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 pubblicato il 12 ottobre 2001

La sfida al terrore: appunti di viaggio

John Paul Lederach


Argomenti correlati:
 Terrorismo, diritto internazionale e ordine mondiale
 Diritto alla guerra
 Dichiarazione del centro Studi per la Pace sulla tragedia americana

Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
Sito Internet - www.studiperlapace.it
Traduzione di Alessandra Vecchi



 
Eccomi qui, una settimana in ritardo sul previsto rientro a casa, bloccato tra Colombia, Guatemala e Harrisonburg ai tempi in cui il nostro mondo cambio'. Le immagini lampeggiano perfino nei miei sogni. Il cuore dell'america e' stato sventrato. Sebbene naturale, il desiderio di vendetta e la tentazione di scatenare la prima guerra di questo secolo - prolungata o breve che sia - sembrano piu collegati ad un processo psicologico e sociale, spesso finalizzato a trovare un modo per rilasciare la profonda angoscia emozionale, il senso di impotenza ed il nostro collettivo senso di perdita, piu' che ad un piano di azione mirato a sopperire all'ingiustizia, a promuovere il cambiamento ed a prevenire che questo capiti ancora.
 
Sono bloccato di aereoporto in aereoporto mentre scrivo questi appunti - la realta' di un sistema globale che ha interrotto persino la basilare fiducia. Le mie batterie Duracell ed il mio tagliaunghie mi sono state sequestrati, oggi, e cio' mi ha fornito una pausa per riflettere. Ho avuto molte occasioni per riflettere negli ultimi giorni. La vita non e' sempre stata uguale. I miei pensieri sono divisi.
 
Da un lato, una iniziale reazione riconosce che e' sempre facile scagliare pietre contro i nostri leaders dalle linee secondarie della battaglia e sfoderare le idee brillanti che a loro mancano quando non si e' nel mezzo di una situazione difficile. Dall'altra parte, avendo lavorato per quasi vent'anni come mediatore e promotore di un cambiento non-violento - in situazioni intorno al mondo dove circoli di profonda violenza sembrano infernali nel loro perpetuarsi - e avendo interagito con persone e movimenti - il cui nucleo della loro stessa identita' trova modi per giustificare il loro stesso ruolo in tale circolo -, mi sento responsabile di dover contribuire con idee alla ricerca di soluzioni. Con questo fermo in mente, dovrei annotarmi qualche osservazione su quello che ho imparato dalle mie esperienze e cosa esse possano suggerire sulla situazione corrente. Credo che questo si cominci elencando alcune sfide chiave eppoi chiedendosi quale sia la natura di una risposta creativa che possa prendere seriamente tali sfide nel perseguimento di un genuino, duraturo e pacifico cambiamento.
 

 

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Alcune lezioni circa la natura della sfida
  1. Cercare sempre di capire le radici della rabbia - La prima e piu' importante domanda da porci e' relativamente facile sebbene non sia altrettanto facile la sua risposta: In che modo certe persone raggiungono certi livelli di rabbia? Secondo la mia esperienza, spiegazioni inerenti al fatto che i loro cervelli sono stati lavati da un leader perverso che detiene una sorta di potere magico su di loro, rappresentano delle semplicisitiche scappatoie ed inevitabilmente ci conducono verso risposte sbagliate. La rabbia di questo tipo, che potremmo chiamare "generazionale", basata sul senso di identita', viene costruita nel tempo attraverso una combinazione di eventi storici, un profondo senso di minaccia da identificare ed una diretta esperienza di prolungata esclusione. Questo e' molto importante da capire perche', come diro' ancora e ancora, la nostra risposta agli eventi immediati ha molto a che fare con qualora ci rinforzzassimo e fornissimo il terreno, i semi ed il concime per futuri circoli di vendetta e di violenza. Oppure qualora questa risposta possa essere diversa. Dovremo stare attenti nel perseguire un una e una sola linea di condotta nella nostra risposta - evitare di fare quello che si aspettano. Quello che si aspettano da noi e' che scateniamo il gigante contro il debole, i tanti contro i pochi. Cio' infatti potrebbe rinforzare la loro capacita' di perpetrare il mito che cautamente cercano di sostenere - che sono sotto minaccia, che stanno lottando contro un sistema irrazionale e pazzo che non li mai presi seriamente in considerazione e che desidera soltanto la loro rovina.

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  3. Cercare sempre di capire la natura dell'organizzazione - Nel corso degli anni di lavoro, nel tentativo di promuovere una pace durevole in situazioni di profonda e continuata violenza, ho scoperto uno scopo consistente con la natura dei movimenti e le organizzazioni che utilizzano la violenza - tali organizzazioni si autosostengono. Cio' avviene attraverso diversi approcci. Generalmente avviene tramite la decentralizzazione del potere nella struttura organizzativa, la promozione di un clima di segretezza, la distribuzione dell'autonomia di azione tra le unita' ed il rifiuto di perseguire il conflitto in termini di forza e capacita' del nemico.
     
