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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Versione integrale
Lotta al terrorismo nell'Unione europea
Paper

L'Autrice è stata tirocinante del Collegio Europeo di Parma presso il
Centro Documentazione Europa del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna

marzo 2003

tratto da
http://consiglio.regione.emilia-romagna.it/europa/Sicurezza/Terrorismo.htm Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2003

 
Sommario

Ad un anno dall'attacco alle Torri Gemelle, la Commissione europea ha tracciato un bilancio sull'attuazione del Piano d'Azione del 21 settembre 2001 per la lotta al terrorismo. In sostanza, l'Unione europea è intervenuta essenzialmente nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia, attraverso l'adozione di misure come il mandato di arresto europeo, la definizione comune di terrorismo, l'istituzione dell'Eurojust e le squadre investigative speciali antiterrorismo dell'Europol. Oltre a questo, vengono costantemente aggiornati gli elenchi delle organizzazioni terroristiche e dei loro membri nei confronti dei quali vengono adottate misure restrittive in tema di congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie.

 
Indice dei contenuti
 
I) INTRODUZIONE

1. Il terrorismo nello scenario internazionale
2. Politica estera, sicurezza interna e lotta al terrorismo: la cooperazione europea

II) LA LOTTA AL TERRORISMO NELL'UNIONE EUROPEA

1. Il trattato di Maastricht
2. Il trattato di Amsterdam
3. Attuazione delle disposizioni dei trattati riguardanti il terrorismo

III) LA RISPOSTA DELL'EUROPA ALL'11 SETTEMBRE

1. Il Consiglio europeo straordinario di Bruxelles
2. Misure restrittive specifiche relative al finanziamento del terrorismo
 
Abstract
 

I) INTRODUZIONE

1. Il terrorismo nello scenario internazionale

Le radici del terrorismo vanno cercate alla fine degli anni Trenta. La prima Convenzione di qualche spessore - sebbene mai ratificata - è quella di Ginevra del 1937: fu convocata sull'onda dell'attentato terroristico costato la vita al re Alessandro di Jugoslavia e al ministro degli Esteri francese Louis Barthou che seppe richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sul fenomeno. La Convenzione dovette subito scontrarsi con il problema centrale della questione: la definizione dell'atto terroristico. E' interessante sottolineare come questa Convenzione assume la struttura dicotomica che sarà poi tipica di tutte le successive convenzioni. Dal 1937 in poi ogni strumento convenzionale affronterà da un lato il problema delle misure preventive e, dall'altro, quello delle misure repressive.
Dopo la seconda guerra mondiale il fenomeno del terrorismo passò in secondo piano per la presenza dei problemi connessi alla ricostruzione post-bellica.
Solo negli anni Sessanta il tema ricominciò ad affiorare in tutta la sua gravità. Infatti, è proprio a partire da allora che sono state redatte numerose Convenzioni. Le più rilevanti (L'Aja 1970 - Montreal 1971) furono promosse dalla Organizzazione internazionale per il traffico civile aereo perché ci si era ormai distaccati dall'identificazione dell'atto terroristico con l'attentato dinamitardo. Si intuì che il terrorismo cominciava a sviluppare nuove forme di aggressione tra cui la pirateria aerea sembrava incontrare il favore delle organizzazioni terroristiche.
Nel volgere di pochi anni, a New York furono siglate altre due Convenzioni molto importanti: quella del 1973 che aveva per oggetto il sequestro a scopo terroristico di ostaggi diplomatici e di coloro che svolgevano funzioni per conto di uno Stato; quella del 1979 che si occupava del sequestro di ostaggi civili. Anche la pirateria marittima fu oggetto di disciplina convenzionale dopo la tragica esperienza della nave italiana Achille Lauro nel 1985: la Convenzione di Roma del 1988 ne fu la diretta conseguenza. Infine, particolarmente importante è stata la firma a New York di altre due convenzioni: nel 1997 per la repressione degli attentati terroristici mediante l'uso di esplosivi e nel 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo.
In ambito europeo, il problema è sempre stato particolarmente avvertito. Infatti, a livello internazionale, lo sforzo maggiore è stato realizzato proprio con la Convenzione europea per la repressione del terrorismo, promossa dal Consiglio d'Europa e firmata a Strasburgo nel 1977. Si tratta della prima convenzione in cui vi è un'elencazione dei reati considerati atti terroristici (cfr. "Il terrorismo: un pericolo per l'Europa", Rivista della Fondazione Europea Dragan, n.16, 2002).

2. Politica estera, sicurezza interna e lotta al terrorismo: la cooperazione europea

Nel quadro istituzionale comunitario, gli Stati membri non si sono potuti occupare del problema del terrorismo sino alla firma del Trattato di Maastricht, nel 1992, cioè sino alla nascita dell'Unione europea e dei due "pilastri" della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e della cooperazione in tema di giustizia e affari interni (GAI).
Tuttavia, il problema della cooperazione nei settori afferenti la politica estera o la sicurezza interna era stato avvertito sin dagli anni '60. Già a partire da quegli anni, ma soprattutto nel decennio successivo, infatti, si moltiplicarono le iniziative per la collaborazione informale dei governi al di fuori del quadro comunitario. Tale cooperazione venne formalizzata nel dicembre del 1974 a Parigi, quando i vertici dei capi di Stato e di governo presero il nome di Consiglio europeo.
Le riunioni del Consiglio europeo, che non era una istituzione comunitaria, ma uno strumento di cooperazione intergovernativa, servirono ai governanti europei per confrontarsi e discutere sia dell'accelerazione della costruzione comunitaria sia, ed è questo l'aspetto maggiormente significativo, per concordare un'azione comune nei settori della politica estera e di difesa e della giustizia ed affari interni.
Uno dei primi esempi di questo tipo di cooperazione ebbe ad oggetto proprio la lotta al terrorismo: nel dicembre 1975, infatti, fu istituito a Roma il cosiddetto gruppo TREVI (acronimo di Terrorismo, Radicalismo, Eversione, Violenza Internazionale). Il gruppo era composto dai ministri dei Paesi membri competenti ad avviare una cooperazione nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata e per la difesa dell'ordine pubblico. Si sviluppò, quindi, una collaborazione di carattere informale tra le forze di polizia, con la creazione, nel 1976, di alcuni specifici gruppi di lavoro, denominati TREVI 1 (lotta al terrorismo) e TREVI 2 (cooperazione di polizia per le questioni di ordine pubblico). Nel 1985 la cooperazione venne rafforzata con l'istituzione del TREVI 3 (cooperazione in materia di lotta al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata). Fu il TREVI 3 a creare un'agenzia per lo scambio di informazioni sul traffico illecito di droga (EIDU), che ha aperto la strada alla costruzione, negli anni '90, di un ufficio di polizia europeo (Europol).
L'autonomia della cooperazione intergovernativa in materia di lotta alla criminalità organizzata rispetto all'integrazione europea andò riducendosi con la prefigurazione dell'Unione europea.
Nel 1986 l'Atto unico europeo (AUE) fissò la data del 31 dicembre 1992 come quella in cui realizzare il mercato unico e stabilì lo schema delle misure necessarie alla sua realizzazione.
A tal fine, nel dicembre del 1988 fu stabilito il gruppo di lavoro TREVI 1992, con il compito di incrementare la cooperazione di polizia per favorire l'eliminazione dei controlli alle frontiere intracomunitarie, in vista della creazione del mercato unico europeo. Questo nuovo ruolo «semi-ufficiale» della cooperazione non solo accrebbe le competenze attribuite a TREVI 1992, ma spinse verso una maggiore trasparenza e pubblicità dei suoi lavori, di cui furono esempi la pubblicazione di una dichiarazione (dicembre 1989) e di un «Programma d'azione relativo al rafforzamento della cooperazione in materia di polizia e di lotta al terrorismo o altre forme di criminalità organizzata» (giugno 1990). Agli inizi degli anni 90 si procedette quindi all'istituzione del Secondo e Terzo pilastro dell'Unione europea, che avvenne al Consiglio europeo di Maastricht, quando al gruppo TREVI venne assegnato anche il compito di preparare la nascita di Europol. Questa rete di contatti intergovernativi, che non aveva funzioni operative, ma di semplice collaborazione, ha affiancato l'evoluzione delle tre Comunità sino al Trattato di Maastricht, per poi essere da questo in gran parte disciplinata.


