Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Esercito senza bandiere e senza regole: profili di diritto interno ed internazionale del mercenariato militare :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Mercenari e diritto Avv. Nicola Canestrini
 
Versione integrale
Esercito senza bandiere e senza regole: profili di diritto interno ed internazionale del mercenariato militare
Paper

Già pubblicato in Diritto di critica, rivista dell'Associazione giuristi democratici, n.00, 2005, p. 10 ss.
cfr. anche il
Dossier di Equilibri.net
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Centro italiano Studi per la pace
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Documento aggiornato al: 2005

 
Sommario

L'attività dei "soldati di ventura", fino a qualche tempo fa quasi sempre caratterizzata da una sostanziale anarchia, da qualche anno - anche a causa del fallimento del sistema collettivo di tutela della pace e della sicurezza internazionale delle Nazioni Unite - ha subito una radicale trasformazione al più moderno esempio delle società militari private.

 
Abstract
 

[note omesse]

Mercenario (agg., sost.) è "che /chi lavora alle dipendenze altrui in cambio di un compenso di denaro"; deriva infatti dal sostantivo latino merces (-edis), paga, soldo. In ambito militare indica "chi esercita il mestiere delle armi per professione, al servizio di uno stato straniero o di gruppi politici o economici".

Il mercenarismo militare ha radici antiche: nella storia dei conflitti armati civili ed internazionali, si è spesso fatto ricorso a truppe non regolari, assoldate per rispondere a necessità contingenti e dissolte una volta terminata l'esigenza bellica . Dagli eroi delle Guerre del Peloponneso, rese famose dagli scritti di Tucidide e Senofonte, agli italici soldati di ventura , ai violenti Lanzichenecchi vi sono infiniti esempi di come individui, gruppi o armate di combattenti siano stati assoldati per scopi bellici o di sicurezza nel corso dei millenni .

Sebbene manchi una definizione unica e onnicomprensiva delle varie realtà mercenarie, essi hanno rappresentato una costante in quasi tutti i conflitti combattuti nel passato. Da questo punto di vista pertanto, il mercenariato non è assolutamente da considerare un fenomeno marginale della storia militare. Anzi, l'analisi storica delle relazioni militari, porta ad evidenziare che l'elemento "privato" è di gran lunga superiore a quello "istituzionale", ed è con l'avvento dello Stato nazionale e degli eserciti di leva che la gestione di guerra e sicurezza diventa "pubblica" .

Anche nel ventesimo secolo, comunque, in un mondo caratterizzato dai grandi eserciti nazionali, i mercenari hanno svolto un ruolo fondamentale per le sorti di molte guerre: basti pensare al fenomeno recente se non recentissimo del mercenariato in Africa, o nei Balcani.

L'attività di questi "soldati di ventura", tuttavia, era fino a qualche tempo fa quasi sempre caratterizzata da una sostanziale anarchia, sia nell'organizzazione della struttura utilizzata, sia dal punto di vista relazionale: da qualche anno, l'offerta privata di servizi militari ha subito una radicale trasformazione, passando da un modello ben conosciuto a livello internazionale, rappresentato dalla figura tradizionale del soldato mercenario, al più moderno esempio delle società militari private, i cui leader non sono più i temerari ed affascinanti "capitani di ventura" che hanno proliferato durante gli anni Sessanta e Settanta, ma uomini d'affari, che vendono merce assai preziosa: la sicurezza.

Per dirla con Jack Straw, Ministro degli esteri britannico: "Today's world is a far away from the 1960s when private military activity usually meant mercenaries of the rather unsavoury kind involved in post-colonial or neo-colonial conflicts. Such people still exist; and some of them may be present at the lower end of the spectrum of private military companies." E il ministro avverte: "The demand for private military services is likely to increase."

