Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Terrorismo islamico: il nemico di tutti. Che fare? :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Terrorismo islamico: il nemico di tutti. Che fare?
Paper

GNOSIS n. 1/2005
dal sito
www.sisde.it Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2005

 
Sommario

L'11 settembre americano, l'11 marzo madrileno e il 3 settembre di Beslan sono le date simbolo di una guerra globale combattuta da eserciti "asimmetrici". Da una parte società e strutture giuridico-militari tradizionali e, dall'altra, un'armata internazionale composta da aspiranti shahid, sceicchi, imam, ulema, guerriglieri, finanzieri, esperti di computer tutti fiancheggiati da una minoranza integralista disposta a tutto..

 
Indice dei contenuti
 
Rispondono Magdi ALLAM, Lucio CARACCIOLO, Padre Giuseppe DE ROSA, Maurizio MOLINARI.
 
Abstract
 

Il primo titolo al quale avevamo pensato per questo Forum era "Islam radicale contro Occidente. Che fare?". Una veloce riflessione critica ci ha suggerito il cambiamento, perché ormai l'asse di conflitto con l'Islam radicale attraversa frontiere ben più ampie di quelle dell'Occidente geografico e politico. Il conflitto col radicalismo vede infatti in prima linea, oltre alle democrazie laiche e liberali, molti stati a maggioranza islamica, l'est Europa, i Balcani, Israele. La prima domanda riguarda quandi il conflitto - asimmetrico - in atto tra radicalismo islamico e resto del mondo.

D: L'11 settembre americano, l'11 marzo madrileno e il 3 settembre di Beslan sono le date simbolo di una guerra globale combattuta da eserciti "asimmetrici". Da una parte società e strutture giuridico-militari tradizionali e, dall'altra, un'armata internazionale composta da aspiranti shahid, sceicchi, imam, ulema, guerriglieri, finanzieri, esperti di computer tutti fiancheggiati da una minoranza integralista disposta a tutto..
Come delineate i caratteri religiosi, ideologici e tecnico-operativi di questo conflitto (sempre che si concordi sulla definizione di conflitto)?


Padre Giuseppe De Rosa - Per comprendere il terrorismo di matrice islamica, la sua natura, gli scopi che intende raggiungere, gli strumenti e i metodi a cui fa ricorso e che tanto impressionano e spaventano gli occidentali, bisogna ricordare che esso ha dietro di sé una lunga storia ideologica, religiosa e politica, di cui bisogna tener conto per poter dare una "risposta" adeguata ed efficace all'attacco che porta contro i suoi avversari.

Anzitutto, tra le radici lontane del terrorismo bisogna porre il conflitto che fin dalla nascita dell'Islàm ha caratterizzato i rapporti tra il mondo islamico e il mondo occidentale. Conflitto che nei primi secoli si è concluso a favore del mondo islamico, il quale è riuscito a conquistare moltissimi paesi cristiani e a stringere la cristianità in una morsa tremenda, fino a mettere in pericolo l'esistenza stessa di un'Europa cristiana.

Con la cacciata dei musulmani dalla Spagna (1492) e con le vittorie di Lepanto (1571) e di Vienna (1683), il conflitto si è risolto a favore del mondo occidentale, che nel corso dei secoli XVIII-XX è riuscito a colonizzare tutti i Paesi islamici, ad eccezione della Turchia, dell'Afghanistan e dell'Arabia Saudita. Tutto ciò ha costituito una tremenda "prova" - una fitna - per il mondo islamico: se la vittoria sui nemici dell'Islàm è il segno del favore di Allah per i suoi fedeli, Egli come ha potuto permettere che gli "infedeli" s'impadronissero dei Paesi islamici, ne depredassero le ricchezze, ne disprezzassero la legge e la religione fino al punto di voler imporre ai popoli musulmani i loro sistemi politici, le loro leggi e la loro religione?

Col favore di Allah, che non può mancare, i "credenti" "dominano sempre e non possono essere dominati". Perciò, il dominio colonialista sul mondo islamico è un'offesa ad Allah e ai Paesi islamici che non può essere sopportata e che va "vendicata".