II) LA LOTTA AL TERRORISMO NELL'UNIONE EUROPEA

1. Il trattato di Maastricht

Il 7 febbraio del 1992 viene sottoscritto a Maastricht il Trattato sull'Unione europea che trasforma la CEE in Comunità europea (CE), sottolineando gli aspetti politico-sociali dell'integrazione, e le affianca due nuove forme di cooperazione, denominate tradizionalmente il Secondo ed il Terzo pilastro dell'Unione. Si tratta della Politica estera e di sicurezza comune (la PESC) e della Cooperazione nel settore della Giustizia e degli Affari interni (la CGAI). Con il Trattato di Maastricht, che entrerà in vigore nel novembre del 1993, i partners europei decidono, quindi, di estendere la loro integrazione, sviluppando una cooperazione in settori storicamente considerati come soggetti all'esclusiva sovranità nazionale.
Come primo passo di fronte ai contrasti tra i Paesi membri, si decise di regolamentare tali materie al di fuori dei meccanismi comunitari in senso stretto, caratterizzati dalla presenza di un controllo giurisdizionale, dalla possibilità di emanare atti vincolanti anche a maggioranza e dalla presenza delle istituzioni comunitarie nel processo decisionale. Il Secondo ed il Terzo pilastro furono concepiti come una via di mezzo tra la collaborazione intergovernativa classica, sviluppatasi fino ad allora, e sottoposta solo alle regole del diritto internazionale ed il quadro istituzionale comunitario, caratterizzato da procedure legislative e giudiziarie molto avanzate.
La lotta al terrorismo si inquadra nel Terzo Pilastro dell'Unione europea, essendo stata espressamente richiamata all'art. K 1 del Trattato di Maastricht ed essendo, attualmente, contenuta nell'art.29 del Trattato di Amsterdam sull'Unione europea. Tuttavia, il terrorismo internazionale tocca in modo significativo anche la politica estera e di sicurezza comune, così come dimostrato dai recenti interventi comunitari nel settore, in seguito agli attacchi dell'11 settembre, per i quali sono state adoperate, come base giuridica, norme contenute nel secondo come nel terzo pilastro. E', quindi, necessario tenere presenti gli strumenti a disposizione sia del Terzo Pilastro dell'Unione che della PESC per poter capire come l'Unione sia intervenuta o possa intervenire in questo settore.

Per quel che riguarda il Terzo pilastro dell'Unione europea, il Trattato di Maastricht si proponeva di istituzionalizzare e di «sviluppare una cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni», regolamentando quella rete di comitati, gruppi di lavoro informali e contatti che fino ad allora si erano sviluppati al di fuori di qualsiasi cornice giuridica e di un controllo democratico da parte dei parlamenti nazionali e delle istituzioni comunitarie.
Per raggiungere «l'obiettivo di agevolare la libera circolazione delle persone garantendo nel contempo la sicurezza dei loro popoli» la cooperazione del Terzo pilastro doveva riguardare nove settori specifici, considerati di «interesse comune», tra i quali "...la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo" (art. K 1).

Il Trattato di Maastricht regolamentava la cooperazione nei suddetti settori in maniera differente rispetto al sistema comunitario. Il ruolo più importante era riconosciuto al Consiglio, il quale riuniva periodicamente i ministri competenti sotto la denominazione di Consiglio Giustizia e Affari interni. Spettava al Consiglio l'adozione di posizioni comuni e azioni comuni, nonché l'elaborazione di convenzioni di cui raccomandare l'adozione da parte degli Stati membri (art.K3). Gli atti che potevano essere adottati in questo settore, si caratterizzavano, in realtà, per una estrema vaghezza. Le azioni comuni e le posizioni comuni non erano definite, né erano specificati i loro effetti giuridici, di modo che in realtà apparivano incerti i poteri del Consiglio. Di conseguenza, non era chiaro ciò che gli Stati potevano fare, oltre a informarsi e consultarsi reciprocamente e coordinare la propria azione. Le convenzioni internazionali, d'altro canto, per essere in vigore, dovevano essere sottoscritte da tutti gli Stati membri, condizione alquanto complicata da realizzare.
Le altre istituzioni comunitarie si caratterizzavano per un ruolo di secondo piano nel Terzo pilastro. Alla Commissione, pur «pienamente associata» ai lavori, era riconosciuto un limitato diritto di iniziativa ed il compito di informare il Parlamento europeo. Quest'ultimo, dal canto suo, ricopriva un ruolo fortemente ridimensionato, limitandosi a discutere e a fare interrogazioni, senza poter incidere sulla linea d'azione da seguire. Le attività frutto della CGAI non potevano ledere le competenze comunitarie ed erano altresì sottratte esplicitamente al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia comunitaria. Era inoltre previsto, al fine di salvaguardare il sistema-Schengen, che la cooperazione nel Terzo pilastro non impedisse l'instaurazione di una collaborazione più stretta tra alcuni degli Stati membri.

Per quanto riguarda il Secondo Pilastro, il Trattato di Maastricht elencava, all'articolo
J.1 paragrafo 2, cinque obiettivi (sostanzialmente immutati dopo il Trattato di Amsterdam):
a) difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell'indipendenza dell'Unione;
b) rafforzamento della sicurezza dell'Unione e dei suoi Stati membri;
c) mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell'Atto Finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi;
d) promozione della cooperazione internazionale;
e) sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Si tratta di obiettivi molto generici, che coprono in definitiva tutto l'ambito delle relazioni internazionali.
Gli strumenti a disposizione dell'Unione per realizzare tali obiettivi erano la «cooperazione sistematica» e le «azioni comuni».
La «cooperazione sistematica» era disciplinata dall'articolo J.2, che prevedeva l'obbligo degli Stati membri di informarsi reciprocamente e di concertare le loro posizioni in sede di Consiglio in merito a «qualsiasi questione» di politica estera e di sicurezza di interesse generale. In secondo luogo, il Consiglio poteva definire, qualora lo avesse ritenuto necessario, una «posizione comune» (presa all'unanimità), cui le politiche nazionali degli Stati membri dovevano essere conformi. Gli Stati membri, infine, dovevano coordinare la propria azione nelle Organizzazioni e nelle Conferenze Internazionali, difendendo le «posizioni comuni», anche se non tutti vi prendevano parte.
L'altro strumento operativo della PESC era l'azione comune, decisa nei settori in cui gli Stati membri avessero interessi rilevanti, per definire la posizione dell'Unione rispetto ad una questione specifica. L'articolo J.3 prevedeva che, dopo la definizione degli orientamenti generali da parte del Consiglio Europeo, il Consiglio dell'Unione stabilisse quali questioni dovevano formare oggetto di una «azione comune». E, di conseguenza, ne fissava «la portata precisa, gli obiettivi generali e particolari ... i mezzi, le procedure, le condizioni e, se necessario, la durata». Le «azioni comuni» erano decise dal Consiglio all'unanimità. Le «azioni comuni» adottate in tema di PESC, talvolta anche a maggioranza, e le «posizioni comuni» vincolavano, seppure in modo differente, il singolo Stato nell'attuazione della politica estera nazionale.
La PESC, pur se inserita nel Trattato di Maastricht come parte fondamentale dell'Unione Europea, restava ancora sostanzialmente affidata al metodo intergovernativo, pur se integrato dalla previsione di taluni compiti a carico di istituzioni comunitarie.
La Commissione ed il Parlamento Europeo, organi comunitari per eccellenza, a causa del carattere intergovernativo che definisce la PESC, finivano per ricoprire un ruolo secondario.
La dimensione della sicurezza comune europea veniva accennata nell'articolo J.4 del Trattato sull'Unione europea, in cui si affermava che la PESC comprendeva ogni questione relativa alla sicurezza dell'UE, compresa la definizione «a termine» di una politica di difesa comune, «che potrebbe successivamente condurre ad una difesa comune». E' evidente come il tema della difesa venisse trattato con maggiore cautela rispetto alla politica estera ed infatti, al paragrafo 3, era specificato che le questioni aventi implicazioni nel settore della difesa «non» erano soggette alle procedure previste per le «azioni comuni». Alla sicurezza, quindi, non poteva applicarsi in nessun caso il voto a maggioranza, né potevano mai esservi decisioni vincolanti. In questo modo la politica di difesa veniva ricompresa nel Trattato, ma con una forte carica di indeterminatezza.

