Tra le molte novità introdotte dalla Costituzione europea (tra le quali, ad esempio, la competenza interpretativa della Corte di Giustizia europea anche sul rispetto dei diritti fondamentali, integrata nella nuova Costituzione sub parte II), una in particolare sembra essere stata - con qualche eccezione* - del tutto sottovalutata nella sua portata dirompente per l'acquis communautaire e non solo.
Ci si riferisce, in particolare, alla (nefasta) novità introdotta dal capo II del titolo V parte I della Costituzione europea firmata a Roma il 29 ottobre 2004, intitolato «Disposizioni particolari»: all'articolo I-43, viene codificata la cd. clausola di solidarietà, in forza della quale l'Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale provocata dall'uomo.
Più precisamente, secondo l'art. I - 43, l'Unione:
a) mobilita tutti gli strumenti di cui dispone, inclusi i mezzi militari messi a sua disposizione dagli Stati membri, per prevenire la minaccia terroristica sul territorio degli Stati membri;
b) protegge le istituzioni democratiche e la popolazione civile da un eventuale attacco terroristico;
c) presta assistenza a uno Stato membro sul suo territorio, su richiesta delle sue autorità politiche, in caso di attacco terroristico;
d) presta assistenza a uno Stato membro sul suo territorio, su richiesta delle sue autorità politiche, in caso di calamità naturale o provocata dall'uomo.
La clausola - sulla scorta di quanto già enunciato nella cd. "Dichiarazione di lotta al Terrorismo" del Consiglio Europeo del marzo 2004 di Bruxelles - menziona espressamente «i mezzi militari messi a sua disposizione dagli Stati membri» tra gli strumenti che l'Unione è disponibile a mobilitare, e - si noti - anche per «prevenire la minaccia terroristica sul territorio degli Stati membri» oltre che «per proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile da un eventuale attacco terroristico».
Sembra dunque che l'eventualità di azioni militari preventive, ancorchè mirate a neutralizzare installazioni o cellule terroristiche sul territorio di uno Stato membro, non sia esclusa.
Ciò a superare - nell'interpretazione più lontana dalle radici di pace e solidarietà che dovrebbero essere alla base del foedus europeo - il divieto di uso della forza nelle relazioni internazionali enunciato nell'articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite, quasi aderendo a quella dottrina, finora assolutamente minoritria, che considera legittima ai sensi dell'art. 51 della Carta N.U. (legittima difesa) anche attacchi diretti verso organizzazioni "terroristiche" (con le note difficoltà definitorie, dato che la definizione di "terrorista" o di "combattente per la libertà" implica per tutta evidenza anche un giudizio politico).
La definizione di "aggressione" così come definita nella risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 3314 (XXIX) del 14 dicembre 1974, che all'articolo 1 definisce «aggressione» l'uso della forza armata contro la sovranità, l'integrità territoriale o l'indipendenza politica dello Stato viene dunque riferita tout court anche ad organismi non statuali.
E ciò, incredibilmente, anche in via preventiva, anche se un autorevole commentatore ha precisato che "ovviamente ci si riferisce al consolidato concetto di pre-emptive war e non a quello più rivoluzionario di preventive war. Si tratta cioè di azioni chirurgiche realizzate nell'imminenza di un attentato terroristico di cui si è giunti a conoscenza attraverso l'azione investigativa e di intelligence, e non di un conflitto dalle più vaste finalità e ambizioni, volto a modificare quelle condizioni politiche che offrono assistenza ai terroristi" (cfr. articolo citato in calce).
La Costituzione europea contiene dunque l'espresso riconoscimento del diritto degli Stati a rispondere con l'uso della forza a un attentato terroristico, che vengono qualificati senza dubbio alcuno quali atti militari, superando anche la prudenza definitoria delle risoluzioni 1368 e 1373 dell'11 settembre 2001 del Consiglio di Sicurezza delle N.U., sul «il diritto naturale degli Stati alla legittima difesa individuale e collettiva» di fronte ad attentati terroristici qualificati come semplici «minacce alla pace e alla sicurezza internazionale» anziché come «attacchi armati», secondo quanto l'articolo 51 richiederebbe per essere attivato.
Si pone il dubbio se, dall'entrata in vigore del Trattato che adotta la Costituzione europea, l'azione statuale nei confronti della varie organizzaizoni quali l'ETA, l'IRA o comunque organizzazioni separatiste da giudiziaria e/o di prevenzione possa esprimersi anche tramite interventi militari, sia sul piano interno che del tipo solidaristico, e quindi anche sul piano esterno, di cui alle disposizioni in (sommario) commento.
Se l'interpretazione qui descritta venisse confermata e tradotta in fatti, l'idea di sviluppo finora giustamente attribuito allo sviluppo del diritto comunitario anche sulla strada dei diritti umani e di tutti i principi sottesi a portare beneficio all'umanità, tra i quali ovviamente quello principale della pace, ne uscirebbe gravemente lesa, costituendo ictu oculi una regressione, anche rispetto al generalizzato ripudio dell'uso della forza di cui all'articolo 11 della nostra Carta fondamentale.
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