[ Home ] [ Documentazione ] [ Conferenze ] [ Mappa del sito ] [ Chi siamo ] [ Links ]
 Home  Documentazione  La guerra e il diritto
 pubblicato il 19 maggio 2000

La guerra e il diritto
Contro la guerra, le ragioni del diritto
(spunti per un'analisi non limitata al contingente)*

Livio Pepino
(c) Questione Giustizia 99, 3

Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
Sito Internet - www.studiperlapace.it

 



 
Editoriale
 

Anche questo fascicolo si apre sul tema della guerra.

Forse la pace in Kosovo è prossima. Ma questo esito - atteso, costruito, gridato - lascia dietro di sé terra bruciata: nella ex Jugoslavia; ed anche nel diritto e nelle relazioni internazionali. Ciò che è accaduto in questi mesi è, infatti, drammaticamente eversivo: "il potere di delineare l'assetto futuro della comunità internazionale è sfuggito ai luoghi della democrazia e si è concentrato in quella della forza" (così S. Rodotà, Trattare con l'imputato Milosevic, La Repubblica, 6 giugno 1999).

Non si può, dunque, voltar pagina, archiviando la vicenda con un sospiro di sollievo perché (almeno) le bombe hanno smesso di cadere e di uccidere, con la speranza che alla "pulizia etnica " delle truppe di Milosevic non seguano rappresaglie e vendette dell'Uck. Ad impedire un'affrettata archiviazione (o rimozione) concorrono molte altre ragioni. C'è, anzitutto, la divisione delle coscienze intervenuta tra i democratici sul tema dei rapporti tra pace e diritti umani, la cui separazione ha travolto una elaborazione ed un impegno culturale fino ad ieri comuni, aprendo scenari di grande incertezza (circostanza, in prospettiva, assai più grave dei contingenti equilibri internazionali per il cui consolidamento altri hanno voluto la guerra).

E c'è il fatto che, per la prima volta negli ultimi cinquant'anni, la guerra non è stata solo lo strappo, ad opera di uno o più Stati, a regole riconosciute: l'assenza di una reale opposizione in sede internazionale l'ha trasformata da violazione del diritto in regola, quasi nuova costituzione materiale internazionale. Ancora, l'intervento della Nato ha segnato la consapevole emarginazione dell'Onu come organo dotato di sovranità e di poteri propri per la tutela (anche con l'uso della forza) dei diritti dei popoli(senza neppure, questa volta, averne previamente accertato l'incapacità).

Ciò ha dato ulteriore alimento al realismo dell'uomo della strada "generalmente molto pessimista circa la possibilità che il diritto possa imporsi alla volontà degli Stati, e soprattutto a quella delle grandi potenze" (così A. Pizzorusso, Diritto internazionale ed effettività della tutela, in Questione giustizia, 1988, 433) ed ha prodotto asprezze e irrazionalità, da taluno spinte sino alla sciagurata ed irresponsabile affermazione (immemore delle lezioni della storia) di un collegamento tra l'opposizione alla guerra e l'apparente riedizione di un terrorismo feroce e assurdo.

Proclamare, "contro la guerra le ragioni del diritto" non è, in questo contesto, una pura testimonianza. È un'opzione culturale e politica nel senso che "a una (perversa) razionalizzazione del reale è preferibile una (corretta) critica dell'esistente, e che sta qui il discrimine tra progresso e conservazione nella storia" (così P. Onorato, La guerra del Golfo tra diritto e politica, in Questione giustizia, 1991, 829).Ed è scelta risalente di Questione giustizia che vi ha dedicato ampia riflessione, tra l'altro negli "obbiettivi" Diritto e giuristi di fronte al tema della pace (con documenti e interventi di N. Bobbio, R. La Valle, V. Accattatis e D. Gallo) e La pace, la guerra e il ruolo dei giuristi (con documenti e scritti di P. onorato, C. F. Grosso, L. Pepino), pubblicati nei fasc. n. 4/1985 e 4/1990.
(l.p.)