2. Il trattato di Amsterdam

Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, contiene, tra gli obiettivi principali, quello di «conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alla frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima». Questa affermazione, tratta dall'articolo 2 del Trattato sull'UE così come modificato ad Amsterdam, racchiude lo scopo che ha guidato i governanti europei verso una nuova tappa dell'integrazione.

Il Terzo Pilastro, con il trasferimento della materia dei visti, asilo ed immigrazione nel Trattato della Comunità europea (nuovo titolo IV), perde la denominazione GAI (giustizia e affari interni) e diventa "cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale", limitata, quindi, alla lotta alla criminalità.
L'articolo 29 dispone che «l'obiettivo che l'Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un'azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia». Il piano d'azione è arricchito dalla previsione esplicita della lotta alla criminalità e al terrorismo, oltre alla cooperazione in altri settori quali la tratta degli esseri umani, i reati contro i minori ecc. Gli articoli 30 e 31 descrivono in modo particolareggiato il modello di «azione comune» da sviluppare per la cooperazione di polizia e per quella giudiziaria in materia penale.
Per quanto riguarda il primo settore, oltre ad una cooperazione operativa nella prevenzione dei crimini, sono previsti un fitto scambio di informazioni e iniziative comuni in settori quali la formazione o la ricerca in campo criminologico, ma soprattutto vi è il riconoscimento della struttura Europol come principale strumento di tale collaborazione operativa, affidando al Consiglio il compito di garantire a questa struttura gli strumenti adeguati al suo ruolo.
La cooperazione giudiziaria in materia penale viene invece perseguita facilitando sia la cooperazione tra ministeri ed autorità giudiziarie sia le procedure per l'estradizione e le iniziative per uniformare i sistemi normativi, al fine di evitare conflitti di giurisdizione e di realizzare un'armonizzazione della nozione di reato e di sanzione. Gli Stati membri si informano e consultano regolarmente in seno al Consiglio, che può emanare atti giuridici (posizioni comuni, decisioni-quadro, decisioni, convenzioni). Il Titolo VI, comunque, non interferisce con le responsabilità degli Stati per il mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza interna.
La terza importante innovazione introdotta con il Trattato di Amsterdam nel settore della giustizia e degli affari interni è rappresentata dall'incorporazione del sistema-Schengen nella cornice comunitaria, come elemento fondante dello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» che si vuole realizzare.
Per quanto riguarda il ruolo delle Istituzioni nel nuovo Terzo Pilastro dell'Unione, resta centrale il ruolo del Consiglio, composto da tutti gli Stati membri. È il Consiglio ad adottare gli atti normativi (articolo 34) e a deliberare il passaggio di una materia dal Terzo al Primo pilastro (art. 42, norma passerella). Alla Commissione, che è «pienamente associata ai lavori», spetta anche un potere di iniziativa nella proposizione degli atti normativi, potere che condivide con gli Stati membri. Gli Stati, più che le istituzioni, sono il «motore» della cooperazione. Un ruolo maggiormente significativo rispetto al passato è riconosciuto al Parlamento europeo: questo, infatti, non solo mantiene il potere di rivolgere al Consiglio interrogazioni e raccomandazioni e di svolgere un dibattito annuale generale sul tema, ma soprattutto si vede riconosciuto un potere generale di esprimere un parere consultivo per l'adozione delle decisioni e delle convenzioni emanate dal Consiglio (articolo 39).
Secondo l'articolo 34, sono adottabili quattro tipi di norme: le posizioni comuni, che "definiscono l'orientamento dell'Unione in merito ad una questione specifica"; le decisioniquadro di armonizzazione, vincolanti per quel che concerne il risultato ma che lasciano gli Stati liberi quanto alla forma ed ai mezzi con cui raggiungerlo (atti simili alle direttive comunitarie, ma espressamente dichiarati privi di effetti diretti, cioè non efficaci in mancanza delle pertinenti disposizioni nazionali di attuazione); le decisioni vincolanti, senza efficacia diretta, coerenti con gli obiettivi del Trattato, ma non comportanti un riavvicinamento delle legislazioni; e, infine, le convenzioni internazionali, di cui il Consiglio raccomanda l'adozione e che, a differenza del passato, se ratificate dalla maggioranza assoluta dei membri, entrano in vigore nei loro rapporti reciproci, senza dover aspettare la ratifica da parte di tutti gli Stati.
Nel nuovo terzo Pilastro, viene individuata anche la competenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee a "pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità o l'interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull'interpretazione delle convenzioni e sulla validità ed interpretazione degli atti di applicazione" (art. 35 TUE). Tale competenza non è automatica, ma occorre una specifica dichiarazione effettuata in tal senso dagli Stati membri. Alla Corte, in secondo luogo, è affidato una sorta di controllo di legittimità sulle decisioni-quadro e le decisioni che, similmente a quanto previsto all'articolo 230 del Trattato comunitario, sollevino le perplessità di uno Stato membro o della Commissione, per «incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del Trattato... o sviamento di potere». La Corte è, infine, anche competente a dirimere le controversie tra Stati membri e tra Stati membri e Commissione, concernenti l'interpretazione o l'applicazione degli atti previsti dall'articolo 34.

Per quanto concerne il Secondo Pilastro, l'articolo 11 conferma sostanzialmente gli stessi obiettivi, in materia di PESC, fissati a Maastricht, con un accenno relativo anche alla difesa dell'«integrità» dell'Unione. E' anche disposto che gli Stati membri opereranno congiuntamente al fine di rafforzare e sviluppare la loro reciproca «solidarietà politica». Il successivo articolo 12 definisce gli strumenti di cui l'Unione dispone. È il Consiglio dell'Unione, sulla base dei principi ed orientamenti generali forniti dal Consiglio Europeo, che prende le decisioni necessarie per attuare la PESC, garantendo l'unità la coerenza e l'efficacia all'azione dell'Unione. Accanto alle azioni comuni, alle posizioni comuni ed alla cooperazione sistematica, viene previsto un ulteriore strumento, denominato «strategia comune». L'articolo 13 descrive tale nuovo strumento, chiarendo che le strategie comuni, adottate dal Consiglio Europeo anche su raccomandazione del Consiglio dell'Unione, sono attuate dallo stesso Consiglio. Le strategie comuni precisano i loro obiettivi, la durata e i mezzi di cui disporre, e possono essere decise in quei settori in cui gli Stati membri hanno «importanti interessi comuni». Il Consiglio le può sviluppare attraverso l'adozione di azioni comuni e posizioni comuni, di cui gli articoli 14 e 15 offrono anche una definizione, che nel Trattato di Maastricht mancava. Una «azione comune» è decisa per «specifiche situazioni» in cui sia necessario un intervento «operativo» dell'Unione. L'azione comune è vincolante per gli Stati membri, a carico dei quali sussiste anche un obbligo di informazione preliminare, al momento di dare attuazione all'azione, onde cercare la concertazione all'interno del Consiglio dell'Unione. La «posizione comune» è definita come «l'approccio dell'Unione su una questione particolare», di natura geografica o tematica. Così come previsto a Maastricht, gli Stati hanno l'obbligo di rendere conformi le loro politiche nazionali alle posizioni comuni.
L'articolo 18, oltre a ribadire il ruolo di rappresentanza della Presidenza di turno e la piena «associazione» della Commissione nei compiti di rappresentanza ed esecutivi, presenta alcune significative novità. In particolare, viene prevista l'attribuzione al Segretario Generale del Consiglio delle funzioni di «Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune», incaricato di assistere la Presidenza di turno ed il Consiglio. Questa disposizione rappresenta un'assoluta novità, una delle poche contenute nel Trattato. Il Segretario Generale, incarico di grande responsabilità a livello burocratico, dovrà quindi anche assumersi l'onere di rappresentare l'Unione in politica estera. Il "Signor PESC", oltre ad assistere il Consiglio in ambito PESC (articolo 26), avrà anche la responsabilità della neoistituita «cellula di programmazione politica e tempestivo allarme», composta da personale del Segretariato Generale, degli Stati membri, della Commissione e dell'UEO. La cellula di programmazione dovrà: a) sorvegliare ed analizzare gli sviluppi nei settori rientranti nella PESC; b) fornire valutazioni degli interessi dell'Unione nel campo della PESC e individuare settori di eventuale futuro intervento della PESC; c) fornire tempestive valutazioni e dare per tempo l'allarme circa eventi riguardanti la PESC, comprese le possibili crisi politiche; d) redigere documenti, su richiesta del Consiglio, della Presidenza o anche autonomamente, contenenti opzioni politiche motivate come contributo alla definizione di politiche in sede di Consiglio.
La sicurezza e la difesa sono disciplinate dall'articolo 17 del Trattato di Amsterdam. Già l'articolo 13 prevede che spetta al Consiglio Europeo definire i principi e gli ordinamenti generali anche per le questioni aventi implicazioni «in materia di difesa». Ad Amsterdam la difesa comune è stata considerata come «obiettivo finale» di una politica di sicurezza da definire «progressivamente». La difesa comune viene considerata come una possibilità, non come un obbligo, e potrà essere realizzata solo in base ad una decisione del Consiglio Europeo. Non è stata fissata alcuna scadenza, stabilendo solo di rimettere ogni decisione all'organo di vertice, massimo rappresentante delle istanze governative. Al Consiglio Europeo spetterà anche di decidere, discrezionalmente, l'«eventuale integrazione» dell'Unione dell'Europa Occidentale nell'UE.
Tra le «questioni relative alla sicurezza dell'Unione» sono anche comprese le attività di mantenimento della pace e di gestione delle crisi attraverso unità di combattimento con il compito di ristabilire la pace, le missioni umanitarie e di soccorso (paragrafo 2). L'identità di sicurezza e di difesa dell'Unione viene così, almeno in parte, definita, ma, non disponendo di proprie forze armate, sarà necessario avvalersi dell'UEO per «elaborare ed attuare» le decisioni e l'azione dell'Unione aventi implicazioni nel settore della difesa. Anche in questo settore spetterà al Consiglio Europeo fornire gli orientamenti generali. Tutti gli Stati membri hanno (paragrafo 3) il «diritto» di partecipare alle azioni che saranno sviluppate dall'UEO, ma anche in questo caso è specificata espressamente la libertà, per chi lo vuole, di agire in ambito NATO. In definitiva, ad Amsterdam non è stata compiuta alcuna scelta di fondo in materia di sicurezza comune e di difesa, tanto che il paragrafo 4 prevede che due o più Stati possano dare vita a forme di cooperazione rafforzata all'interno dell'UEO o della NATO.

