Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Versione integrale
La legittima difesa nella Carta delle Nazioni Unite
Tesi di laurea

Università degli Studi di Brescia
Facoltà di giurisprudenza

Relatore: Prof. Marco Frigessi di Rattalma
Correlatore: Prof. Claudio Dordi
Anno Accademico 1999 - 2000
Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2000

 
Sommario

L'obiettivo è quello di fare in modo che l'Organizzazione delle Nazioni Unite diventi davvero il fulcro delle decisioni internazionali e lo strumento principe per la soluzione delle controversie, internazionali ed anche interne ai singoli Stati.

 
Indice dei contenuti
 
CAPITOLO I - IL DIVIETO DELL'USO DELLA FORZA

1. La Società delle Nazioni
2. Il Patto di rinuncia alla guerra
3. La Carta delle Nazioni Unite
4. Minaccia ed uso della forza
5. Il ricorso "consentito"
6. La forza
7. La risoluzione n.3314, sulla definizione di aggressione
8. Le ipotesi di aggressione. L'aggressione indiretta
9. Cause giustificative dell'aggressione
10. L'articolo 2 e lo ius cogens
11. Ius ad bellum e ius in bello
12. Legittimazione dell'uso della rappresaglia armata


CAPITOLO II - L'ART. 51 DELLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE

13. I lavori preparatori
14. La legittima difesa e il diritto internazionale consuetudinario
15. La legittima difesa nella Carta dell'O.N.U.
16. Condizioni di intervento: l'attacco armato sferrato
17. Status di membro delle Nazioni Unite


CAPITOLO III - LEGITTIMA DIFESA COLLETTIVA ED INTERVENTO DELLE NAZIONI UNITE

18. Legittima difesa collettiva
19. Consenso dello Stato leso
20. Esistenza di preventivi accordi di difesa
21. Patti di sicurezza
22. Limite geografico d'intervento
23. Provvisorietà delle misure adottate
24. Modalità d'intervento del Consiglio di Sicurezza
25. La Guerra del Golfo


CAPITOLO IV - CONDIZIONI DI ESERCIZIO DELLA LEGITTIMA DIFESA

26. Premessa
27. La necessità
28. La proporzionalità
29. L'immediatezza
30. Diritto dei conflitti armati e diritto internazionale umanitario


CAPITOLO V - L'INTERVENTO N.A.T.O. IN KOSOVO

31. Inquadramento storico
32. Le risoluzioni dell'O.N.U.
33. Intervento delle truppe N.A.T.O.
34. La legittima difesa e il diritto umanitario
35. La ris. n.1244: un'autorizzazione ex post all'intervento militare?


OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

BIBLIOGRAFIA
 
Abstract
 

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Lo studio della dottrina, della giurisprudenza e della prassi di questi ultimi anni offre la possibilità di affrontare in conclusione alcuni temi di grande importanza per lo sviluppo futuro del diritto internazionale e, in modo particolare, delle Nazioni Unite, che sono ormai il fulcro dell'evoluzione dei rapporti mondiali.

Innanzitutto è da dire che, nonostante le attuali tendenze alla previsione di ulteriori ipotesi di intervento internazionale, si considerano la legittima difesa, ex articolo 51, e l'autorizzazione concessa dal Consiglio di Sicurezza, ex articolo 53, come le sole condizioni, riconosciute espressamente dalla Carta ai singoli Stati, per intervenire autonomamente a tutela della propria sovranità.

Il progresso continuo del diritto internazionale e dei rapporti tra gli Stati e tra i popoli, dà adito però, appunto, alla necessità di prevedere situazioni diverse, rispetto a quelle che sono espressamente indicate nello Statuto.

È per questo che da più parti si levano indicazioni e proposte per integrare le previsioni della Carta.

Come già evidenziato, studi e fatti accaduti recentemente hanno dimostrato che la tendenza è quella di giustificare azioni militari, al di fuori degli stretti confini delineati dalle ipotesi sopra dette. L'attenzione sempre più spesso mostrata verso l'evoluzione del diritto umanitario richiede che la violazione delle norme che gia esistono, sia garantita con la predisposizione di strumenti efficaci ed immediati.

