Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
L'Europa tra democrazia e oligarchia :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Legittimazione e consenso nell'UE Prof. Francesco Paolo Casavola
L'Europa tra democrazia e oligarchia
Paper

*Articolo ripreso da "Treccani Scuola"
http://www.treccani.it/site/Scuola/Zoom/Archivio/scuola_zoom07.htm Pubblicazioni
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Documento aggiornato al: 2004

 
Sommario

Ancora molto cammino si dovrà fare perché l'Europa degli Stati faccia unico corpo con l'Europa dei popoli, o meglio dei cittadini. L'epigrafe tucididea del Preambolo del Documento preparata dalla Convenzione "La nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di una minoranza ma della cerchia più ampia di cittadini" (Tucid. II, 37), deve essere letta come un impegno a continuare una costruzione ancora incompiuta. Se tale restasse, non democratica sarebbe questa costituzione ma oligarchica: la democrazia in Europa è una sfida, che, se perduta, sarà perduta per il mondo e non soltanto per gli Europei.

 
Abstract
 

Il tema che stiamo vivendo è quello della trasformazione, per esprimerci con categorie dei giuristi, di un ente internazionale, quale è stata finora l'Unione Europea, in uno Stato costituzionale. E' utile ricordare che questo processo non è stato tentato ora per la prima volta.

Nel 1952 Francia, Germania Federale, Belgio, Italia, Paesi Bassi e Lussemburgo sottoscrissero un trattato per costituire una Comunità Europea di Difesa, in cui l'art. 38 voluto da Alcide De Gasperi prevedeva che l'Assemblea parlamentare della Ced si costituisse in Assemblea costituente per redigere un progetto di Costituzione federale o confederale per quella piccola Europa dei sei.

Il 10 marzo 1953 l'Assemblea presieduta dal belga Paul-Henry Spaak, approvò una struttura costituzionale con due Camere, un governo, una Corte di giustizia, un Consiglio consultivo economico-sociale. Ma in sede di ratifica la Ced abortì e i problemi della difesa europea furono affrontati con il Patto Atlantico e non con un soggetto costituzionale europeo.

Nel 1958 De Gaulle propose con il piano Fouchet, dal nome del negoziatore da lui incaricato, una confederazione che garantiva la sovranità nazionale degli Stati membri, ma Belgio e Paesi Bassi preferivano un disegno federale e il piano fu bocciato. Paradossalmente mano a mano che l'integrazione europea si inoltrava sulla strada di un ordinamento funzionalista e le adesioni al nucleo originario si allargavano, la meta di una costruzione costituzionale è sembrata allontanarsi.

Non vi è dubbio che nella lunga teoria dei suoi trattati la costruzione europea è andata facendosi sempre più concreta e complessa, si è data organi che non hanno provveduto soltanto alle esigenze di ordinare la messa in comune di risorse, dal carbone e acciaio all'energia atomica, alle produzioni agricole, realizzando un mercato comune, un sistema di interdipendenza monetaria che si è evoluto fino a dar luogo ad un'area di undici paesi a moneta unica, ma anche a stabilire uno spazio giuridico europeo e una carta dei diritti fondamentali.

Malgrado la comune investitura intergovernativa, le istituzioni europee rivelano una duplice e separata natura, politica o burocratico-tecnica. Di questa seconda è caratterizzata la Commissione che però, per essere i suoi membri scelti in base alla loro competenza generale e in modo che offrano garanzie di indipendenza, tenuti come sono a non sollecitare né accettare istruzioni da alcun governo e da alcun organismo, dovendo agire solo nell'interesse generale della Comunità, appare la sola istituzione intrinsecamente europea e non rappresentativa degli Stati membri.

Il corpo normativo, di regolamenti e direttive di varia natura, prodotto da questo centro della struttura istituzionale dell'Unione, insieme alla giurisprudenza della Corte di giustizia, è un vero e proprio ordinamento giuridico sovranazionale, che ha generato una disciplina scientifica speciale, quella del diritto comunitario, che ha posto problemi, variamente risolti, di recepimento e di applicazione negli ordinamenti giuridici nazionali.

