E' in un certo senso naturale che le violazioni dei diritti umani siano frequenti nel quadro dei conflitti armati, siano essi interni o internazionali. Nei casi di conflitto interno, complice la tradizione del dominio riservato, queste violazioni assumono proporzioni difficilmente quantificabili e contrastabili.
Il rispetto dei diritti umani durante i conflitti armati è stato affermato con decisione nella risoluzione XXIII adottata nel corso della Conferenza di Teheran del 12 maggio 1968, la quale, rifacendosi alle Convenzioni dell'Aja del 1899 e del 1907, ha riproposto l'attualità della Clausola Martens, secondo la quale gli Stati, durante i conflitti armati, devono applicare al minimo [t]he principles of the law of nations derived from the usages established among civilized peoples, from the laws of humanity and from the dictates of the public conscience. E' seguita, nel dicembre dello stesso anno, la ris. n. 2444 (XXIII) dell'Assemblea generale delle Nazioni unite. Con il rapporto dell'anno successivo, intitolato "Respect for Human Rights in Armed Conflict" (UN doc. A/7720), il Segretario generale ha trattato l'argomento, collegando direttamente il diritto di guerra con i diritti umani ( ). La stessa Assemblea ha poi reiterato, nel corso degli anni, le risoluzioni in materia ( ).
La risoluzione di Teheran contribuisce a chiarire quali sono i rapporti tra diritto internazionale umanitario e diritto internazionale dei diritti umani, che sono due corpi normativi distinti ma complementari ( ). Molti diritti fondamentali durante i conflitti armati sono tutelati in via indiretta dagli strumenti di diritto internazionale umanitario, la cui funzione, come noto, è quella di limitare gli effetti della violenza bellica regolamentando l'uso dei mezzi e dei metodi di combattimento e la protezione dei civili e delle persone hors de combat.
Il diritto internazionale umanitario è contenuto essenzialmente nelle Convenzioni dell'Aja (1899 e 1907) e di Ginevra (1949, con i Protocolli aggiuntivi del 1977). Secondo la Corte internazionale di giustizia (ICJ) sono norme intransgressible, cioé sono norme imperative (ius cogens) ( ). I diritti dell'uomo, come noto, scaturiscono dal processo di implementazione della Dichiarazione universale del 1948. Si può ritenere che i diritti dell'uomo costituiscano un terzo corpus normativo che viene ad aggiungersi al "diritto dell'Aja" e al "diritto di Ginevra" ( ).
A garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo in situazione di conflitto armato interno sono posti l'art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che dalla più parte della dottrina è considerata una sorta di "mini - convenzione" a sé stante, e il II Protocollo addizionale del 1977 ( ).
In linea di principio, il diritto internazionale dei diritti umani si occupa dei rapporti tra lo Stato e l'individuo, ed è fondato sul principio generale secondo il quale le sorti degli individui che si trovano sul territorio di uno Stato o che sono sottoposti alla sua giurisdizione non sono da considerare affari interni ai sensi dell'art.2 (7) della Carta delle Nazioni unite. Il diritto internazionale umanitario tutela l'individuo dalla violenza bellica, da qualunque soggetto essa provenga, e si distingue per la generale applicabilità extraterritoriale delle norme protettive, mentre, come di vedrà in seguito, l'applicabilità extraterritoriale delle norme poste a tutela dei diritti umani rappresenta un'eccezione. Il luogo di elezione della tutela dei diritti umani rimane infatti il territorio dello Stato.
Secondo parte della dottrina, vi sarebbe un diritto umanitario in senso stretto (Convenzioni dell'Aja e di Ginevra), differenziato dal diritto umanitario in senso ampio, con ciò intendendo anche i principi e le norme poste alla protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La concezione del diritto umanitario in senso ampio non è accolta da quegli autori che rilevano che l'applicazione dei diritti dell'uomo prescinde dalle situazioni specifiche in cui la vittima si trova ( ).
Il diritto internazionale umanitario è diritto internazionale in senso proprio, cioè un insieme di norme dirette a regolare una parte dei rapporti tra stati nei casi di conflitto armato. Lo scopo è la protezione dell'individuo, ma la protezione non si esprime nella forma del riconoscimento di diritti dell'individuo ma in quella di obblighi reciproci tra gli stati belligeranti.