3. Attuazione delle disposizioni dei Trattati riguardanti il terrorismo

I primi interventi dell'Unione nella lotta al terrorismo, realizzati nella vigenza del trattato di Maastricht, si sono inseriti nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria e quindi, in linea con quanto previsto dal Trattato stesso, nel Terzo Pilastro.
Per quanto riguarda la cooperazione di polizia, è da ricordare innanzitutto la Convenzione, siglata a Bruxelles il 26 luglio 1995, tra i rappresentanti dei quindici Stati dell'Unione europea, che istituisce un ufficio europeo di polizia (GUCE C 316 del 27.11.1995, pag.1): l'Europol. Quest'ultimo si è formalmente costituito a decorrere dal 1° ottobre 1998 ed ha incorporato la vecchia struttura denominata Edu-Europol, nata all'indomani del Trattato di Maastricht. Scopo dell'Europol è di sviluppare la cooperazione di polizia mediante la prevenzione e la lotta al crimine organizzato attraverso la raccolta, la conservazione, l'elaborazione e lo scambio di informazioni, comprese quelle inerenti operazioni finanziarie sospette. Con la Convenzione di Bruxelles, le competenze di tipo informativo del vecchio Edu-Europol (concernenti traffici di stupefacenti, sostanze nucleari, immigrazione clandestina, ecc.) sono state ampliate ad altre forme di reato quali quelli contro la vita, l'integrità fisica e la libertà. L'Europol è rivolta esclusivamente agli Stati membri dell'Unione europea, è un'organizzazione a competenza specifica e non si interessa di tutti i reati ma solo di ben determinate forme di criminalità che interessano almeno due Stati dell'UE (attività basilare dell'Europol è lo scambio informativo tra le varie forze di polizia europee e la costruzione di un archivio computerizzato dei dati acquisiti. I dati trattati sono informazioni di polizia e sono disponibili solo per le forze di polizia. Il sistema Europol prevede un'unità centrale, con sede all'Aja, collegata con le unità nazionali tante quanti sono gli Stati membri dell'Unione europea.) . Con la decisione del 3 dicembre 1998 (GUCE C 26 del 30.01.1999, pag. 22), il Consiglio ha autorizzato l'Europol "ad occuparsi dei reati commessi o che possono essere commessi nell'ambito di attività terroristiche che si configurano in reati contro la vita, l'incolumità fisica, la libertà delle persone e i beni", in applicazione del paragrafo 2 dell'articolo 2 della Convenzione.
Altro intervento nel settore della cooperazione di polizia è stata l'azione comune del 15 ottobre 1996, 96/610/GAI (GUCE L 273 del 25.10.1996, pag. 1 ), che - considerando che i servizi antiterrorismo nazionali avevano sviluppato competenze, capacità e conoscenze specialistiche in settori diversi, che avrebbero dovuto in linea di massima essere disponibili per tutti i servizi pertinenti di tutti gli altri Stati membri su richiesta, se e quando ne avessero ravvisato la necessità - ha stabilito l'istituzione e l'aggiornamento costante di un repertorio di competenze, capacità e conoscenze specialistiche per facilitare la cooperazione fra gli Stati membri dell'Unione europea nella lotta al terrorismo.
Per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale, i primi strumenti giuridici importanti sono: la convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea (GUCE C 78 del 30.03.1995, pag. 1) (10 marzo 1995) e la convenzione relativa all'estradizione (GUCE C 313 del 23.10.1996, pag. 11) (27 settembre 1996), il cui articolo 1 stabilisce che uno dei fini della convenzione è facilitare l'applicazione da parte degli Stati membri della Convenzione europea sulla repressione del terrorismo (Strasburgo, 1977). Inoltre, l'azione comune 98/733/GAI del 21 dicembre 1998 (GUCE L 351 del 29.12.1998, pag. 1) , relativa alla punibilità della partecipazione a un'organizzazione criminale negli Stati membri dell'Unione europea - che sancisce l'impegno degli Stati membri ad assicurare che le sanzioni nei confronti dei criminali siano effettive, proporzionate e dissuasive - affronta il problema dei reati terroristici al paragrafo 2 dell'articolo 2 e sancisce il dovere di assistenza da parte degli Stati per il perseguimento di questi crimini. Importante è anche l'azione comune 98/428/GAI (GUCE L 191 del 7.7.1998, pag. 4) del Consiglio del 29 giugno 1998 che istituisce la Rete giudiziaria europea, un organo di contatto per lo scambio di informazioni, composto da autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria internazionale, delle autorità giudiziarie o di altre autorità competenti con responsabilità specifiche nell'ambito della cooperazione internazionale, sia in generale sia per alcune forme gravi di criminalità, quali la criminalità organizzata, la corruzione, il traffico di stupefacenti o il terrorismo (articolo 2).
Contestualmente a questi ultimi interventi, il 3 dicembre 1998, il Consiglio e la Commissione, sulla base del mandato ricevuto dal Consiglio europeo di Cardiff del 15 e 16 giugno 1998, elaborarono un piano d'azione (GUCE C del 23.1.1999, pag. 1) sul modo migliore per attuare le disposizioni del trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in vista della sua ormai prossima entrata in vigore. Tale piano d'azione, per quanto riguarda il problema del terrorismo, ha previsto il rafforzamento dell'Europol, della rete giudiziaria europea e della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, anche attraverso la semplificazione delle procedure e l'adozione di misure minime relative alle sanzioni e agli elementi costitutivi dei reati connessi al terrorismo.
Nei Consigli europei successivi all'entrata in vigore di Amsterdam, si è discusso soprattutto in merito alle innovazioni apportate nel Secondo e Terzo Pilastro dell'Unione europea.
Nel Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999, è stata adottata la Dichiarazione sul rafforzamento della politica comune sulla sicurezza e difesa (All. III alle conclusioni della Presidenza), mentre già nel settembre 1998, al Consiglio europeo informale di Portschach, si decise di dedicare il Consiglio europeo di Tampere, del 15 e 16 ottobre 1999, al Terzo Pilastro dell'Unione europea, nel quadro delle importanti innovazioni apportate in questo campo dal trattato di Amsterdam.
Nel Consiglio di Tampere, che rappresenta un momento fondamentale per la definizione dei nuovi interventi nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, è stato ricordato il problema del terrorismo nella parte dedicata al potenziamento della cooperazione contro la criminalità (Parte C, sez. IX delle conclusioni). Oltre al rafforzamento del ruolo dell'Europol, veniva individuato un ulteriore strumento di cooperazione, questa volta in materia giudiziaria, nell'Eurojust, unità composta di pubblici ministeri, magistrati o funzionari di polizia di pari competenza con il compito di "agevolare il buon coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell'azione penale, di prestare assistenza nelle indagini riguardanti i casi di criminalità organizzata, in particolare sulla base dell'analisi dell'Europol, e di cooperare strettamente con la rete giudiziaria europea". Tuttavia, in assenza di una definizione di reato terroristico, il ruolo di Eujust ed Europol in tale settore rimaneva limitato, se si considera che solo sei Stati membri hanno una legislazione specifica per questo crimine. Sempre a Tampere si auspicava l'abolizione delle tradizionali procedure di estradizione fra gli Stati membri e l'istituzione di un mandato di arresto europeo.
Successivamente all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e al Consiglio di Tampere, è stata adottata la raccomandazione del Consiglio, del 9 dicembre 1999, sulla cooperazione nella lotta contro il finanziamento dei gruppi terroristici (GUCE C 373 del 23.12.1999, p.1).
Nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune, in attuazione delle misure indicate nella risoluzione ONU del 15 ottobre 1999 n. 1267(1999) contro la fazione afghana nota con il nome di Taliban, fu adottata la posizione comune 1999/727/PESC (GUCE L 294 del 16.11.1999, p.1 ), riguardante il divieto dei voli effettuati da vettori detenuti, noleggiati o operati dai Taliban, nonché il congelamento dei fondi e delle altre risorse finanziarie detenuti all'estero dai Taliban. Tale posizione comune è stata successivamente modificata dalla posizione comune 2001/154/PESC (GUCE L 57 del 27.2.2001, p.1) , in seguito alla modifica operata dalla risoluzione ONU 1333(2000), che ha introdotto ulteriori restrizioni nel settore militare nei confronti dei Taliban oltre a restrizioni specifiche dirette contro Osama Bin Laden. Ulteriori marginali modifiche alle due posizioni comuni sono state introdotte con la posizione comune 2001/771/PESC (GUCE L 289 del 6.11.2001, p.36).
Una forte spinta verso una lotta più incisiva al terrorismo è stata data, successivamente, dai tragici eventi di New York, dell'11 settembre 2001.