La situazione si presenta poi ancora più grave se il mancato rispetto di tali diritti si profila all'interno di uno stesso Stato, nell'ambito di guerre civili o di repressioni esercitate dal governo al potere.

Infatti, se è principio ormai consolidato che ogni Stato abbia la possibilità di difendersi per tutelare la propria sfera di sovranità, è altrettanto chiaro che esiste un vuoto normativo che rende difficile garantire le stesse possibilità di difesa per soggetti che Stati non sono o per quelle vicende che si sviluppano nella vigenza della c.d. domestic jurisdiction.

Il caso della guerra in Kosovo, di cui si è ampiamente trattato, è solo l'esempio più recente della difficoltà di predisporre strumenti leciti, per assicurare una tutela cui non è possibile rinunciare.

Il problema di fondo rimane allora quello di provvedere all'allestimento di un apparato che possa rendere certa la reazione contro tali soprusi.

Le convenzioni che sono state stipulate nel corso di questo secolo, a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata a Ginevra nel 1948, già impongono agli Stati una serie di obblighi, al fine di salvaguardare i diritti fondamentali degli individui.

A questo si aggiunge da più parti la necessità di dover superare quel diritto di non ingerenza che assicura agli Stati, entro i propri confini, la possibilità di usufruire appieno di quanto previsto dal principio di sovranità.

Tale considerazione è stata sostenuta anche dal Pontefice, che quest'anno, nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, ha scritto che il dovere di tutelare i diritti dell'uomo trascende i confini geografici e politici entro cui questi sono conculcati" e che "i crimini contro l'umanità non si possono considerare affari interni di una sola nazione.

Le stesse considerazioni sono state alla base delle difese sostenute dagli Stati che sono intervenuti nel gennaio del 1999, in Kosovo, per difendere l'etnia albanese dall'oppressione serba. Ciò che però risalta, in modo evidente, è che oggi una tale protezione è esercitata al limite della liceità, se non oltre questo stesso limite, in situazioni che hanno finalità più spesso politiche, che non di salvaguardia del diritto umanitario tout court.

Con questo, non intendo certo dire che si debba escludere un'implicazione politica negli interventi compiuti dai singoli Paesi; anzi, al contrario, ogni decisione di portata internazionale è il frutto di valutazioni compiute tra gli Stati.

Si considera invece che spesso azioni che hanno pure finalità politiche e spesso obiettivi diversi da quelli manifestati, vengono mascherati dietro presunte necessità di protezione, di volta in volta, di soggetti e situazioni diversi.

La possibilità di ricorrere all'articolo 51 risulta allora ipotesi privilegiata che garantisce la legittimità della difesa, esercitata singolarmente o collettivamente dagli Stati vittima di un attacco armato, ma che non può letteralmente includere altri casi, altrettanto importanti, quali quelli dell'intervento umanitario.

La tutela di queste ultime ipotesi dovrebbe essere infatti affidata al Consiglio di Sicurezza, il quale avrebbe l'onere di adottare le misure che, sulla base di quanto contenuto nell'articolo 2(7), garantiscano il ristabilimento della situazione di sicurezza e il mantenimento della pace.

Tale operazione però non sempre è stata possibile, per la difficoltà di attuare tutte le previsioni volte alla creazione di quell'apparato universale, le Nazioni Unite, che spesso ha mostrato la propria inefficienza, per non dire, la propria incapacità, di garantire un adeguato intervento rispetto alle materie di propria diretta competenza.

Abbiamo già accennato al fatto che la concessione del potere di veto per i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, era stata la motivazione adottata per l'inserimento proprio dell'eccezione contenuta nell'articolo 51.

Questo ha quindi creato modalità di trattamento delle questioni internazionali, molto diverse a seconda dei singoli soggetti, di volta in volta, coinvolti.

L'impasse che il Consiglio stesso ha subito per le divergenze politico-ideologiche dei propri membri, è l'elemento che ha fatto ritenere necessario lavorare ad una modifica del suo sistema di votazione e rilanciare gli obiettivi primari delle Nazioni Unite, quelle finalità previste nell'articolo 1 della Carta.