La relazione tra diritto internazionale umanitario e diritto internazionale dei diritti umani si fonda sul principio di specialità. La distinzione non è intrinseca, ma riguarda il contesto, vale a dire le diverse circostanze che ne richiedono l'applicazione. A livello sostanziale, le norme si compenetrano e si completano, in particolare durante i conflitti armati non internazionali. A livello procedurale, gli strumenti di tutela dei diritti umani contengono sofisticati meccanismi di enforcement, che sono più efficaci di quelli propri del diritto internazionale umanitario, caratterizzati da un approccio essenzialmente State - oriented ( ).
La Commissione interamericana, trattando il caso noto come case Tablada (Juan Carlos Abella v. Argentina, 1997) ha voluto in via preliminare precisare le relazioni intercorrenti tra le due branche del diritto internazionale di cui qui si tratta. Le argomentazioni della Commissione partono dall'assunto che la Convenzione americana, come gli altri strumenti internazionali e regionali di tutela dei diritti dell'uomo, e le Convenzioni di Ginevra del 1949, condividono un comune nucleo di diritti inderogabili e che è nel caso dei conflitti interni che i due corpi normativi convergono, supportandosi l'un l'altro ( ). La Commissione ha inoltre affermato che l'art. 3 comune può essere considerato puramente e semplicemente una norma di diritto internazionale dei diritti umani, in quanto ribadisce obblighi a cui lo Stato è già tenuto per volontà della Convenzione americana dei diritti dell'uomo ( ). La Commissione analizza poi i rapporti intercorrenti tra il Patto sui diritti civili e politici del 1966 e il II Protocollo addizionale (1977) alle Convenzioni di Ginevra, che regolamenta, come noto, i conflitti armati non internazionali, implementando l'art 3 comune ( ). Quando il II Protocollo garantisce standards di protezione più alti di quelli garantiti dal Patto, in quanto lex specialis, dovrebbe prevalere. D'altro canto, le norme contenute nel Patto non riprodotte nel Protocollo dovrebbero essere considerate integrative della disciplina introdotta da quest'ultimo ( ). La Commissione, citando l'ex presidente della Corte interamericana Thomas Buergenthal, riguardo all'art. 4 del Patto sui diritti civili e politici, ha precisato che uno stato non può adottare misure derogatorie ai sensi dell'art. 4 che violino contestualmente disposizioni inderogabili contenute in altri strumenti di tutela dei diritti umani ( ).
Le norme di diritto umanitario amplificano la tutela dei diritti fondamentali, in quanto obbligano al rispetto di diritti umani fondamentali alcuni soggetti tendenzialmente irresponsabili, come i gruppi armati irregolari e i movimenti di liberazione nazionale. Inoltre, le quattro Convenzioni di Ginevra, con norme analoghe, dispongono affinché gli stati introducano nei loro ordinamenti sanzioni penali per la prevenzione e la repressione delle infrazioni gravi (l'omicidio intenzionale, la tortura o i trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici, il fatto di cagionare intenzionalmente grandi sofferenze o di attentare gravemente all'integrità fisica o alla salute, la distruzione e l'appropriamento di beni non giustificate da necessità militari e compiute in grande proporzione ricorrendo a mezzi illeciti e arbitrari) e procedano contro i responsabili secondo il principio aut punire aut dedere ( ), vale a dire sul principio della giurisdizione universale.
Per ciò che riguarda i conflitti armati non internazionali, che oppongono nel territorio dello Stato le forze governative ad altri gruppi armati, l'esistenza di un conflitto interno non fa venire meno la vigenza del diritto nazionale e gli obblighi del governo di garantire i diritti umani ( ). Per la parte dei diritti umani ritenuta derogabile dagli strumenti internazionali di tutela, soccorre l'art. 3 comune citato, che è norma internazionale inderogabile di diritto internazionale (ius cogens). La norma in esame, combinata all'art. 2 comune alle Convenzioni di Ginevra, richiede un conflitto armato (interno), ma non l'esistenza di scontri su vasta scala o assimilabili comunque a situazioni di guerra civile, e vieta, in ogni tempo ed in ogni luogo, oltre alla violenza proditoria, l'oltraggio alla dignità delle persone e le condanne in assenza delle garanzie processuali ( ). L'art. 3 impedisce in particolare che siano inflitte condanne in assenza di due process of law, mentre l'interpretazione delle norme sui diritti umani internazionalmente riconosciute lascerebbe spazio alla possibilità di esecuzioni sommarie ( ); la stessa norma vieta qualsiasi provvedimento coercitivo che pur non costituendo trattamento inumano o degradante, dovesse rivelarsi oltraggioso per la dignità dell'individuo. Come si vede, la sovrapposizione tra diritti umani e diritto umanitario garantisce un elevato standard di tutela dei diritti della persona.
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