 

______DIRITTI UMANI, STUDI PER LA PACE, diritto, diritti umani, human rights, studi per la pace, peace studies, INTERVENTO UMANITARIO, diritto internazionaleInizio paginatop______


 

1. Gli accordi per la cessazione della guerra in Jugoslavia (in corso di definizione mentre queste pagine vengono chiuse) prevedono l'intervento diretto dell'Onu e l'invio in Kosovo di una forza militare di interposizione o di pace politicamente ed etnicamente eterogenea (analogamente a quanto avvenuto in Bosnia)(1). Perché, dunque, non si è tentata subito tale strada? Per l'ostinazione e la protervia di Milosevic, ma non solo per questo. L'art. 8 dell'appendice B del trattato di Rambouillet (cioè della proposta di accordo per evitare la guerra) prevedeva per la Nato la possibilità di passaggio libero e senza restrizioni attraverso la Repubblica federale di Jugoslavia" e di "accesso senza ostacoli al suo spazio aereo e fluviale", con inclusione altresì del diritto di bivacco, di manovra, di alloggiamenti e di utilizzazione di aree o di zone necessarie al sostegno, all'addestramento e alle operazioni" militari. Difficile pensare che un paese sovrano potesse accettare una simile clausola di controllo di una alleanza ostile (non su una propria regione ma) su tutto il proprio territorio! Ciò che non è stato possibile a marzo è, invece, avvenuto a giugno. Ma nel mezzo ci sono stati la distruzione di un paese, la crescita di ogni residua speranza di convivenza in Kosovo tra serbi e albanesi. E tutto ciò ha travolto - forse in maniera irreversibile - le regole del diritto internazionale faticosamente costruite negli ultimi cinquant'anni.

2. Il paradosso è che la "inevitabilità" e la "legittimità" dell'intervento della Nato hanno assunto la forza della (apparente) evidenza (2), sino a diventare una sorta di leit motiv autogiustificato, sull'onda della affermazione di D. Cohen Benedit che di "fronte alle deportazioni di centinaia migliaia di persone, di vagoni piombati, alle stragi di innocenti non ha senso discutere ancora sulla legittimità dell'intervento armato". E invece il nodo della questione - oggi e per l'evoluzione del diritto internazionale - sta proprio qui: nella esistenza (o meno) di un rapporto di automatismo tra drammaticità della situazione del Kosovo e la necessità-legittimità dell'intervento della Nato. Questo è il punto di scontro: non certo dell'esistenza in Kosovo di una catastrofe umanitaria, né il diritto-dovere della comunità internazionale di realizzare interventi umanitari tempestivi e conformi allo statuto dell'Onu (se del caso anche armati)(3). È questo intervento che divide: per il suo carattere eversivo dell'ordinamento internazionale (cui, non per caso, ha corrisposto una crescita di ingiustizia e di sofferenza). La questione che si è drammaticamente (ri)aperta in questi mesi - per la politica e per il diritto - riguarda non il giudizio sulla guerra senza motivo o per mere ragioni di egemonia (il cui rifiuto è, almeno in astratto, pacifico), ma quello sulla legittimità del ricorso libero alla guerra per risolvere situazioni o conflitti reali e drammatici (4). E si è (ri)affacciata la concezione della guerra giusta, vera antitesi - a ben guardare - del movimento di tutela dei diritti umani (5) e fonte di marginalizzazione del diritto, nuovamente ridotto a dato meramente sovrastrutturale (pura proiezione dei rapporti di forza).
In senso opposto si erano mossi, nell'ultimo scorcio di secolo, il costituzionalismo e i trattati internazionali: tesi a ingabbiare la guerra, a sottoporla a regole (di sostanza e di procedura). La guerra in Kosovo sembra, invece, avere inverato un pessimistico e risalente giudizio di N. Bobbio (in cui si trova in nuce la disincantata posizione da lui assunta su questa guerra, tutta giocata sulla categoria dell'efficacia anziché su quella del diritto): "La pace è il fine minimo di ogni ordinamento giuridico. Nell'ambito di un ordinamento giuridico possono essere perseguiti altri fini: pace con libertà, pace con giustizia, pace con benessere, ma la pace è la condizione necessaria per il raggiungimento di tutti gli altri fini, è dunque la ragione stessa dell'esistenza del diritto. (...) La guerra moderna è aldilà di ogni principio di legittimazione e di ogni procedimento di legalizzazione. La guerra dopo essere stata considerata un mezzo per realizzare il diritto, e un oggetto di regolamentazione giuridica, è ritornata ad essere quella che era nella ricostruzione hobbesiana, l'antitesi del diritto" (6). La violazione delle regole (di sostanza e di procedura) che ha caratterizzato questa guerra (7) rischia di fondare una nuova costituzione materiale nelle relazioni internazionali chiudendo la grande illusione del costituzionalismo contemporaneo.