    Una delle piu' intriganti metafore ho sentito negli ultimi giorni e' che questo nemico degli Stati Uniti verra' scovato nella sua tana, affumicato e quando tentera' di scappare e sara' visibile verra' distrutto. Se tale metafora potrebbe rivelarsi calzante per descrivere contesti militari come scontri di trincea e forse persino per contesti militari caratterizzati da guerrillas, certamente non e' utile a descrivere l'attuale situazione. E nemmeno lo e' l'immagine per la quale noi dovremo distruggere un villaggio per salvarlo, per cui la popolazione che fornisce rifugio ai nostri nemici e' parimenti colpevole e costituisce quindi un legittimo bersaglio. In entrambe le circostanze la metafora che guida la nostra azione ci fa rischiare di essere fraintesi poiche' non e' attinente o rappresentativa della realta'. Piu precisamente, questa battaglia non va concepita in termini geografici, in termini di spazi fisici e di posti per i quali se l'obbiettivo viene identificato puo' essere distrutto, eliminando in questo modo il problema alla radice. Abbastanza francamente, i nostri piu' grandi e piu' visibili sistemi di armamenti sono in maggiorparte inutili.
     
    Serve una nuova metafora e sebbene a me non piacciano metafore tratte dalla medicina per descrivere un conflitto, le immagini di un virus mi vengono alla mente in virtu' della sua abilita' di accedere innavvertito, di contagiare un intero sistema e di ferirlo dal suo stesso interno. In questo consiste il genio di persone come Osama Ben Laden, che ha pienamente compreso il potere correlato ad un sistema aperto e libero, e lo ha utilizzato a proprio beneficio. Il nemico non e' localizzato in un territorio. E' entrato nel nostro sistema. Non si sconfiggono nemici di questo genere sparando. Si risponde invece rafforzando la capacita' del sistema nel prevenire i virus e potenziandone la sua immunita'. E' ironico che il nostro piu' grande nemico non sia in Afghanistan, ma nel nostro giardino dietro casa. Noi certamente non andremo a bombardare Travelocity, gli autonoleggi Hertz o una scuola di pilotaggio in Florida. Dobbiamo cambiare metafora e soprassedere alla reazione che ci potremmo aspettare dal ragazzo cattivo, altrimenti corriamo il rischio di creare quell'ambiente che sostiene e riproduce il virus che desideriamo prevenire.

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  5. Ricordare sempre che le realta' sono costruite - Il conflitto e', tra le altre cose, un procedimento per il quale si costruiscono e si sostengono differentissime percezioni ed interpretazioni della realta'. Cio' significa che noi abbiamo contemporaneamente realta' multiple, definite come tali dalle stesse realta' coinvolte nel conflitto. Alla luce della orribile ed immeritata violenza che abbiamo vissuto, questo potrebbe echeggiare come qualcosa di esoterico. Ma dobbiamo ricordare che questo fondamentale procedimento e' strettamente correlato a come etchettiamo la gente come "fanatici", "pazzi", e "irrazionali". Nell' attribuire nomi noi perdiamo la capacita' critica di capire che non e' sulla base di lunatica pazzia o fanatismo, che essi costruiscono le loro opinioni.
     
    A tutto c'e' un senso. Quando tale senso e' collegato ad una lunga scia di avvenimenti attuali, la loro visione dei fatti viene rinforzata (ad esempio, e' stata rinforzata da anni di conflitto tra le superpotenze che li hanno usati o esclusi, disseminando i valori occidentali considerati immorali dalla loro interpretazione religiosa, oppure attraverso la costruzione di un immagine del nemico che e' incontenibilmente potente ed utilizza tale potere in campagne belliche e sembra sempre uscirne vincitore) e non e' poi cosi' difficile costruire una razionale visione del mondo di eroica battaglia contro il male. Come lo facciamo noi, lo fanno anche loro. Ascolta le parole che noi utilizziamo per giustificare le nostre azioni e le nostre risposte. Eppoi ascolta le parole che usano loro.
     
    Il modo per interrompere questo meccanismo non consiste nel riferirsi a modelli incentrati su chi sara' il vincitore o su chi sara' il piu' forte.
     