III) LA RISPOSTA DELL'EUROPA ALL'11 SETTEMBRE

1. Il Consiglio europeo straordinario di Bruxelles

Gli attacchi terroristici dell'11 settembre costituiscono un momento storico dopo il quale la percezione del pericolo terrorismo è radicalmente cambiata in tutti i Paesi occidentali. La comunità internazionale ha preso coscienza di un problema gravissimo che, per il suo modo di manifestarsi in modo imprevedibile, richiede un agire congiunto ed uno sforzo comune costante. Con la Risoluzione 1368 (2001) del 12 settembre, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU sollecitava la comunità internazionale a raddoppiare gli sforzi volti a impedire e a reprimere gli atti terroristici.
L'Unione europea ha iniziato a parlare con una voce unica insieme alle Nazioni Unite, alla NATO e agli Stati Uniti. Nello stesso tempo, ha iniziato un cammino difficile a causa della mancanza di un'identità forte in politica estera e degli scarsi mezzi a disposizione in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia. Nella Dichiarazione congiunta dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea, del Presidente del Parlamento europeo, del Presidente della Commissione europea e dell'alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza comune del 14 settembre 2001, si afferma: "I tragici eventi ci obbligano a prendere decisioni urgenti sui modi in cui l'Unione europea risponderà alle seguenti sfide: essa deve impegnarsi con ogni mezzo a difendere la giustizia e la democrazia mondiali, a promuovere un modello internazionale di sicurezza e prosperità per tutti i paesi e a contribuire all'emergere di un'azione globale, ferma e prolungata contro il terrorismo. Continueremo a sviluppare la politica estera e di sicurezza comune affinché l'Unione possa veramente parlare in modo chiaro e univoco.(...) L'Unione europea accelererà l'attuazione di una vera e propria area di giustizia europea, la quale implicherà tra l'altro l'istituzione di un mandato di arresto ed estradizione europeo, in conformità con le conclusioni del Consiglio di Tampere e il reciproco riconoscimento di decisioni e verdetti giudiziari." (cfr. "11 settembre - La risposta dell'Europa", Dossier Europa, n. speciale dicembre 2001, p. 41).
Il 21 settembre 2001, si riunì in sessione straordinaria, a Bruxelles, il Consiglio europeo per "analizzare la situazione internazionale in seguito agli attacchi terroristici sferrati negli Stati Uniti e imprimere l'impulso necessario all'azione dell'Unione europea"( Conclusioni e Piano di Azione del Coniglio europeo straordinario del 21 settembre 2001 ampliamento della direttiva sul riciclaggio di denaro e la decisione quadro sul sequestro dei beni. Chiede agli Stati membri di firmare e ratificare urgentemente la convenzione delle Nazioni Unite sulla repressione del finanziamento del terrorismo."). Il Consiglio europeo decise che la lotta al terrorismo avrebbe costituito più che mai un obiettivo prioritario per l'Unione europea. In sintesi, il Piano d'azione deciso a Bruxelles prevedeva i seguenti punti:

? Rinforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia: in particolare, conformemente alle conclusioni di Tampere, il Consiglio europeo si mostrava d'accordo sull'istituzione dell'ordine di arresto europeo (in sostituzione del vigente sistema di estradizione tra Stati membri) nonché sull'adozione di una definizione comune di terrorismo. Il Consiglio europeo incaricava il Consiglio "Giustizia e affari interni" di definire tale accordo e di stabilirne urgentemente, e al più tardi entro la sessione del 6 e 7 dicembre 2001, le modalità. Il Consiglio europeo incaricava inoltre il Consiglio "Giustizia e affari interni" di attuare quanto prima il pacchetto di misure decise nel Consiglio europeo di Tampere. Inoltre, si auspicava che al più presto il Consiglio "Giustizia e affari interni" procedesse all'identificazione dei presunti terroristi in Europa per compilare un elenco comune delle organizzazioni terroristiche, anche attraverso uno scambio sistematico di dati con l'Europol, nell'ambito del quale, fra l'altro si prevedeva di istituire una squadra di specialisti nella lotta al terrorismo che avrebbe collaborato con i colleghi statunitensi.
? Sviluppare gli strumenti giuridici internazionali: il Consiglio europeo invitava ad attuare quanto prima tutte le convenzioni internazionali esistenti in materia di lotta antiterrorismo (ONU, OCSE, ecc.).
? Porre fine al finanziamento del terrorismo: il Consiglio europeo chiedeva al Consiglio Ecofin e al Consiglio Giustizia e affari interni di "adottare le misure necessarie a combattere qualsiasi forma di finanziamento delle attività terroristiche, segnatamente adottando un
? Rafforzare la sicurezza aerea: al Consiglio "Trasporti" veniva affidato il compito di adottare le misure necessarie a rafforzare la sicurezza dei trasporti aerei, attraverso la classificazione delle armi, la formazione tecnica degli equipaggi, il controllo dei bagagli alla registrazione e in seguito, la protezione dell'accessibilità alla cabina di pilotaggio, il controllo qualitativo delle misure di sicurezza applicate dagli Stati membri.
? Coordinare l'azione globale dell'Unione europea: il Consiglio europeo incaricava il Consiglio "Affari generali" di svolgere un ruolo di coordinamento e di impulso in materia di lotta contro il terrorismo. Si prevedeva, inoltre, che la politica estera e di sicurezza comune avrebbe integrato maggiormente la lotta contro il terrorismo.

