Uno degli aspetti più inquietanti del nostro mondo contemporaneo è la diffusione di una crescente distruttività della conflittualità armata nelle società umane.
Il secolo XX si è aperto sui soldati al macello tra le trincee della I guerra mondiale, è stato percorso dalle strategie di annientamento e sterminio della seconda, si è chiuso sul pullulare di conflitti "minori" non meno devastanti e sanguinari.
È stato anche il secolo che ha visto gli Stati sovrani raccogliersi in una Comunità retta dal diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite dichiara essere obiettivo prioritario dell'Organizzazione:
"Maintenir la paix et la securité internationales [...] et réaliser, par des moyens pacifiques, conformément aux principes de la justice et du droit international, l'ajustement ou le règlement de différends ou de situations, de caractère international, susceptible de mener à une rupture de la paix" (Art. 1.1).
Se può essere irrealistico sperare nella possibilità di sradicare in breve tempo la mentalità del ricorso alla guerra per risolvere un contrasto, non deve esserlo altrettanto la pretesa di proteggere ogni persona umana dall'esplosione della violenza guerriera organizzata ed il dovere di tutelare lo sviluppo di bambini ed adolescenti, ai quali deve essere assicurata la possibilità di una vita oltre il conflitto.
Dalla fine della II guerra mondiale il teatro delle ostilità si è spostato nei continenti extraeuropei. La maggioranza dei conflitti ha interessato, ed interessa tuttora, soprattutto paesi in via di sviluppo. Le guerre di decolonizzazione hanno lasciato il posto a confronti di lunga durata tra truppe regolari, gruppi di opposizione armata e gruppi di miliziani paramilitari. La caduta delle contrapposizioni ideologiche, parallela al crollo del muro di Berlino, ha dato la stura all'esplosione di scontri violenti a carattere etnico-religioso, economico o culturale.
Le popolazioni indifese sono state sempre più coinvolte nelle operazioni militari finanche a diventarne il primo obiettivo, come nel caso delle operazioni di "pulizia etnica" o delle strategie di annientamento riapparse drammaticamente nell'ultima decade del secolo XX. Adolescenti e bambini, in una progressione inquietante, hanno impugnato le armi trasformandosi in soldati determinati, capaci di seminare il terrore per la ferocia dei loro comportamenti.
La percentuale delle vittime civili è salita vertiginosamente dal 5% registrato nella I guerra mondiale ad oltre il 90% nei conflitti degli anni '90 . Più di 150 conflitti maggiori, tra il 1945 ed il 1982, hanno causato più di 20 milioni di morti, in maggioranza donne e bambini . Nei dieci anni successivi, il tributo pagato dalla popolazione infantile nei soli conflitti interni è stato di 1,5 milioni di morti, 4 milioni di invalidi e 5 milioni di profughi . "Some military leaders may find it more advantageous to wound rather than to kill enemy personnel -military or civilian- since the opponents must then consume valuable resources to take care of their wounded" .
Dal 1990 sono più di 2 milioni i bambini che hanno perso la vita negli scontri armati e ben più di 6 milioni sono quelli che hanno riportato ferite e mutilazioni. Questo bilancio, già tragico, non cessa di aggravarsi a causa dell'altissimo numero di mine che, distribuite in diversa concentrazione su tutti i continenti, uccidono o rendono invalidi più di 10 mila bambini e bambine ogni anno .
La Convenzione internazionale sui diritti dell'Infanzia (CRC in seguito) stabilisce all'Art. 1 che "si intende per fanciullo ogni essere umano avente un'età inferiore a diciott'anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile." La disponibilità di arme leggere a buon mercato ha facilitato il progressivo coinvolgimento attivo di fanciulli e fanciulle negli scontri armati: vi partecipano indirettamente svolgendo mansioni di supporto quali il trasporto di viveri e munizioni o anche la fornitura di prestazioni sessuali; vi partecipano direttamente combattendo in prima fila. Non è semplice, tuttavia, il rilevamento statistico sulla precisa diffusione di questo fenomeno sociale che esprime il vuoto morale di un mondo dove i bambini e le bambine non rappresentano più il futuro prezioso delle nostre società.
Le insufficienze strutturali dei sistemi di monitoraggio di molti Paesi in via di sviluppo e gli ostacoli posti dal segreto militare si assommano alle difficoltà logistiche connesse allo studio della vita di popolazioni sconvolte da una guerra in atto. Secondo il Rapporto presentato nel corrente anno dal Segretario Generale al Consiglio di Sicurezza dell'ONU sarebbero circa 300.000 i minori di 18 anni coinvolti negli scontri armati . Secondo quanto riferisce Rädda Barnen , l'organizzazione svedese di Save the Children, l'attuale esperto ONU designato per i problemi dell'infanzia nei conflitti armati, M. Otunnu, aveva già denunciato nel 1998 una preoccupante tendenza all'ampliamento del fenomeno. Ciò a soli due anni dalla prima stima effettuata in occasione delle indagini intraprese per lo studio ONU condotto da Graca Machel nel 1996.
la pubblicazione svedese, nell'intento di assicurare un'informazione sistematica sul problema, accompagna l'annuale "Lista Nera" dei conflitti in atto con annotazioni relative al ricorso all'arruolamento di minori. Dei 36 conflitti registrati nel 1998, erano ben 28 quelli nei quali risultava provata la partecipazione diretta di bambini anche al di sotto dei 15 anni . Per il 2000, la "Lista Nera" riporta 31 conflitti in atto di cui 20 già attivi al momento dell'indagine per il già citato studio Machel del 1996. Sapere che la presenza di bambini, tanto nei ranghi delle forze armate regolari quanto tra le fila dei gruppi armati di opposizione, è in parte riconducibile a pratiche di arruolamento forzato, non aggiunge che una sfumatura di orrore ad uno sfruttamento che viola numerosi tra i più fondamentali diritti consacrati, già dieci anni fa, dalla CRC, il corpus di diritto internazionale dei diritti umani che gode di una approvazione universale quasi assoluta .
I bambini-soldato, come i loro commilitoni adulti, debbono fronteggiare lo stress del combattimento.Una rigida disciplina, combinata ad un rischio elevato di morte o di ferite gravi ed invalidanti, struttura e sedimenta esperienze traumatiche che si assommano alle conseguenze psicologiche dell'allontanamento dalla dimensione familiare, indispensabile ad una equilibrata crescita affettiva, sociale e cognitiva. L'inevitabile perdita di cure ed assistenza è aggravata dalle mancate occasioni di esperienze formative di vita sociale quali quelle fornite dalla frequenza regolare della scuola.
Come può il diritto internazionale contenere la distruttività della violenza armata per proteggere l'umanità del domani tutelando i diritti dei bambini e delle bambine di oggi?
Gli strumenti del diritto internazionale pubblico possono contribuire ad orientare la società umana verso pratiche di confronto costruttivo perchè i bambini e le bambine non comprendano che "that one children's right adults are determined to implement is their right to kill and be killed"?
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