Nel fallimento del sistema collettivo di tutela della pace e della sicurezza internazionale delle Nazioni Unite, si assiste, infatti, alla espansione dell'intervento privato nella gestione della sicurezza e dei conflitti internazionali, ripartito tra i "nuovi" mercenari delle Società Private Militari e di Sicurezza (comunemente definite PMC, con compiti prettamente militari, con ampia gamma di attività, le più estreme delle quali comportano il supporto alle operazioni militari sul campo o l'intervento diretto: dalla pianificazione operativa e ristrutturazione degli organici delle Forze Armate all'addestramento militare rivolto agli addetti alla sicurezza, alle truppe regolari, e in alcuni casi, ai corpi militari d'élite; dal supporto logistico ad attività di tipo prevalentemente bellico quali rifornimento di armi, attività di Intelligence, attività di Polizia militare, trasporto di personale militare e materiale bellico, fino al sostegno diretto alle operazioni militari), e dei Military and Security Contractors (MSC, società impegnate nella fornitura di servizi di sicurezza al mondo pubblico e privato, ma che non intervengono direttamente nei conflitti armati) .

Nel nuovo millennio, i mercenari sono veri e propri businessmen, attori di un mercato, quello della sicurezza, sempre più globalizzato ed integrato: basti pensare che dal 1994 al 2002, il Dipartimento della Difesa statunitense ha stipulato più di 3.000 contratti con società militari private statunitensi . Presenti in oltre 50 paesi , producono un fatturato globale di circa 100 miliardi di dollari l'anno , con scarsa attenzione alla formazione sui principi del diritto umanitario .

L'enorme sviluppo del mercato ha beneficiato del sostanziale vuoto normativo, con la conseguente mancanza di organi di controllo.

Risulta un unico precedente giurisprudenziale di rilievo in tema di mercenari, accennato peraltro solo incidentalmente: quello deciso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 27 giugno 1986, "Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua", Nicaragua v. United States of America , ove la Corte affermò - tra l'altro - che le manovre militari condotte dagli U.S.A. in Nicaragua mediante mercenari erano di per sé illecite, in quanto costituivano una violazione del principio che vieta l'uso della forza, rientrando a pieno titolo in quelle attività che, secondo la Risoluzione n.3314 del 1974 sulla definizione di aggressione, sarebbero riconducibili all'aggressione indiretta, compiuta con l'organizzazione di gruppi armati o il loro semplice sostegno .

A livello di normativa internazionale sono tre gli strumenti principali atti a regolare l'attività mercenaria :

1. la Convenzione dell'Organizzazione per l'Unità Africana per l'Eliminazione dell'Attività Mercenaria in Africa (CEMA), del 1977, entrata in vigore nel 1985 e ad oggi firmata da 26 / ratificata da 25 Stati su 53;
2. la Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite contro il Reclutamento, l'Utilizzo, il Finanziamento e l'Addestramento dei Mercenari, del 1989, ratificata dall' Italia con legge 12 maggio 1995, n. 210 ;
3. l'art. 47 del I Protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1977, ratificato dall'Italia con legge 11 dicembre 1985, n. 762.

Tralasciando per evidenti ragioni di applicabilità territoriale la CEMA , riguardo alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 si osserva che questa costituisce l'unico strumento applicabile universalmente nei confronti delle attività mercenarie, dato che il I Protocollo aggiuntivo è applicabile solo agli stati firmatari del medesimo.

La Convenzione delle Nazioni Unite si pone come principale obbiettivo quello di richiamare il divieto, presente nella Carta delle Nazioni Unite, all'utilizzo e la minaccia della forza contro l'integrità politica e territoriale degli Stati. Tale documento è peraltro entrato in vigore solo il 20 ottobre 2001; esso soffre di numerosi limiti, soprattutto per quanto riguarda il problema della definizione di attività mercenaria; non prende in considerazione la categoria delle PMC e, tantomeno, può essere utilizzata nel regolare l'attività del settore della sicurezza privata, così come esso si è evoluto.

In relazione alla normativa nazionale derivante da detta Convenzione, introdotta dalla legge di esecuzione ed autorizzazione alla ratifica del 210/1995, si segnala che una recente pronuncia la Cassazione ha stabilito che il "reclutamento di mercenari di cui all'art. 4 l. 12 maggio 1995 n. 210 [...] in adempimento dell'obbligo internazionale assunto con la convenzione Onu del 4 dicembre 1989, ha una portata più ampia, comprendendo ogni attività per il reperimento di persone disponibili ad operazioni militari mercenarie e per il raggiungimento di un accordo finalizzato al loro svolgimento" (ed in ciò si distingue dall'attività di arruolamento contro uno Stato estero punita dall'art. 244 c.p., che presuppone la stipulazione di un contratto e l'inquadramento dell'arruolato in una struttura militare; cfr. Cassazione penale, sez. VI, 1 luglio 2003, n. 36776, Nerozzi , in Cass. pen. 2004, 852.)