3. È stata, forse, questa percezione che ha indotto parte della cultura democratica (quella non sedotta da parole d'ordine riecheggianti l'interventismo della prima guerra mondiale) ad esplorare altre strade di interpretazione dei processi in atto. Si è negata, così, la riportabilità dell'intervento della Nato al concetto di guerra, affermandone la natura di "operazione di polizia internazionale" (8); si è escluso il carattere di "conflitto internazionale" della tragedia del Kosovo; si è giustificata l'estromissione del Parlamento dalla decisione sulla guerra con la "limitazione di sovranità" conseguente all'adesione dell'Italia alla Nato. Ma il gioco disinvolto delle parole e dei concetti non fa che perpetuare macabre finzioni simili a quella di definire "effetti collaterali" i morti sotto i bombardamenti... È arduo negare il carattere di guerra ad operazioni militari nelle quali è stata scaricata sulla Jugoslavia, in 32000 uscite aeree, una potenza di fuoco pari a quattro volte quella dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki (9) con danni gravissimi per l'intera popolazione e per le strutture civili; una operazione di polizia, nazionale o internazionale, ha come requisiti immancabili (mancanti nel caso specifico) la competenza di chi la pone in essere e la diretta incidenza sull'autore dell'illecito (10); il carattere di conflitto internazionale è riconosciuto dalla dottrina sia all'ipotesi di intervento di uno Stato terzo in una guerra civile a fianco di una delle parti sia a quella di "guerre di liberazione nazionale o di conflitti per l'autodeterminazione" (11); le limitazioni di sovranità cui si riferisce l'art. 11 Cost. (anche a prescindere dalla loro estensione) riguardano esclusivamente la realizzazione di "un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni"...

4. Inutile e fuorviante, dunque, tentare un aggiramento della questione. Il punto che interpella la cultura democratica (non solo giuridica) è, ancora una volta, se l'emergenza autorizza la sospensione delle rego le. Affrontare l'emergenza è un dovere troppo spesso eluso, colpevolmente e nel generale disinteresse, dalla comunità internazionale. Occorre una drastica e rapida inversione di tendenza. Ma, in epoca non sospetta, è stato scritto: "può essere, è certamente realistico pensarlo, che le moderne tecniche belliche non consentano decisioni democratiche riguardo alla guerra. Ma allora la guerra diventa incompatibile con un ordinamento democratico e pluralistico; e allora o la democrazia impedirà la guerra o la guerra distruggerà la democrazia" (12).


 

______DIRITTI UMANI, STUDI PER LA PACE, diritto, diritti umani, human rights, studi per la pace, peace studies, INTERVENTO UMANITARIO, diritto internazionaleInizio paginatop______


 

Note
* È il titolo dell'appello, diffuso il 23 gennaio 1991 durante la guerra del Golfo, dal comitato giuristi contro la guerra (che può leggersi in Questione giustizia, 1991, 841) [ Inizio paginatop ].
 
