di "standby" fra Stati e Segretario generale, vale a dire di individuazione di unità militari appositamente addestrate e pronte ad essere utilizzate su richiesta del Segretario generale per missioni di peacekeeping, ma il cui concreto impiego è condizionato comunque da un' accettazione dello Stato.
Le condizioni relative ai singoli standby agreements sono contenute in Memorandum d' intesa (Memorandum of Understanding) sottoscritti dal Sottosegretario generale per le operazioni di peacekeeping e dal titolare della rappresentanza permanente dello Stato presso l' ONU.
Attualmente, mentre sono circa novanta gli Stati membri che hanno aderito in vario modo al sistema di standby, solo una trentina di essi, fra cui l' Italia (14.5.1997) hanno accettato di vincolarsi con un Memorandum d' intesa.
Durante la missione di peacek
eeping, il personale militare messo a disposizione, pur conservando l' inquadramento nelle forze armate nazionali, è soggetto al comando operativo delle Nazioni Unite. L' istituzionalizzazione del sistema di standby risponde anche all' esigenza di evitare di esperimentare nuovamente casi di peacekeeping, nei quali determinati contingenti nazionali non accettino il comando strategico ed operazionale ONU e restino sottoposti per tutti gli aspetti relativi alla catena di comando e controllo ai soli ordini impartiti dalle autorità nazionali, come è stato notoriamente il caso degli Stati Uniti nell' UNOSOM II in Somalia e nell' UNPROFOR nella ex Jugoslavia.
Quanto allo status dei partecipanti alla missione, il Segretariato provvede a concludere di volta in volta con lo Stato ospite uno "Status of Forces Agreement" che regola dettagliatamente la condizione dei partecipanti all' operazione.
Il testo modello di tali accordi è stato redatto dal Segretariato nel 1990 (Doc. A/45/594 del 9.10.1990). Per le questioni di privilegi ed immunità esso distingue cinque categorie di personale partecipante alle operazioni: 1) il Comandante della componente militare, il Capo della polizia civile e altri alti funzionari dello staff di queste autorità godono dello status che la Convenzione del 1946 riserva al Segretario generale e ai sottosegretari generali ONU; 2) i membri del Segretariato che prestano servizio nella componente civile dell' operazione conservano la condizione loro propria ; 3) gli osservatori militari, membri della polizia civile e personale civile non ONU godono della qualifica di "esperto in missione" ai sensi dell' art. VI della Convenzione del 13.2.1946 relativa alle immunità e privilegi dei funzionari ONU; 4) il personale militare gode dello status specificamente dettato dall' accordo (art. 27 del testo modello d' accordo); 5) il personale reclutato sul luogo gode dell' immunità dalla giurisdizione civile per attività d' ufficio ed esenzione fiscale degli emolumenti ricevuti dall' Organizzazione.
Per quanto riguarda in particolare lo status dei partecipanti militari, essi sono immuni dalla giurisdizione penale dello Stato ospite e soggetti all' esclusiva giurisdizione dello Stato nazionale, mentre l' immunità dalla giurisdizione civile è limitata all' attività ufficiale della missione. Il Comandante della Forza è invece responsabile per la disciplina dei membri e può nominare una componente di polizia militare allo scopo. Aspetto centrale del SOFA è infine quello della libertà di movimento dei membri dell' operazione. Il Par. 12 del testo modello prevede la più ampia libertà di spostamento del personale, ma lo spostamento di un elevato numero di persone, merci e veicoli attraverso aeroporti, ferrovie e strade utilizzate per il traffico generale del Paese deve essere coordinato con il governo dello Stato ospite.
La conclusione tempestiva di un SOFA tra Nazioni Unite e Stato ospite è raccomandata dall' Assemblea generale nella risoluzione 52/12 del dicembre 1997, nella quale si stabilisce che in assenza di un tale accordo, il modello d' accordo dovrebbe essere applicato in via transitoria.
Ripetuti episodi di attacchi a componenti della forza di peacekeeping, specialmente in situazioni di anarchia e guerra civile, hanno condotto alla stesura da parte dell' Assemblea generale di una Convenzione, aperta alla firma il 9.12.1994, relativa alla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e personale associato.
2. Altre operazioni di pace.
Una situazione diversa è quella che viene a determinarsi nell' ipotesi di operazioni multilaterali di peacebuilding approvate ma non organizzate dall' ONU, come è ad esempio il caso della IFOR dal dicembre 1995 al dicembre 1996 ed ora SFOR in Bosnia-Erzegovina. L' appendice B all'allegato 1A dell' Accordo di pace di Parigi del 14.12.1995, contemplante gli aspetti militari del dislocamento della Forza di pace, comprende tre accordi concernenti lo status delle forze NATO ( che ai sensi dell' art. I, 1 b dell' Allegato costituisce il nerbo della Forza) conclusi rispettivamente con la Repubblica di Bosnia-Erzegovina, Repubblica di Croazia e Repubblica federale jugoslava. Essi prevedono in linea di massima l' applicazione della Convenzione di Londra del 19 giugno1951 sullo status delle forze armate NATO all' estero (SOFA NATO). Questioni di dettaglio, ad esempio relative alla riparazione dei danni civili causati dal personale IFOR, sono regolate in un accordo tecnico firmato dalla NATO e il governo della Repubblica di Bosnia-Erzegovina il 23 dicembre 1995, al quale ha fatto seguito un analogo accordo con la Repubblica di Croazia il 1 marzo 1996.