Di questo si è discusso ampiamente dal 6 all'8 Settembre scorsi al Quartier Generale delle Nazioni Unite, a New York, durante il più grande vertice politico che si sia mai svolto, il "Millennium Summit".

Voluto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per rilanciare il ruolo universale dell'Organizzazione, all'incontro hanno partecipato capi di Stato e rappresentanti di Governo di circa 160 Paesi.

Il vertice è stato preceduto da un rapporto dello stesso Kofi Annan, dal titolo "We the people", nel quale si ribadisce esplicitamente la volontà di giungere ad una più decisa consapevolezza della necessità di riaffermare alcuni obiettivi universalmente riconosciuti, ma il cui raggiungimento sembra difficoltoso.

Nel rapporto si legge infatti che un tempo la guerra veniva considerata ed impiegata come un normale strumento dell'arte politica; essa è oggi universalmente proscritta, eccezion fatta per alcune circostanze molto particolari.

La democrazia, un tempo sfidata dall'autoritarismo in vari modi, non soltanto ha prevalso in gran parte del mondo, ma viene attualmente vista come la forma di governo più legittima e desiderabile, in generale. La protezione dei diritti umani fondamentali, un tempo considerata responsabilità dei soli Stati sovrani, viene attualmente ritenuta un tema di rilevanza universale che va al di là sia dei governi che dei confini.

Per dare sostanza a queste considerazioni, si ribadisce inoltre che è assolutamente necessario fare in modo che il Consiglio di Sicurezza possa essere messo in condizione di intervenire a tutela di situazioni nuove che lo Statuto delle Nazioni Unite non prevede espressamente.

Ci si riferisce proprio all'impossibilità di delegare al solo articolo 51 la difesa legittima delle ipotesi che si possono presentare sulla scena internazionale.

Il Segretario Generale dichiara infatti che siamo lontani rispetto al mondo strettamente internazionale del passato. Ciò è reso evidente dalla differente natura delle minacce alla pace e alla sicurezza che le popolazioni del pianeta debbono attualmente affrontare.

Le clausole dello Statuto presupponevano che aggressioni esterne, un attacco condotto da uno Stato ad un altro, avrebbero rappresentato la principale minaccia; ma negli ultimi decenni molte più persone sono state uccise a causa delle guerre civili, delle pulizie etniche e di atti di genocidio, che sono stati agevolati dall'ampia disponibilità di armi sul mercato globale degli armamenti, che in guerre fra Stati. Dobbiamo allora adattare le nostre istituzioni a questa nuova realtà.

Per riuscire a soddisfare queste esigenze è allora indispensabile che il Consiglio di Sicurezza possa operare efficacemente e godere anche di una legittimità che non possa essere messa in discussione.

Si riconferma poi che non esiste al giorno d'oggi un modo attendibile per mantenere la pace.

E' necessario allora, innanzitutto, rivedere la composizione del Consiglio di Sicurezza che, basata sulla distribuzione dei poteri e sugli allineamenti del 1945, attualmente non rappresenta pienamente né il carattere, né tantomeno le esigenze del nostro mondo globalizzato.

Le riflessioni contenute in "We the people" sono state il fulcro del dibattito al Millennium Summit, che si è concluso con l'adozione, da parte dell'Assemblea Generale, di un documento, la "United Nations Millennium Declaration", un testo programmatico degli obiettivi che gli Stati delle Nazioni Unite si prefiggono per i prossimi anni.

Al II capitolo del documento, dedicato a pace e sicurezza internazionale, si dichiara che le Nazioni Unite devono diventare more effective in maintaining peace and security.

All'VIII capitolo, si legge inoltre che i Paesi dovranno lavorare intensamente per giungere ad una comprehensive reform of the Security Council in all its aspects.

È quindi evidente che la necessità di trasformare le Nazioni Unite, nella direzione della realizzazione di un meccanismo che possa permettere interventi decisi, è universalmente riconosciuta da ogni Stato, firmatario della "Millennium declaration" e di tutti i documenti che, in questi anni, si sono occupati della questione.