Da questo punto di osservazione, si illuminano due corpi architettonici nella costruzione europea. Uno è prevalentemente politico e ha a suo fulcro il Consiglio, l'altro è prevalentemente giuridico e ha a fondamento la Commissione. La semplificazione descrittiva rende ragione del dualismo emerso rispetto ai due organi nella dialettica delle riforme intorno ai lavori della Convenzione. Il passaggio dell'Europa da ente internazionale a Stato costituzionale non va letto nella contrapposizione degli Stati nazionali al Super-stato europeo, perché per dialettizzare i termini di questa coppia si è fatalmente costretti a ricorrere alla modellistica degli Stati compositi, confederati o federali.

L'istanza federalistica originaria del movimento europeista dopo le due guerre mondiali non si è realizzata per la sottovalutazione della resistenza degli Stati nazionali ad abbandonare la coniugazione dell'idea medievale di sovranità con quella moderna di ragion di Stato, che vieta di abdicare alla autodeterminazione in politica estera e impone di opporre la non ingerenza negli affari interni, cardine dell'ordine internazionale.

La storia interna degli Stati europei registra esperienze federalistiche solo per la Germania, gli altri ereditando quelle delle monarchie territoriali. L'eterogeneità geopolitica degli Stati europei è stata ulteriore ostacolo sulla strada del federalismo. Il Regno Unito, lo Stato di gran lunga più potente nello scenario del mondo nei secoli dell'età moderna, è stato il meno europeo fra gli Stati europei, gravitando nell'orbita della civiltà giuridica anglo-americana e in quella politico-economica del proprio Commonwealth.

Lo storico antagonismo di Francia e Germania, la perifericità della Spagna dopo il tramonto della sua egemonia imperiale, la traslazione della Mittel-europa nell'Europa dell'Est, la critica collocazione dell'Italia tra il mondo d'oltralpe e il mondo mediterraneo, e finché è esistito tra il blocco comunista e l'Alleanza atlantica, la relativa estraneità dei tre paesi Norden rispetto alle vicende e ai problemi della parte più estesa e popolata del continente, sono stati fattori strutturali certo non agevolanti l'unità costituzionale dell'Europa.

A questi vanno aggiunti quei dati culturali e politici che hanno aggravato le differenze fra i popoli europei nei secoli XIX e XX. Fino al XVIII secolo l'Europa ha avuto aristocrazie e élites intellettuali nutrite da una comune cultura. La filosofia dei lumi attraversava tutto il continente. Gli illuministi italiani erano letti in ogni parte d'Europa, Voltaire aveva a suo ammirato discepolo Federico II di Prussia, e Diderot era ascoltato da Caterina II di Russia. Dalla nascita degli Stati nazionali ai processi di politicizzazione delle masse, l'enfasi data alle diversità di quei soggetti collettivi che sono i popoli, traverso programmi di educazione nazionale, combinandosi con le grandi ideologie politiche sollecitate dal conflitto sociale, ha provocato intolleranza nazionalistica e razzistica.

In più l'Europa perdeva con le codificazioni nazionali il plurisecolare patrimonio del diritto comune e più tardi la formazione romanistica e comparativistica dei suoi giuristi non solo accademici, ma attivi nelle giurisdizioni, nelle pubbliche amministrazioni, nella diplomazia.

La provincializzazione della cultura giuridica accentuava l'isolamento dei processi di modernizzazione della statualità entro le frontiere nazionali. Un esempio eloquente: fino alla vigilia dell'Unità, la Facoltà giuridica di Napoli aveva due cattedre di diritto comparato, una per il diritto pubblico e un'altra per il diritto privato. Con l'ordinamento didattico del nuovo Regno, scomparvero entrambe.

Malgrado le forti motivazioni dovute al fallimento delle politiche nazionalistiche, naufragate nel sangue di due conflitti mondiali, le diversità a lungo e anche artificiosamente coltivate sono state più resistenti del bisogno di unità.

La prova più clamorosa della debolezza del sogno europeista rispetto alla realtà europea l'hanno fornita fino a qualche tempo fa i partiti attivi in ogni Stato nazionale, in tutte le gradazioni del socialismo, dalle socialdemocrazie al comunismo, e del liberalismo, conservatore e radicale, che hanno svegliato i propri elettori ai problemi dell'integrazione europea, quando hanno dovuto riempire i seggi del Parlamento di Strasburgo e ivi comporsi in famiglie politiche non del tutto omogenee e non sempre concordi.