Con la risoluzione 1373 (2001), adottata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 28 settembre 2001, venivano decise una serie di misure al fine di creare fra gli Stati membri una rete di cooperazione per combattere il terrorismo. La risoluzione stabilisce innanzitutto che tutti gli Stati devono impegnarsi a impedire e reprimere il finanziamento di atti terroristici, attraverso la criminalizzazione della raccolta dei fondi a tale scopo e il congelamento dei beni di persone appartenenti a gruppi terroristici. In secondo luogo, gli Stati devono impedire in ogni modo il compimento di atti terroristici, negando asilo e sostegno alle persone coinvolte in atti terroristici, assicurando alla giustizia chiunque contribuisca alla commissione di tali atti, intensificando l'attività investigativa e i controlli alle frontiere. Infine, gli Stati devono trovare il modo per intensificare la cooperazione e lo scambio di informazioni (per approfondimenti, cfr.: L. Condorelli, "Les attentats du 11 septembre et leurs suites: où va le droit international?", Revue Générale de Droit International Public, Tome 105/2001/4, p. 829; AA.VV. "Editorial comments", American Journal of Intrantional Law, Ocotber 2001, Vol. 95 n.4, p.833).

In adempimento a tale risoluzione ed in ottemperanza al Piano d'azione deciso a Bruxelles, l'Unione europea ha intrapreso una serie di misure volte a rafforzare anche in ambito europeo la lotta al terrorismo e che si presentano come assolutamente nuove per l'Unione stessa.

2. Misure restrittive specifiche relative al finanziamento del terrorismo

Il 27 dicembre 2001, il Consiglio dell'Unione adotta la posizione comune 2001/931/PESC (GUCE L 344 del 28.12.2001, p.93) relativa all'applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo. In linea con la risoluzione ONU 1373, la posizione comune ordina il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche di determinate persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici ed individuati in un elenco allegato alla posizione stessa. Tale elenco, si specifica nell'atto, è redatto sulla base di informazioni precise o elementi del fascicolo di un'autorità competente che ha preso una decisione nei confronti di tali persone o entità. L'elenco non è definitivo, ma soggetto ad un aggiornamento almeno semestrale. Viene data, inoltre, una definizione puntuale di "persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici" e di "atto terroristico". Le disposizioni contenute nell'atto, si specifica, non contemplano il congelamento dei fondi di Osama Bin Laden e dei soggetti e delle entità soggette a quest'ultimo, che costituisce l'oggetto di un'altra specifica posizione comune, la citata 2001/154/PESC.
Ciò che pare più interessante, tuttavia, è la base giuridica utilizzata per l'adozione dell'atto. Si tratta, in effetti, di una posizione comune PESC, e quindi, uno strumento con il quale le politiche degli Stati membri si conformano all'approccio dell'Unione sul tema oggetto dell'atto. Agli Stati è, quindi, lasciata la scelta sui mezzi per raggiungere tale scopo. La scelta della posizione comune è sintomo della difficoltà di obbligare gli Stati a realizzare la cooperazione in un settore delicato come la lotta al terrorismo. Ma quello che risulta più interessante della posizione comune PESC è l'utilizzo, come base giuridica, oltre all'art.15 TUE, dell'art.34 TUE, che è la norma in cui sono elencati gli strumenti a disposizione dell'Unione nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia, una norma, cioè, del Terzo Pilastro. Quindi, la posizione comune, adottata nell'ambito del Secondo Pilastro, ha come base giuridica anche una norma del Terzo Pilastro. Questo, se da un lato evidenzia il carattere sfumato ed interdisciplinare della lotta al terrorismo, che abbraccia più aspetti della vita dell'Unione - quello della politica estera e di sicurezza comune e quello della lotta alla criminalità - dall'altro offre uno spunto per riflettere su come l'Unione abbia lavorato per il raggiungimento del suo scopo, utilizzando in modo trasversale più basi giuridiche, appartenenti a diversi "Pilastri". Non vi è, quindi, rigidità nell'utilizzazione di uno strumento giuridico; purché la materia sia di competenza dell'Unione, questa può scegliere lo strumento o gli strumenti più idonei per realizzare uno degli scopi istituzionali, esattamente come può fare la Comunità europea, attraverso la norma, contenuta nell'art.308 TCE, riguardante i cosiddetti "poteri impliciti". Una base giuridica, a conferma di questo, potrebbe essere l'art. 3 TUE che sancisce l'unicità del quadro istituzionale dell'Unione.
Tuttavia, per quanto riguarda l'efficacia della scelta operata in questo caso, è da sottolineare come la posizione comune PESC deleghi agli Stati membri la scelta sui mezzi e sui tempi per rendere operativo quanto sancito nell'atto. In questo modo, la tempestività dell'intervento viene parzialmente vanificata dalla mancanza di previsione sui tempi e i modi in cui la posizione deve essere attuata.
Sempre in ossequio a quanto prescritto nella risoluzione ONU 1373(2001) e contestualmente alla posizione comune citata, è stata adottata, con le medesime basi giuridiche, la posizione comune 2001/930/PESC (GUCE L 344 del 28.12.2001, p. 90) , riguardante la criminalizzazione e la repressione del finanziamento al terrorismo.
Sempre contestualmente a tali atti, ma questa volta nell'ambito del Trattato sulla Comunità europea, è stato adottato il Regolamento 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo (GUCE L 344 del 28.12.2001, p. 70 ).In questo caso, in attuazione della posizione comune 2001/931/PESC (e della risoluzione ONU) ed in base agli articoli 60, 301 e 308 TCE, il regolamento dispone il congelamento dei capitali e delle altre risorse economiche e finanziarie detenute dalle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità, ricompresi nell'elenco di cui al paragrafo 3, articolo 2 del regolamento stesso. Tale elenco è elaborato dal Consiglio in conformità delle disposizioni di cui all'articolo I, paragrafi 4, 5 e 6 della posizione comune 2001/931/PESC. Il regolamento 2580/2001, dunque, rinvia alla posizione comune 2001/931/PESC. L'utilizzo del regolamento, in quanto fonte normativa di applicazione diretta all'interno degli Stati membri, permette di superare le carenze dello strumento della posizione comune, che, invece, necessita di un'azione positiva da parte degli Stati membri per porre in essere i mezzi necessari al raggiungimento dello scopo che la posizione comune prevede. L'Unione ha così agito ancora una volta in modo trasversale attraverso i propri strumenti normativi. In questo caso, sono stati utilizzati, quali basi giuridiche, l'art. 301 in combinazione con gli artt.308 e 60 TCE. Il primo dispone che: "Quando una posizione comune o un'azione comune adottata in virtù delle disposizioni del trattato sull'Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano un'azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più Paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, prende le misure urgenti necessarie". In questo caso, la posizione comune non prevedeva l'interruzione delle relazioni economiche contro un determinato Paese terzo, ma misure restrittive contro determinate persone o entità, perciò è stato necessario un ulteriore richiamo ai poteri impliciti della Comunità (art.308 TCE). L'art. 60 TCE, invece, riguarda l'adozione, sempre nei confronti di Paesi terzi, delle misure necessarie per un'azione ex art.301 TCE, ma in tema di circolazione dei capitali.
Attraverso questo complesso meccanismo, la Comunità ha legiferato in un settore a confine fra il Secondo e il Terzo Pilastro dell'Unione, per i quali, invece, i Trattati hanno previsto strumenti di concertazione a livello governativo e politico piuttosto che atti normativi, come i regolamenti comunitari.
Con il regolamento, si è così realizzato l'obiettivo di congelare i capitali di soggetti coinvolti in atti terroristici ed di criminalizzare il finanziamento al terrorismo in modo uniforme e simultaneo in tutti gli Stati membri, adempiendo, così, a quanto prescritto dalla risoluzione ONU 1373 (2001).
L'elenco di cui al regolamento 2580/2001 è stato attuato con la decisione 2001/927/CE del 27 dicembre 2001 e, sino ad ora, successivamente aggiornato dalle decisioni 2002/334/CE del 2 maggio 2002, 2002/460/CE del 17 giugno 2002, 2002/848/CE del 28 ottobre 2002 e 2002/974/CE del 12 dicembre 2002.
L'elenco della posizione comune 2001/931/PESC è stato aggiornato dalle posizioni comuni 2002/340/PESC, 2002/462/PESC, 2002/847/PESC del 28 ottobre 2002 e 2002/976/PESC del 12 dicembre 2002.
I due elenchi restano distinti, anche gli stessi nominativi possono essere presenti in entrambi, con la conseguenza che restano ferme le differenti disposizioni previste per essi nei due atti da cui emanano.
Riguardo alle misure specifiche nei confronti di Osama Bin Laden e della sua organizzazione, il 16 gennaio 2002 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1390(2002), con cui adegua l'ambito di applicazione delle sanzioni concernenti il congelamento di fondi, il divieto di visto e l'embargo sulla fornitura, la vendita e l'esportazione di armi nonché sulla consulenza tecnica, assistenza o formazione pertinenti le attività militari imposte dalle UNSCR 1267(1999) e 1333(2000). In attuazione della risoluzione ed in sostituzione delle precedenti posizioni comuni (96/746/PESC, 1999/727/PESC, 2001/154/PESC e 2001/771/PESC) è intervenuta la posizione comune 2002/402/PESC (GUCE L 139 del 29.5.2002, p.4) .
In base a tale posizione comune ed utilizzando sempre come basi gli artt.60, 301 e 308 TCE, è stato adottato il regolamento CE 881/2002 del 27 maggio 2002, riguardo al congelamento dei fondi per i soggetti individuati in elenco. In questo caso, per giustificare la necessità dell'intervento comunitario tramite l'adozione di un regolamento, si fa addirittura riferimento alla finalità di "evitare distorsioni della concorrenza"( Punto 4) dei "considerando": "Poiché tali misure ricadono nell'ambito del trattato, l'applicazione delle pertinenti decisioni del Consiglio di sicurezza richiede una normativa comunitaria, nella misura in cui dette misure riguardano il territorio della Comunità, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza." ). L'elenco allegato al regolamento è stato più volte modificato (cfr. regolamento CE 1893/2002 del 23 ottobre 2002).
Proprio riguardo all'uso degli strumenti normativi a cui la Comunità europea è ricorsa per il congelamento dei patrimoni delle persone affiliate al terrorismo, si è espresso il Parlamento europeo con la Risoluzione comune sulla valutazione e le prospettive della strategia dell'Unione europea in materia di terrorismo a un anno dall'11 settembre 2001, nella sessione plenaria del 23 e 24 ottobre 2002: "I parlamentari dubitano che sia possibile un coordinamento efficace della politica europea antiterrorismo nell'ambito dell'attuale struttura dell'Unione: le nuove dimensioni di lotta al terrorismo richiedono importanti modifiche dei trattati. A tal fine, i deputati esortano la Convenzione europea ad esaminare la possibilità per evitare l'attuale divisione in tre pilastri dell'UE e creare la base giuridica per consentire all'UE di congelare i patrimoni ed eliminare i finanziamenti di persone, gruppi e organismi coinvolti in atti terroristici". I mezzi utilizzati dalla Comunità europea in questo ambito, inoltre, pongono delle serie questioni di rispetto dei diritti umani. Le persone perseguite, infatti, hanno diritto a tutte le tutele previste dai Carta dei diritti fondamentali adottata a Nizza nel dicembre 2000.