1. I termini dell'accordo sono così riassunti da un osservatore, equilibrato e non pregiudizialmente ostile all'intervento armato, come Scalfari: "A Rambouillet fu proposto a Milosevic di sgombrare il Kosovo dalle sue truppe, accettare una forza militare interamente Nato su quel territorio e un protettorato Nato sulla regione. La Russia aveva abbandonato il 'gruppo di contatto' e la Nato si era allegramente infischiata di quell'abbandono; quanto all'Onu, non se ne era più fatto parola: era diventata un ente in disarmo e il suo segretario generale un personaggio inesistente e vagamente patetico. Dopo 72 giorni di bombardamenti e una guerra che ha seminato lutti e rovine la nuova Rambouillet belgradese prevede una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, con l'assenso dunque determinante di Russia e Cina, una ragguardevole presenza di forze militari russe in Kosovo (circa il 20% del totale), la determinazione dei paesi europei della Nato di cominciare a costruire una struttura comune per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza per non essere ancora una volta ruota di scorta dell'alleato americano. La Rambouillet di oggi si discosta dunque notevolmente da quella di ieri e le differenze sono tutt'altro che marginali" (Dai giorni delle bombe può nascere l'Europa, La Repubblica, 6 giugno 1999).
2. L'espressione è tratta da M. Zavaro, L'illusione dell'evidenza.
3. Sul diritto di interferenza della comunità internazionale a tutela dei diritti umani cfr. i documenti di Magistratura democratica e del Comitato "Giuristi contro la guerra", in Questione giustizia, 1999, 195 e infra, 391. Cfr. inoltre S. Rodotà, La logica della forza e leggi della pace, La Repubblica, 18 maggio 1999.
4. Che questa guerra abbia avuto come motivazione reali in alcuni dei suoi protagonisti una questione di egemonia è pacifico per gran parte dei suoi osservatori; ma ciò non fa venir meno la coesistenza di ragioni umanitarie. È con chi ad esse si è ispirato - soprattutto nella società civile - che il confronto è aperto.
5. Cfr. sul punto S. Senese, L'insanabile contraddizione tra guerra e tutela dei diritti umani.
6. N. Bobbio, il problema della guerra e le vie della pace, Bologna, 1984, 100 e 112.
7. Su tali violazioni cfr., oltre agli scritti pubblicati infra in questo obbiettivo, D. Gallo, L'invisibile codice della guerra, Il Manifesto, 26 maggio 1999.
8. La definizione, solo apparentemente nuova, riprende in realtà gli argomenti utilizzati dall'allora presidente del Consiglio Andreotti nel dibattito parlamentare del 16 gennaio 1991 sulla guerra del Golfo (cfr. P. Onorato, La guerra del Golfo tra diritto e politica, in Questione giustizia, 1990, 811).
9. La quantificazione, probabilmente errata per difetto, è di B. Del Colle (L'Avvenire, 5 giugno 1999).
10. Ha scritto al riguardo - lucidamente - L. Pintor: "Molti forse sospettano che il rimedio sia stato e sia peggiore del male, ma pensano che sia giusto punire il colpevole (...). Ma noi stiamo abbattendo un capo o un regime politico: stiamo bombardando una nazione e un popolo" (L. Pintor, Editoriale, Il manifesto, 7 aprile 1999).
11. Cfr. sul punto, per tutti, N. Ronzitti, voce Guerra, in Dig. disc. Pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, 18, al quale si deve altresì l'amara osservazione - profetica per il caso specifico - che "gli Stati si guardano bene dal qualificare come esercizio dello jus ad bellum il ricorso alla forza armata, a causa delle proibizioni stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite e dei controlli ed autorizzazioni cui, nelle democrazie parlamentari, sono sottoposti gli esecutivi in ordine alla possibilità di 'dichiarare guerra' "(ivi, 19).
12. P. Pinna, voce guerra (stato di), in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, 56.
* L'appello, diffuso nell'aprile 1999, ha tra i firmatari A. Galante Garrone, U. Spagnoli, L. Pepino, V. Borraccetti, L. Trucco, R. Lamacchia, L. Ferrajoli, M. Dogliani ed ha raccolto, nel giro di pochi giorni, 300 adesioni.
* È il testo della relazione svolta nel convegno "Pace: tregua subito", organizzato a Roma il 15 maggio 1999 dalla sinistra Ds.
 
L'articolo è tratto da (c) Questione giustizia, giugno 1999, n.3

 Inizio paginatop

 Copyright?

[ Home ] [ Documentazione ] [ Conferenze ] [ Mappa del sito ] [ Chi siamo ] [ Links ]
 Centro italiano Studi per la Pace - www.studiperlapace.it - centro@studiperlapace.it (dal 1999)