Il fatto gravissimo, che ha scatenato il terrorismo contro l'Occidente, è stato che molti Paesi islamici, come l'Iran, l'Egitto, i Paesi del Maghreb, la Siria, dopo essersi liberati dal colonialismo, hanno preteso di "occidentalizzarsi", copiando i sistemi politici, le leggi, la cultura e i costumi depravati dell'Occidente "infedele" e "corrotto". Per opporsi a questa deriva, che portava l'Islam alla morte, è nato il "fondamentalismo islamico", brodo di coltura del terrorismo.

Oggi i focolai del terrorismo sono essenzialmente quello israeliano-palestinese, quello ceceno-caucasico (che si propone non solo l'indipendenza della Cecenia dalla Federazione Russa, ma anche la creazione di un grande blocco islamico comprendente le repubbliche del Caucaso e dell'Asia centrale a grande maggioranza musulmana) e quello iracheno (che ha sposato in pieno la lotta di liberazione dell'Iraq dalle forze americane ed europee di occupazione).

In realtà, il fatto nuovo dell'attuale terrorismo è che esso ha assunto, sia in Cecenia sia in Iraq, un carattere nazionalista: ciò conferisce anche alle sue azioni più nefande un carattere di legittimazione, perchè compiute per costringere le potenze occidentali occupanti (Stati Uniti, Regno Unito e Italia) a ritirare dall'Iraq i propri soldati e cacciare tutti gli "infedeli", americani ed europei, dal suolo iracheno dove si trovano, a Najaf e a Kerbalà, i più venerandi santuari sciiti, sacri alla memoria di Alì e di Huséyn. Una scoperta fatta - sembra - recentemente dal terrorismo, è l'aiuto che i mezzi di comunicazione possono dare al raggiungimento dei propri obiettivi. Così, il terrorismo è divenuto "mediatico" ed ama filmare lo sgozzamento o il taglio delle teste delle sue vittime servendosi di Al-Jazira e di Internet per diffondere le terribili immagini in tutto il mondo e creare, così, sgomento e paura.

I media occidentali fanno un'enorme pubblicità alle nefandezze dei terroristi e, dando sempre più spazio ai crimini dei terroristi perché sempre più orrendi, incoraggiano i terroristi islamici ad essere sempre più sadici e crudeli. Ci si può chiedere perciò se sia eticamente corretto che i media occidentali, per contentare la curiosità talvolta morbosa degli utenti, diano un aiuto tanto grande al terrorismo.

Non si può non rilevare, inoltre, che il terrorismo trae enormi vantaggi anche dalle garanzie che le leggi dei Paesi democratici offrono ai terroristi, permettendo loro di muoversi liberamente nel territorio dello Stato, di uscire e di rientrarvi senza difficoltà, di procurarsi e ricevere finanziamenti per inviarli alle organizzazioni terroristiche, di rifornirsi senza difficoltà di documenti falsi. Negli anni passati, ad esempio, qualche migliaio di aspiranti terroristi, residenti in Italia, è potuto andare ad addestrarsi in Afghanistan, per poi rientrare nel nostro Paese, costituendo anche cellule terroristiche in stretto collegamento con omologhi gruppi in Francia e Germania.



Lucio Caracciolo - Il titolo "Terrorismo islamico nemico di tutti" mi convince solo parzialmente.

Personalmente ritengo che i terroristi islamici - o meglio i jihadisti che usano questa tecnica per raggiungere i loro scopi - non siano in guerra contro "tutti".

I proclami e i fatti prodotti dai jihadisti indicano, infatti, il loro obiettivo strategico nella riconquista alla vera fede delle società e dei paesi musulmani attualmente retti da quelli che essi considerano regimi corrotti asserviti all'Occidente. La guerra in corso è quindi una partita per il controllo di alcuni Stati chiave del mondo islamico, a cominciare da Egitto (da dove viene Ayman al-Zawahiri), Arabia Saudita ("patria" di Osama bin Laden) e Pakistan (dove si trovano probabilmente entrambi). In funzione di questi obiettivi, si tratta di colpire l'asse Israele-Stati Uniti, senza il cui sostegno detti regimi rischierebbero di essere travolti dai movimenti radicali che rivendicano il ritorno alla "purezza" dell'Islam originario.

