Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Europa e terrorismo Dr. Stefano Dambruoso
Ad un anno da Madrid, l'11 settembre europeo
Paper

L'autore è esperto giuridico presso la rappresentanza italiana Onu a Vienna

tratto dal sito www.giustizia.it
11 marzo 2005 Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2005

 
Sommario

Con Madrid si è anche persa l'illusione - fra quelli che ancora la preservavano - di poter distinguere tra paesi dove le cellule sono soliti svolgere attività di mero supporto logistico e quelli invece potenziali targets di attentati veri e propri. La Spagna - come l'Italia - sino ad allora era appunto considerato un Paese non "a rischio attentati" dove le cellule terroristiche avevano svolto prevalentemente attività di accoglienza di coassociati provenienti - non esclusivamente - dall'Africa.

 
Abstract
 


Nella lotta contro il terrorismo di matrice fondamentalista si ha spesso la sensazione di procedere attraverso tentativi, errori e correzioni. Le democrazie occidentali stanno letteralmente imparando a declinare il concetto di sicurezza in un modo che sia appropriato alla sfida mortale lanciata loro dall'11 settembre 2001. E' una sfida che non possiamo non raccogliere, pena la rinuncia ai valori più alti nei quali crediamo: la libertà, la democrazia, la tolleranza, l'autonomia della legittimità politica rispetto ad altre, diverse, appartenenze etniche o religiose. E' inutile nascondersi che la lotta sarà lunga. Ma il suo esito potrà essere incerto solo se dovesse mancare o venir meno la determinazione, radicata nella coscienza che nessuna mediazione è mai possibile con chi fa della violenza cieca il proprio esclusivo strumento di azione politica.

In occasione dell'anniversario dell'attentato di Madrid è possibile svolgere alcune riflessioni su cosa di nuovo ha comportato quel fatto stragista e su cosa pertanto abbiamo imparato ai fini di un più efficace contrasto al terrorismo di matrice islamica.

Sicuramente è stato il primo grande attentato in Europa attribuibile a gruppi terroristici nell'accezione che abbiamo imparato a conoscere meglio dall'11 settembre 2001 in poi. Non vi sono infatti precedenti assimilabili, fatta accezione per gli attentati del 1995-1996 in Francia posti in essere dal GIA (Gruppo Islamico Armato Algerino). Siamo perciò diventati più consapevoli della nostra vulnerabilità, traendo al contempo stimoli per una maggiore unione e solidarietà fra i Paesi Europei impegnati nel contrastare il terrorismo islamico. E come prima risposta è stato creato in ambito Unione Europea un ufficio antiterrorismo che nelle intenzioni del legislatore comunitario dovrebbe centralizzare politicamente,ai fini del coordinamento, le strategie di contrasto attuate in ciascun Paese dell'Unione. Dopo un anno di vita i risultati, sia pur parziali, appaiono non soddisfare le aspettative di chi riteneva di aver cominciato - con l'istituzione di quell'Ufficio - un percorso senza indugi verso l'unificazione delle attività di contrasto (intelligence, polizia, attività giudiziaria).

L'11 marzo ha causato, secondo molti, anche la caduta del governo Aznar a favore di Zapatero, che conseguentemente avrebbe ritirato le truppe spagnole dal conflitto iracheno. Anche per chi ricorda che un collegamento causa-effetto tra l'attentato ed il voto politico non ci sia stato, essendo invece stato decisivo l'atteggiamento "deviante" di Aznar nell'attribuire l'attentato all'ETA, è indiscutibile che il messaggio che è passato è proprio nel senso di uno stretto collegamento fra i due eventi. Così come il ritiro delle truppe è apparso essere senz'altro figlio del ricatto politico realizzato dal gruppo terroristico con l'attentato. Anche se Zapatero aveva tra i punti del suo programma politico - più volte rilanciato in campagna elettorale - proprio il ritiro delle truppe dall'Iraq: quindi l'attentato nulla avrebbe aggiunto a questa decisione politica. Ma non v'è dubbio che anche in questo caso il messaggio che è passato è quello di un nesso sicuro tra i due fatti.

Si è pertanto diffusa la consapevolezza - non solo tra gli addetti ai lavori - che vi fosse una strategia stragista posta in essere dai gruppi terroristici di matrice islamica per incidere col terrore sulle scelte politiche (elettorali) dei paesi europei impegnati nel conflitto iracheno. Anche quest'aspetto - sicuramente una novità - non può essere sottovalutato tra le conseguenze dell'11 marzo madrileno; ma non può essere al contempo ignorata una circostanza: il gruppo terroristico autore dell'attentato era già pronto a colpire di nuovo, se non fosse stato bloccato con le velocissime indagini della polizia spagnola (chi non ricorda il suicidio collettivo dell'intera cellula che pur di evitare la cattura decise di farsi saltare in aria nell'appartamento covo alla periferia di Madrid provocando la morte anche di due poliziotti). Tanto per dire che il ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq non aveva fermato la follia terrorista.