Detta normativa del 1995 non è stata peraltro (stranamente) invocata nel caso che ha direttamente visto coinvolti quattro cittadini italiani, sequestrati in Iraq nella scorsa primavera e dei quali uno venne giustiziato e tre vennero rilasciati.

A quanto consti finora, l'ipotesi di reato contestata all' "arruolatore" degli stessi è infatti quella p. e p. dall'art. 288 c.p., rubricato "arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno stato estero" perché, in concorso con altre persone, procedeva nel territorio dello Stato e senza l'approvazione del Governo all'arruolamento di F.D, A.M. e C.U. affinché militassero in territorio irakeno in favore di forze armate straniere (angloamericane, per la precisione), in concerto ed in cooperazione con le medesime, in contrapposizione a gruppi armati stranieri.
Ciò pur avendo le indagini finora esperite "consentito [...] di accertare che era effettivamente vero quanto ipotizzato, subito dopo il sequestro dei quattro italiani in Irak, che essi erano sul territorio di quel paese in veste di mercenari, o, perlomeno, di gorilla [...]" , non risultando ad oggi notizia di indagini relative ai tre mercenari - o contractors, operatori della sicurezza, security manager, bodyguards che dir si voglia - italiani (che "erano veri e propri fiancheggiatori delle forze della coalizione e questo spiega, se non giustifica, l'atteggiamento dei sequestratori nei loro confronti" : tutt'altro rispetto agli "operatori umanitari", o "lavoratori italiani all'estero", come pure taluno ha cercato di definirli!).

Il principale (unico?) strumento di regolamentazione (rectius: definizione) internazionale di "mercenario" rimane dunque l'art. 47 del I Protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1977, che lo definisce tramite 6 condizioni, tre positive e ed altrettante negative:

a) che sia appositamente reclutata, localmente o all'estero, per combattere in un conflitto armato;

b) che di fatto prenda parte diretta alle ostilità;

c) che prenda parte alle ostilità spinta dal desiderio di ottenere un profitto personale, e alla quale sia stata effettivamente promessa, da una Parte in conflitto o a suo nome, una remunerazione materiale nettamente superiore a quella promessa o corrisposta ai combattenti aventi rango e funzioni similari nelle forze armate di detta Parte;

d) che non sia cittadino di una Parte in conflitto, né residente di un territorio controllato da una Parte in conflitto;

e) che non sia membro delle forze armate di una Parte in conflitto; e (si noti, "e")

f) che non sia stato inviato da uno Stato non Parte nel conflitto in missione ufficiale quale membro delle forze armate di detto Stato.

Il mercenario, al quale non si applica lo statuto di combattente, è dunque un belligerante cd. non privilegiato, in quanto, in caso di cattura, egli è alla mercè del nemico, e non ha diritto al trattamento di prigioniere di guerra. Normalmente l'azione dei mercenari, nel diritto internazionale, non determina di per sé la responsabilità internazionale dello Stato a cui favore l'azione viene compiuta , salvo restando la nozione di cd. aggressione indiretta di cui alla citata risoluzione delle Nazioni Unite. Le truppe mercenarie non devono di converso nemmeno attenersi alle regole dello ius in bello, e cioè alle regole convenzionali rese a rendere meno afflittive le operazioni belliche nei confronti, ad esempio, dei civili, o dei prigionieri (che forse nemmeno conoscono).

Nulla invece dice - ne potrebbe dire - il I Protocollo sulla regolamentazione / definizione del fenomeno.

Concludendo: se da una parte manca dunque la regolamentazione normativa delle attività degli "operatori della sicurezza", e dunque la possibilità di un controllo sulla loro forza militare, sui metodi d'ingaggio, sull'operato, rimane dall'altra l'indubbio vantaggio di esentare i governanti dal rendere conto delle azioni da questi compiute, ma anche di non dover rendere conto all'opinione pubblica delle sorti dei "soldati privati".

Ciò non toglie che la via della democrazia non conosce scorciatoie: la guerra non produce pace, l'ingiustizia delle regole del mercato senza controllo non crea giustizia sociale, nemmeno quando il business è protetto dai mercenari.

 
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