A rigore gli accordi citati vincolano solo la NATO e i Paesi dell' Alleanza partecipanti all' IFOR, ma non gli altri 16 Stati partecipanti e non membri NATO (nell' ordine: Austria, Egitto, Estonia, Finlandia, Giordania, Lettonia, Lituania, Malesia, Marocco, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Svezia, Ucraina, Ungheria). A questo fine si è provveduto a scambi di lettere fra il Segretario generale NATO e i rispettivi governi dei 16 Paesi per precisare diritti ed obblighi dei loro contingenti. Essi sono posti sotto il controllo operativo del comandante supremo delle forze alleate in Europa (SACEUR), rispettano le regole di ingaggio NATO e godono del medesimo status delle Forze NATO.
La NATO aveva ritenuto di potere adottare una soluzione analoga anche per la Forza militare multinazionale prevista negli accordi di Rambouillet del 23.2.1999 relativamente alla crisi del Kosovo. E' noto che fra i motivi del rifiuto della delegazione serba alla firma degli accordi vi era lo status della Forza ai sensi dell' Appendice B del capitolo VII dell' Accordo, che garantiva sulla falsariga del SOFA per l' IFOR e SFOR ampie immunità e piena libertà di circolazione della forza nel territorio. Pur riconoscendo la parziale pretestuosità di questo motivo di rifiuto, è innegabile che, come è stato evidenziato da autorevole dottrina, ben difficilmente la Serbia avrebbe potuto accettare una simile limitazione della propria sovranità nell'ambito di una soluzione pacifica di un conflitto ancora interno, come era quello del Kosovo nell' inverno del 1998.
Il precipitare degli avvenimenti, con l' attacco aereo di 10 Paesi NATO alla Repubblica jugoslava tra il marzo e il giugno 1999 ha determinato una situazione completamente diversa. L' Accordo militare tecnico firmato il 9 giugno 1999 dal Comandante della Forza e il Governo della Repubblica federale jugoslava e della Repubblica di Serbia stabilisce all' Art. I, par. 2 che "The State Governmental authorities of the Federal Republic of Yugoslavia and Serbia understand and agree that the International Security Force will deploy and operate without hindrance within Kosovo and with the authority to take all necessary action to establish and maintain a securte environment for all citizens of Kosovo and otherwise carry out its mission. They further agree to comply with all the obligations of this Agreement and to faciliatte the deployment and peration of this Force". Ai sensi dell' Art. V dell' Accordo il Comandante della Forza, denominata KFOR in seguito alla risoluzione 1244 del 10.6.1999 del Consiglio di Sicurezza ONU, è l' autorità finale per l' interpretazione dell' Accordo e degli aspetti relativi alla sicurezza. Le sue decisioni sono vincolanti nei confronti di tutte le Parti e persone.
Nell' Allegato B all' Accordo sono fissate alcune norme di base relative al funzionamento e alle operazioni della Forza. Il punto 2 dell' Allegato è particolarmente indicativo della latitudine dei poteri del Comandante militare della Forza. In esso è detto che "the Commander shall have the authority, without interference or permission, to do all that he judges necessary and proper, including the use of military force, to protect the international security force, the international civil implementation presence, and to carry out the responsibilieties inherent in this Military Technical Agreement and the Peace Settlement which it supports." (corsivo aggiunto). Il punto 3 dell' Allegato specifica che né la Forza né alcuno dei suoi membri o personale sarà tenuto responsabile per qualsiasi danno a proprietà pubbliche o private che possa essere arrecato nell' esercizio dei doveri correlati all' implementazionedell' Accordo. E' prevista la conclusione di un SOFA "as soon as possible", ma a tutt' oggi questo non è avvenuto. Viceversa è intervenuto un accordo con il governo russo per la partecipazione russa alla KFOR (Helsinki, 18.6.1999), che riprende per vari aspetti i meccanismi di coordinamento fra forze NATO e non NATO all' interno dell' IFOR e SFOR. Quella che viene definita nell' Accordo la "Russian exception" consiste nella rinuncia della NATO ad esercitare il controllo politico e militare anche sul contingente russo. Viene però assicurato da parte russa il rispetto delle regole d' ingaggio NATO e la piena libertà di manovra ed operazione della KFOR anche nei sottosettori (quelli francese, tedesco e statunitense) con presenza di truppe russe, nel caso che il comandante russo non accetti di eseguire un ordine del Comandante della Forza.
Anche sotto il profilo qui in esame dello status delle forze armate è dubbio che la soluzione imposta dalla NATO alla crisi del Kosovo possa servire da modello per il futuro di operazioni di pace.
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