La strada funzionalista ha condotto a mete importanti finché l'Europa è stata considerata come il luogo di un grande pacifico mercato per la prosperità prima di sei, poi di nove, poi di quindici paesi della sua parte occidentale.

Il traguardo più alto è finora quello dell'area degli undici paesi a moneta unica.

La moneta simbolo primordiale della sovranità dello Stato ha visto cadere questo suo significato politico per rivestirsi soprattutto della sua funzione economica. Eppure non è seguita alla moneta unica una istituzione cui imputare una politica economica unica nell'area degli undici. La strada funzionalista si è come arrestata sulla serialità dei suoi obiettivi omogenei.

Si sono invece posti nuovi e qualitativamente diversi obiettivi, della rappresentanza internazionale dell'Unione nella persona di un presidente a lungo mandato garante di una comune politica estera e della sicurezza, e di un sistema di voto nel Consiglio Europeo che, tolti i casi in cui si conserva l'unanimità, determini le maggioranze con il peso proporzionale al valore demografico dei singoli Stati.

Nel contesto di un documento prodromico ad una vera e propria costituzione, questi punti nodali di un organismo più coeso rispetto all'esistente, che potrebbe in futuro aprire persino la possibilità di una figura unica di Presidente del Consiglio e di Presidente della Commissione, vale a dire, secondo la chiave di analisi qui impiegata, di saldatura tra il corpo prevalentemente politico e quello prevalentemente giuridico della costruzione europea, pongono, per essere fino in fondo compresi, le domande sulla loro genesi.

Con la carta di Nizza del 2000 sembrava che l'Unione tendesse a darsi un Bill of Rights piuttosto che un ordinamento di poteri costituzionali. Dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti e la fase tuttora attiva di grave disordine internazionale, l'esigenza di un'Europa rappresentata in termini costituzionali, e non come una alleanza internazionale di Stati, si è fatta pressante e ineludibile.

La prospettiva di un'Europa allargata a venticinque Stati ha reso indifferibile il problema del meccanismo di voto in organi europei nei quali devono essere equamente contrastate sia la tendenza ad un'astratta e iniqua rappresentanza paritaria sia quella opposta ad un'altrettanto iniqua discriminazione di paesi forti e paesi deboli. Di qui il deferimento di iniziative costituenti ad una Convenzione, che pur non è un'Assemblea costituente sovrana.

Si è detto in questi giorni che ancora molto cammino si dovrà fare perché l'Europa degli Stati faccia unico corpo con l'Europa dei popoli, o meglio dei cittadini. L'epigrafe tucididea del Preambolo del Documento preparata dalla Convenzione "La nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di una minoranza ma della cerchia più ampia di cittadini" (Tucid. II, 37), deve essere letta come un impegno a continuare una costruzione ancora incompiuta. Se tale restasse, non democratica sarebbe questa costituzione ma oligarchica. Attraverso una selezione tra pari i governi degli Stati, non i popoli degli Stati, designerebbero le persone destinate a impersonare i poteri europei.

Il problema della democrazia in Europa diventerà il punto cruciale della vita pubblica in questa parte del mondo. Ogni paese, e quelli che si aggiungono ora dalla Europa centrale e orientale più degli altri, ha crisi della rappresentanza cioè della traduzione delle opinioni e dei bisogni dei cittadini in volontà generale, vale a dire in leggi, atti di governo, ordinamenti giuridici.

La scala europea di processi decisionali ispirati al metodo democratico può sollecitare correzioni sulle scale nazionali. Ma una oligarchia europea non farebbe che accelerare le degenerazioni oligarchiche già vistosamente in atto nei singoli paesi. I poteri sociali, economici, mediatici, corporativi attraversano i tre tradizionali poteri costituzionali e li piegano a interessi che non sono dei cittadini, ma di persone e gruppi.

La democrazia in Europa è una sfida, che, se perduta, sarà perduta per il mondo e non soltanto per gli Europei.

 
Bibliografia
 

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(a cura della Biblioteca dell'IEI)
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