Un Islam "vincente" in quanto "puro". Una fede in grado di riscattare i musulmani da secolari frustrazioni, risalenti almeno alla "tragedia dell'Andalusia", spesso evocata da al-Zawahiri e dai suoi accoliti come paradigma negativo.

L'uso del terrorismo più spietato e spettacolare, come strumento di guerra, risponde sia a una necessità dovuta al carattere inevitabilmente asimmetrico dello scontro, sia alla ricerca della più vasta eco mediatica, fondamentale anche per il reclutamento di nuovi jihadisti. I quali sono riferiti al marchio al Qaida, che non corrisponde a una specifica organizzazione gerarchica strutturata sul territorio, in quanto comune ispirazione politico-religiosa, quella dell'islam radicale di matrice sunnita. Alcune delle cellule che fanno riferimento a tale ideologia sono in competizione e talvolta in dissidio fra loro, soprattutto quando perseguono agende locali o "nazionali". Di questa galassia Osama bin Laden è stato l'imprenditore principe e ne è diventato l'icona.

Non si tratta, quindi, di uno scontro tra religioni, ma di uno scontro fra terroristi islamici e alcuni Stati del mondo islamico che i paesi occidentali e i loro attuali alleati non intendono lasciare in balia dell'islamismo radicale e delle sue ambizioni geopolitiche.

Per quanto riguarda il fronte che combatte tali gruppi, esso è tutt'altro che coeso e unanime nella valutazione del nemico. Esso non comprende affatto il "resto del mondo" ma consta, grosso modo, dei seguenti schieramenti.

A) Paesi di prima linea impegnati su scala internazionale, guidati dagli Stati Uniti. I quali sono finalmente consapevoli, dopo l'1l settembre, della portata di una minaccia sottovalutata e per questo in passato incentivata (essendo il nemico strategico l'URSS, contro di essa potevano e dovevano essere mobilitati anche i nemici dei nemici, come i mujahidin in Afghanistan). A fianco degli Stati Uniti, e con una funzione spesso strategicamente dirigente anche per l'esperienza maturata sul campo nel conflitto con i palestinesi, lo Stato di Israele; più dietro, Gran Bretagna e paesi europei più vicini agli USA, come Italia e Polonia, oltre all'Australia.

B) Sempre in prima linea, ma su un piano diverso, i regimi filo-occidentali del mondo islamico o che comunque contano sulle potenze occidentali per non essere travolti dai jihadisti, ciascuno dei quali lotta per la sopravvivenza. Dopo l'11 settembre, questo composito fronte, che va dal Marocco al Pakistan e all'Indonesia, ha messo in comune alcune risorse soprattutto di intelligence, per sconfiggere le reti sinteticamente riferite al qaidismo. Ma la sua battaglia è essenzialmente rivolta al fronte interno, alla protezione di sè stesso dalla minaccia islamista. In alcune élite, inoltre, convivono filo-occidentali convinti, filo-occidentali d'occasione e nemici dell'Occidente collusi con i jihadisti, il che provoca effetti ambigui sulle loro politiche anti-terrorismo.

C) Alcuni paesi europei come Francia e Germania che dissentono dalla strategia USA-Israele, in particolare per quanto riguarda il teatro iracheno, ma partecipano alla lotta contro il terrorismo su altri fronti, dall'Afghanistan alla bonifica dei nostri territori dai terroristi. Su questo versante, dopo l'11 settembre, la collaborazione di polizia e di intelligence su scala quasi globale ha prodotto importanti risultati nella prevenzione degli attacchi e nello smantellamento di alcune cellule jihadiste.

D) Cina, Russia e diversi paesi asiatici, come l'Uzbekistan, sono esemplari di un ulteriore modo di interpretare la guerra al terrorismo, basato su tre princìpi: usare l'emergenza post-11 settembre per colpire gruppi islamici attivi sui rispettivi territori, come gli uiguri del Xinjiang o i ceceni, efficacemente ricondotti sotto l'etichetta qaidista; fornire sostegno logistico e/o di intelligence agli americani in cambio del loro appoggio o della loro mancata opposizione alle loro specifiche guerre anti-islamiste; guadagnare tempo per ristrutturare e rafforzare le rispettive economie, in modo che alla fine dell'emergenza terroristica esse possano meglio competere con quelle occidentali.