3. Definizione comune di "terrorismo"

Un passo fondamentale nell'attuazione del Piano d'azione deciso al Consiglio straordinario di Bruxelles è stata l'adozione di una definizione comune di reato terroristico, con la decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, 2002/475/GAI (GUCE L 164 del 22.6.2002, p.3). La necessità di un intervento in questa direzione è dovuta alla carenza, nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea, di una definizione di reato terroristico. Sono solo sei, infatti, gli Stati membri che possiedono una legislazione specifica per questo tipo di reato (Francia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna e Regno Unito), mentre negli altri viene sanzionato come reato comune. Il reato terroristico, invece, per le sue peculiarità, necessita di una legislazione ad hoc. A realizzare tale esigenza non sono sufficienti le convenzioni internazionali in materia, che non sono riuscite a dare una definizione comune di reato terroristico, data la difficoltà, a livello internazionale, di distiguerlo dalla lotta per la libertà. Solo la Convenzione europea del 1977 e quella di New York del 1999 hanno tentato una definizione di atto terroristico. Tuttavia, l'intervento dell'Unione attraverso uno strumento, la decisione quadro, molto più vincolante per gli Stati membri di una convenzione internazionale, rappresenta una novità a livello internazionale (AA.VV. "Décision-cadre sur le terrorisme", Revue du Marché commun et de l'Union européenne, n.454, janvier 2002, p. 8) .
Si tratta di una decisione adottata nell'ambito del Terzo Pilastro, in particolare sulla base degli artt. 29,31 lettera e) e 34 paragrafo 2, lettera b). Le decisioni quadro del Terzo Pilastro, come già ricordato, sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, ma lasciano alle autorità nazionali la scelta in merito alla forma e ai mezzi.
La decisione 2002/475/GAI fornisce una definizione di reati terroristici, di reati connessi alle attività terroristiche e di organizzazione terroristica.
Ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie affinché siano considerati atti terroristici una serie di atti, elencati alle lettere dalla a) alla i) dell'art. 1 della decisione (tra cui, attentati alla vita e all'integrità di una persona, distruzioni di strutture pubbliche o governative, sequestri di mezzi di trasporto, ecc.), che possono arrecare grave danno a un Paese o a un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o ad astenersi dal compiere un atto o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politico-economico-sociali di un Paese o organizzazione (art.1).
Per organizzazione terroristica deve intendersi l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici. Tale definizione ha il suo precedente nell'azione comune del 21 dicembre 1998(Cfr. nota 8), relativa alla punibilità della partecipazione a un'organizzazione criminale negli Stati membri dell'Unione europea, in cui si fa esplicito riferimento al terrorismo (art.2).
Sono contemplate, inoltre, alcune ipotesi di reati da considerare connessi alle attività terroristiche: furto aggravato, estorsione e formazione di documenti amministrativi falsi, commessi per realizzare i comportamenti di cui all'art. 1 (art.3).
E' considerata anche la punibilità dell'istigazione, il concorso e il tentativo alla commissione di uno di questi reati (art.4). In tutte queste ipotesi di reati, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l'estradizione (art.5).
Passibili di sanzione non sono solo gli individui, ma anche le persone giuridiche ritenute responsabili direttamente di uno di questi atti o indirettamente per il mancato controllo o la mancata sorveglianza che abbia reso possibile la commissione di tali atti (art.7). Anche in questo caso, la sanzione dovrà rispondere ai criteri dell'effettività, proporzionalità e dissuasione (art.8).
La decisione detta alcune regole relative alla competenza di uno Stato membro per l'esercizio dell'azione penale e alla collaborazione fra Stati, quando i legittimati all'esercizio dell'azione sono più di uno (art.9).
E', inoltre, ricordato l'impegno alla protezione delle vittime dei reati, attraverso la previsione che la denuncia non debba provenire da queste, e all'assistenza alle famiglie delle stesse (art.10).
E', infine, stabilito che gli Stati membri devono adottare le misure necessarie entro il 31 dicembre 2001 e che entro il 31 dicembre 2003, il Consiglio esaminerà se gli Stati si siano conformati alla decisione.
Non c'è dubbio che tale decisione rappresenta un concreto passo in avanti non solo verso la lotta dell'Unione europea al terrorismo, ma anche verso un ruolo più forte dell'Unione stessa nel campo della cooperazione giudiziaria in materia penale, che rappresenta uno degli scopi del Trattato di Amsterdam, così come ribadito al Consiglio europeo di Tampere.

4. Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale: il mandato di arresto europeo e l'Eurojust

Oltre alle misure esaminate, riguardanti in modo specifico il terrorismo, l'Unione ha adottato altri atti che, pur non riguardandolo esclusivamente, sono da inserire nel quadro della lotta al terrorismo. Si tratta delle misure in tema di cooperazione giudiziaria previste a Tampere, quindi molto prima dell'attacco dell'11 settembre, ma che sono state attuate successivamente ad esso e che, per questo, si sono rese ancora più necessarie. Dell'urgenza di adottare questi nuovi strumenti per rendere più efficace la lotta al terrorismo si parla, infatti nel Piano d'azione deciso al Consiglio europeo straordinario di Bruxelles. In particolare, si tratta del mandato di arresto europeo e dell'istituzione dell'Eurojust.
In base alle conclusioni del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ed in particolare il punto 35, era opportuno abolire tra gli Stati membri la procedura formale di estradizione per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente ed accelerare le procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di aver commesso un reato. L'estradizione era disciplinata dalle disposizioni della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 (con i realivi protocolli del 1975 e 1978) e della convenzione europea del 27 gennaio 1977 per la repressione del terrorismo. Questi testi rappresentavano ormai da tempo un meccanismo obsoleto rispetto a quelle che erano divenute le relazioni tra gli Stati membri dell'Unione europea. La convenzione d'applicazione dell'accordo di Schengen aveva creato, attraverso l'istituzione del SIS, un dispositivo che permetteva, nella pratica, di migliorare considerevolmente i meccanismi d'informazione tra gli Stati membri riguardo alle persone ricercate, e di facilitare i contatti tra autorità nazionali in occasione dell'arresto di una persona. Tuttavia, da un punto di vista giuridico, la convenzione di Schengen non apportava nulla di nuovo rispetto ai meccanismi classici dell'estradizione previsti dalla convenzione del 1957. La convenzione relativa alla procedura semplificata d'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 10 marzo 1995 o la convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 27 settembre 1996, avevano avuto come finalità quella di accelerare e semplificare i meccanismi della convenzione del 1957, e di eliminare la maggior parte delle riserve che era possibile opporre alla sua applicazione. Tuttavia, tali strumenti non segnavano una cesura con il meccanismo, per definizione politico ed intergovernativo, dell'estradizione. Inoltre, non avevano neppure avuto la ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Con l'inserimento della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel novero degli obiettivi dell'Unione, il trattato di Amsterdam apre la strada ad un cambiamento radicale di prospettiva. In occasione del vertice europeo di Tampere, i capi di Stato e di governo avevano indicato che il riconoscimento reciproco delle decisioni delle autorità giudiziarie doveva diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria tanto in materia civile quanto in materia penale. In materia di estradizione, l'applicazione del principio del riconoscimento reciproco comporta che ogni autorità giudiziaria nazionale riconosca automaticamente, a mezzo di controlli minimi, la richiesta di consegna di una persona presentata dall'autorità giudiziaria di un altro Stato membro(Cfr. la Proposta di decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, DOC COM(2001) 522 definitivo del 19.9.2001).
Il mandato d'arresto europeo, previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI (GUCE L 190 del 18.7.2002, p. 1) , adottata il 13 giugno 2002, costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo di Tampere ha definito "il fondamento della cooperazione giudiziaria". Il nuovo mandato di arresto sostituisce tutti i precedenti strumenti in tema di estradizione. Tuttavia, il mandato può applicarsi solo riguardo ai reati previsti nella decisione stessa e, tra questi, il reato terroristico, per la definizione del quale è intervenuta la decisione 2002/475/GAI.
La nuova disciplina prevede un meccanismo molto più semplice, che coinvolge esclusivamente le autorità giudiziarie competenti dei vari Stati membri. L'autorità emittente trasmette il mandato direttamente all'autorità dell'esecuzione, attraverso un formulario che deve contenere tutti gli elementi necessari all'identificazione del ricercato, del reato per cui esiste a suo carico una sentenza esecutiva e della pena inflittagli (art.8). Nell'arresto, nella cattura e nella riconsegna vengono assicurate all'arrestato una serie di garanzie, prima fra tutte la sua audizione per il proprio consenso alla consegna all'autorità emittente (artt.11 e 14). La decisione sulla consegna spetta all'autorità che ha effettuato l'arresto, sulla base delle informazioni fornitele dall'autorità emittente (art 15). In ogni caso, il mandato deve essere eseguito con la massima urgenza (art.17). Si tratta, quindi, di un meccanismo molto più snello e di natura essenzialmente procedurale, che dovrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti nella lotta comune contro il terrorismo.
Altro strumento di recente previsione è l'Eurojust, istituito con la decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 (GUCE L 63 del 6.3.2002, p.1) e previsto anch'esso dal Consiglio europeo di Tampere. Si tratta di un organo con personalità giuridica (art.1), composto da un membro nazionale, distaccato da ciascuno Stato membro in conformità del proprio ordinamento giuridico, avente titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative (art.2). Scopo essenziale di tale organo è di migliorare il coordinamento tra le autorità competenti degli Stati membri nelle indagini, nelle azioni penali e nell'esecuzione delle sentenze in ordine alle forme gravi di criminalità (art.3), che riguardino almeno due Stati membri. Si tratta degli stessi crimini per cui sussiste la competenza dell'Europol, tra cui, come si è visto, il terrorismo, ed altri specifici reati elencati nella decisione stessa (art.4). L'Eurojust può agire sia tramite uno o più membri nazionali interessati, sia collegialmente
(art.5), con funzioni parzialmente diverse nei due casi, ma che riguardano essenzialmente la richiesta nei confronti di uno Stato membro di avviare un'indagine o azioni penali per fatti precisi, di accertare che una di esse sia più indicata per avviare un'indagine o azioni penali per fatti precisi, il porre in essere un coordinamento fra di esse, l'istituzione di una squadra investigativa comune conformemente ai pertinenti strumenti di cooperazione, oltre ad allo scambio di informazioni e il coordinamento nell'esercizio di azioni penali fra le autorità competenti negli Stati membri (artt. 6 e 7). Si tratta, dunque, di un organo di ausilio per le autorità competenti negli Stati membri e di coordinamento fra le stesse, che ne facilita l'azione.
Gli Stati membri dovranno conformarsi a tale decisione entro il 6 settembre 2003. Attraverso questi due nuovi strumenti, il Piano d'azione di lotta contro il terrorismo e, in generale, la cooperazione in materia giudiziaria penale risulteranno attuate in modo molto più efficace. E', quindi, auspicato un tempestivo adeguamento degli Stati a tali decisioni, così come ribadito dal Parlamento europeo nella richiamata risoluzione della sessione plenaria del 23 e 24 ottobre 2002: "I deputati ritengono che l'esistenza di un quadro legislativo chiaro e il sostegno democratico non siano sufficienti se le misure decise non vengono attuate e se gli organi incaricati della loro esecuzione non sono efficaci; la situazione che risulta dall'ultima versione della "tabella di marcia" non può che suscitare inquietudini, in particolare per quanto riguarda: le difficoltà incontrate da Europol nella raccolta dei dati presso gli Stati membri; il fatto che Eurojust non sia ancora pienamente operativo; l'assenza di efficaci meccanismi che permettano il controllo democratico degli organi (Europol, Eurojust, task-force dei capi di polizia, ecc.).[...] Il Parlamento considera più che mai urgente che gli Stati membri ratifichino le convenzioni dell'Unione che disciplinano l'estradizione, la cooperazione giudiziaria in materia penale e predispongano l'attuazione delle decisioni quadro concernenti il terrorismo e il mandato di arresto europeo. I cittadini dovrebbero essere informati sulle conseguenze delle misure attuali e future di lotta al terrorismo."

5. Conclusioni

Ad un anno dall'attacco alle Torri Gemelle, la Commissione europea ha tracciato un bilancio sull'attuazione del Piano d'Azione del 21 settembre 2001 per la lotta al terrorismo. In sostanza, l'Unione europea è intervenuta essenzialmente nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia, attraverso l'adozione di misure come il mandato di arresto europeo, la definizione comune di terrorismo, l'istituzione dell'Eurojust e le squadre investigative speciali antiterrorismo dell'Europol. Oltre a questo, vengono costantemente aggiornati gli elenchi delle organizzazioni terroristiche e dei loro membri nei confronti dei quali vengono adottate misure restrittive in tema di congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie.
Non sono da dimenticare, inoltre, gli sforzi costanti che vengono attuati a livello politico-diplomatico e le misure specifiche proposte dalla Commissione europea riguardanti nuove regole in tema di sicurezza aerea (DOC COM (2001) 575 del 26 febbraio 2002) .
In sostanza, quindi, l'Unione si è spinta in direzioni diverse ma complementari fra loro. Tuttavia, il suo ruolo soffre dello scarso potere decisionale in tema di politica estera e cooperazione giudiziaria e di polizia che, nonostante le importanti innovazioni, restano essenzialmente di appannaggio governativo. Una svolta concreta in questi settori potrebbe essere data dal nuovo Trattato elaborato dalla Convenzione europea, ove ridisegni i poteri dell'Unione.

 
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