Autori dell'attento erano prevalentemente marocchini (anche se egiziani e tunisini non mancavano nella cellula). La matrice "marocchina" ha rappresentato parzialmente un elemento di novità ricollegabile ai fatti di Madrid. Una sorta di leadership dell'area terroristica islamica in Europa veniva assunta - consacrata dall'attentato alla stazione di Atocha - dall'etnia marocchina, che prendeva così il posto (nelle proccupazioni degli apparati di prevenzione) del gruppo tunisino, il più attivo sul continente europeo sin dal 1999 a tutto il 2001. E dei marocchini si è anche parlato in occasione dell'omicidio di Teo Van Gogh, il regista olandese sgozzato alcuni mesi dopo i fatti di Madrid, per strada da un terrorista islamico: colpevole il regista, per il tribunale del terrore dove non è prevista possibilità di difesa, del sol fatto di aver denunciato le discriminazioni ancora oggi sofferte dalle donne mussulmane.

Con Madrid si è anche persa l'illusione - fra quelli che ancora la preservavano - di poter distinguere tra paesi dove le cellule sono soliti svolgere attività di mero supporto logistico e quelli invece potenziali targets di attentati veri e propri. La Spagna - come l'Italia - sino ad allora era appunto considerato un Paese non "a rischio attentati" dove le cellule terroristiche avevano svolto prevalentemente attività di accoglienza di coassociati provenienti - non esclusivamente - dall'Africa. L'avvento di nuovi - e perciò poco noti - leaders, più violenti, la cui strategia aggressiva non sempre è intercettabile in tempo, possono mutare radicalmente la geografia del terrore sul territorio europeo. E tanto corrisponde alla nuova fisionomia di Al Qaeda. Non più una "base" coordinatrice in Afghanistan, (smantellata con l'operazione Enduring Freedom) ma tante realtà locali in collegamento tra loro. La decentralizzazione si è tradotta, di conseguenza, in un più marcato rapporto con gruppi minori, un rapporto instaurato firmando un patto con quelli esistenti o contribuendo alla loro crescita operativa con l'invio di denaro e di qualche elemento più esperto. Una formazione locale può così progredire in modo anonimo, al riparo dai controlli degli 007, utilizzando uomini non conosciuti alle autorità o comunque ritenuti non così pericolosi. La strage di Bali firmata dalla Jemaa Islamiya e quelle di Istanbul rivendicate dal Fronte dei cavalieri del Grande Oriente ne sono i segnali, che hanno preceduto Madrid.

Oggi - senza creare inutili allarmismi - si deve affermare che esiste una possibilità comune di rischio "attentati" fra i Paesi maggiormente attivi - anche se non in Iraq - nel contrastare questo fenomeno criminale (con l'attività di prevenzione e con quella giudiziaria). Anche l'Italia quindi deve mantenere alta la tensione investigativa. Ed in verità in quest'ultimo anno è proprio ciò che è stato fatto. Grazie alla cooperazione fra Italia, Spagna, Belgio e Francia sono stati arrestati, due mesi dopo i fatti di Madrid, membri di cellule radicate in Europa - ed in stretto contatto con quella spagnola - pronti ad eseguire nuovi attentati. Ed in particolare a Milano, nel maggio del 2004, è stato arrestato un egiziano ritenuto una delle menti che avevano organizzato l'attentato dell'11 marzo. L'Italia, e Milano in particolare, confermava così la sua rilevanza nella mappa dei luoghi di interesse investigativo in questo contesto, per la presenza di cellule ancora attive. E tanto nonostante le diverse indagini degli ultimi tre anni che hanno portato all'arresto di decine di appartenenti a gruppi terroristici radicati nell'area milanese.

Sul terrorismo non è facile fare previsioni, perchè le varie formazioni, a cominciare da Al Qaeda, vivono di sorprese. Cambiano, si adattano, provano a sfondare dove non te lo aspetti. Molto dipenderà dagli eventi diplomatici. La politica americana dopo le presidenziali. L'evolversi della situazione irachena. L'irrisolta questione palestinese che racchiude un dramma ma diventa "la coperta estensibile" per mille cause. L'eventuale cattura di bin Laden: gli Stati Uniti sono convinti che il suo arresto sia questione di mesi, resta da vedere se ciò che ha insegnato resisterà.

Non meno importante il rapporto tra l'Occidente e il mondo musulmano. Credere nell'integrazione, aprirsi criticamente alle legittime istanze del mondo musulmano moderato, armonizzare le leggi in materia di terrorismo, non abbassare la tensione investigativa e la cooperazione giudiziaria, tra polizie e tra apparati di prevenzione. E soprattutto privare di qualsiasi incentivo o giustificazione chi è pronto a indossare la cintura esplosiva del kamikaze. Ma uno sforzo è richiesto a tutti: continuare a vivere, senza lasciarsi completamente condizionare dalla minaccia terroristica, perchè diversamente avrebbero già vinto loro.

Stefano Dambruoso
Esperto giuridico presso la rappresentanza italiana Onu a Vienna

11 marzo 2005