Magdi Allam - Chiariamo anzitutto che si tratta di una guerra.

Una guerra dichiarata formalmente dalla centrale del terrorismo internazionale di matrice islamica capeggiata da Osama Bin Laden con la nascita nel giugno 1988 del Fronte internazionale per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati. Il suo manifesto esplicita una strategia di conquista dei paesi musulmani, in primis l'Arabia Saudita, per riesumare la Umma, la Nazione islamica. In quest'ambito si legittima il massacro di tutti i civili e i militari stranieri, a cominciare da americani e israeliani, considerati complici dei regimi musulmani che si vorrebbero abbattere.

Si tratta quindi una guerra di natura aggressiva, non reattiva. Bin Laden è riuscito prima a privatizzare il fenomeno del terrorismo, emancipandolo dal monopolio degli "Stati-canaglia" degli anni Settanta e Ottanta (Iraq, Iran, Siria, Libia, Sudan e Yemen), poi a globalizzare una rete di cellule attive e dormienti presenti sia nei paesi musulmani sia in Occidente.

Dopo l'11 settembre 2001 si è accentuato il coordinamento tra Al Qada e diverse sigle del terrorismo di matrice islamica nei territori palestinesi, Iraq, Turchia, Marocco, Yemen, Indonesia, Pakistan, Libano, Egitto e Algeria, fino a promuovere delle attività terroristiche in franchising, che sono cioè ispirate da Al Qada ma firmate da sigle locali.

In questo contesto, Al Qada dà la linea sul piano ideologico e religioso, mentre le singole cellule sono sostanzialmente autonome sul piano del finanziamento, procacciamento di armi ed esplosivi, individuazione dei bersagli e scelta dei tempi dell'attentato. Se non si tiene conto di questo contesto, si incorre facilmente nell'errore di immaginare reattiva una guerra del terrore che è invece aggressiva, così come si confondono i due livelli: i burattinai, che fanno capo a Bin Laden; i burattini del terrorismo, prodotti dei diversi terreni di coltura, che si annidano nelle aree delle crisi più accese, soprattutto nei territori palestinesi e in Iraq.



Maurizio Molinari - Personalmente ritengo che gli eserciti sono asimmetrici ma in conflitto ideologico.

Gli attacchi dell'11 settembre 2001, condotti da Al Qada contro gli Stati Uniti, hanno fatto emergere l'esistenza, dentro il mondo musulmano, di gruppi di attivisti accomunati dall'odio verso l'Occidente, la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti umani. Al Qada è il catalizzatore di un odio ideologico antecedente all'11 settembre ed è a questo odio che si rifanno le cellule islamiche che abbiamo visto all'opera in diverse località, da Madrid a Bali, da Beslan a Taba, da Riyad a Istanbul.

Quest'odio ha in comune con il nazisfascimo ed il comunismo tre elementi: la convinzione che la democrazia liberale sia un sistema di governo in mano a lobbies spregiudicate, espansioniste e militariste; la visione del nostro sistema di vita come una società corrotta e immorale; l'avversione nei confronti degli ebrei.

Come il nazismo si proponeva di creare l'Impero dei Mille Anni ed il comunismo sovietico la società ideale dell'uguaglianza, anche l'Islam radicale (ovvero estremista) ha un disegno globale: la cancellazione dalla carta geografica degli Stati arabi e musulmani frutto della decolonizzazione, considerati corrotti e filo-occidentali, per dare vita ad un Califfato pan-islamico retto da un'interpretazione radicale della legge coranica, per poi sfidare da una posizione di forza l'Occidente con l'obiettivo di vendicare la caduta di Costantinopoli, riconquistando le terre europee che furono sotto il dominio dei Califfi e distruggendo lo Stato di Israele.

Trattandosi di un conflitto ideologico, lo scontro sarà di lunga durata. Anche perché, al momento, nessuno ha a portata di mano una definizione militare di vittoria: il progetto globale di Al Qada non appare realizzabile in breve tempo ma anche l'eliminazione di tutte le micro-cellule che lo perseguono non è prevedibile in tempi stretti.

[...] continua sulla rivista Gnosis del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDe): >>http://www.sisde.it