Questa stessa conclusione è condotta anche da Sergio Vento, Ambasciatore Italiano all'O.N.U. che, in un'intervista sul quotidiano "La Repubblica", ha manifestato la volontà italiana di chiedere un aumento dei membri non permanenti (ora 10), in modo tale da garantire maggiore rappresentatività a tutte le parti del pianeta.

Egli ha sostenuto che il processo decisionale diventerebbe più flessibile e il peso del diritto di veto potenzialmente ridotto. Il nostro obiettivo è consentire al Consiglio di sicurezza, unitamente al Segretario generale, di agire con maggior efficacia soprattutto sul versante della prevenzione dei conflitti.

Si può quindi dire che esiste da tempo la volontà di attribuire al Consiglio di Sicurezza maggiori poteri decisionali e di rivederne i principi direttivi.

Oltre a questo è però indispensabile riuscire a modificare il sistema di voto che consente ai 5 membri permanenti di poter porre il proprio veto sulle decisioni intraprese dal Consiglio di Sicurezza.

Questo per fare in modo che le posizioni politiche e l'attenzione ai propri partners politici non pregiudichino il raggiungimento degli scopi dell'Organizzazione.

Tale possibilità è peraltro alquanto limitata, dato che le modifiche allo Statuto richiedono il voto unanime di tutti i membri permanenti, che certo a fatica accetterebbero di rinunciare alla prerogativa che gli è garantita.

L'articolo 109, al comma 2, prevede infatti che qualunque modificazione della presente Carta proposta dalla Conferenza Generale - istituita per la revisione del testo della Carta - dei Membri delle Nazioni Unite alla maggioranza dei due terzi entrerà in vigore quando sarà stata ratificata, in conformità alle rispettive norme costituzionali, dai due terzi dei Membri delle Nazioni Unite, ivi compresi tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

In questo quadro, è allora evidente che l'articolo 51 e l'articolo 53 non possono rimanere le sole possibilità d'intervento armato, ma è necessario che gli Stati si attivino per giungere ad una maggiore protezione di ogni diritto.

Questo è reso possibile però solo attraverso un globale riconoscimento del ruolo universale dell'Organizzazione.

Tale funzione era stata ribadita, come già detto, durante il summit di Washington del 23 aprile 1999, quando gli Stati della N.A.T.O. hanno dichiarato: We reaffirm our faith, as stated in the North Atlantic Treaty, in the purpose and principles of the Charter of the United Nations and reiterate our desire to live in peace with all nations, and to settle any international dispute by peaceful means.

Nell'ottica dello sviluppo delle Nazioni Unite è allora indispensabile procedere all'allargamento delle ipotesi che possano permettere il riconoscimento e la tutela di quei diritti che attualmente non compaiono nel testo della Carta e la cui difesa è oggi assolutamente irrinunciabile.

È quindi auspicabile riuscire a trovare soluzioni efficaci in grado di dare attuazione agli impegni che gli stessi membri delle Nazioni Unite si erano presi a San Francisco, quando, nel preambolo della Carta, manifestarono una decisa volontà nel salvare le future generazioni del flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità,

a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole,

a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti,

a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l'uno con l'altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l'accettazione di principi e l'istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell'interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini.

Attualmente non si può che essere in parte scettici sulla possibilità di dare effettiva attuazione a tutti gli obiettivi che le Nazioni Unite si sono poste.

Le situazioni vietate dall'articolo 2(4), in modo particolare la minaccia alla pace, includono certamente anche ipotesi come la violazione dei diritti dell'uomo e questo giustifica un senso di impotenza, da parte di chi vorrebbe tutelare quegli stessi diritti nella maniera più piena.

L'obiettivo è allora, in fine, quello di fare in modo che l'Organizzazione delle Nazioni Unite diventi davvero il fulcro delle decisioni internazionali e lo strumento principe per la soluzione delle controversie, internazionali ed anche interne ai singoli Stati.

 
Bibliografia
 

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