    Infatti e' vero il contrario. Chiunque perda, si tratti di tattiche battaglie o della guerra stessa, intrinsecamente trova nella perdita quei semi che danno nascita alla giustificazione per rinnovare lo scontro. L'unico modo per interrompere tale circolo di giustificata violenza, e' uscirne. Uscirne significa cominciare a comprendere che aggressive trovate televisive su uomini cattivi e sul male difficilmente costituiscono buone fonti di intervento politico. Il piu significativo impatto che potremmo infliggere sulla loro abilita' di sostenere la loro visione di noi come il male, consiste nel cambiare la loro percezione di chi siamo noi, scegliendo di rispondere strategicamente in maniera inattesa. Per fare questo occorrera' tuttavia un enorme coraggio ed una coraggiosa leadership che sia altresi' capace di prefigurarsi un cambiamento di orizzonti.

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  7. Comprendere sempre la capacita' di reclutamento - Il piu' grande potere che il terrore ha e' costituito dalla capacita' di auto-rigenerare se stesso. Cio', che necessita di essere maggiormente compreso circa la natura di questo conflitto ed il processo di cambiamento verso un mondo piu pacifico, e' come avviene il processo di reclutamento all'interno di queste attivita' terroristiche. Nella mia esperienza di conflitti profondamente radicati, quello che emerge di piu', sono i modi in cui leaders politici, nel desiderio di dare un termine alle violenze, credevano di riuscirci opponendosi con la forza e liberandosi del perpetratore della violenza. Questa potrebbe essere la lezione dei secoli di storia che ci hanno preceduto. Ma non e' la lezione degli ultimi trent'anni. La lezione e' semplice. Quando le persone vivono un profondo senso di minaccia, esclusione e generazionali esperienze di violenza, il loro piu' grande sforzo e' mirato alla sopravvivenza. Tantissime volte questi movimenti hanno mostrato una straordinaria capacita' nel rigenerare miti e nel rinnovare conflitti.
     
    Un aspetto della corrente leadership statunitense, che coerentemente trova riscontro nella lezione bellica di protratto conflitto dei trascorsi tren'anni, e' l'affermazione che si trattera' di una lunga vicenda. Quello che manca e' invece, che maggior enfasi dovrebbe essere posta sulla rimozione dei canali, giustificazioni e fonti che attirano e sostengono il reclutamento nelle attivita' terroristiche. Cio' che trovo incredibilmente straordinario negli avvenimenti recenti e' che nessuno dei perpetratori aveva piu di quarant'anni e molti di essi erano addirittura ventenni.
     
    Questa e' la realta che dobbiamo affrontare: il reclutamento avviene su basi sostenute. Non puo' concludersi con l'uso della forza. Un aperto stato di guerra invece creera' il terreno in cui tale reclutamento potra' annidarsi e crescere. Un'azione militare per distruggere il terrore, soprattutto quando esso gia' abbia inciso su una vulnerabile popolazione civile, sarebbe come colpire una matura bocca di leone con una mazza da golf. Contribuiremo nello sostenere il mito di noi come il male e ci assicureremo un'altra generazione di reclute terroriste.

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  9. Riconoscere la complessita' ma sempre comprendendo il potere della semplicita' - Infine noi dobbiamo capire il principio della semplicita'. E' altrettanto vero che parlo molto con i miei studenti della necessita' di considerare attentamente la complessita' (che nei precedenti punti avevo cominciato ad esplorare). Tuttavia, l'elemento chiave della situazione corrente, che non abbiamo pienamente compreso, e' la semplicita'. Dal punto di vista degli attentatori, le loro azioni si rivelano efficaci fintanto che strategie semplici inducono il sistema a rispondere con la medesima moneta. Io credo che il nostro piu' grande compito sia quello di trovare in contrapposizione strumenti ugualmente creativi e semplici.

 

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Suggerimenti
 
Nel proseguire con quest'ultimo mio punto, lasciatemi tentare di semplificare. Io credo ci siano tre cose possibili da fare e che abbiano un grande e maggiore impatto su queste sfide che invece cercare responsabilita' attraverso la vendetta.
 
  1. Perseguire energeticamente un sostenibile negoziato di pace. Farlo adesso. Gli Stati Uniti possono molto, in questo senso, per supportare tale negoziato e per renderlo operativo. Potrebbero farlo con il peso della persuasione, il peso delle persone che spingono fermamente verso il mutuo riconoscimento e l'arresto di questi devastanti modelli di violenza, il peso dell'includere e soppesare in tale negoziato le storiche paure e le basilari necessita' di coloro che sono coinvolti. Se noi convogliassimo la stessa energia che in passato abbiamo utilizzato per costituire internazionali coalizioni per la guerra, soprattutto nel Medio-oriente, al fine invece di costruire un internazionale coalizione per la pace di questo conflitto; se noi potessimo invece prendere a prestito il supporto finanziario, morale e bilanciato su tutti i fronti che dispensammo al conflitto Irlandese alcuni anni fa, io credo che potrebbe allora essere il momento giusto e la situazione adatta per intraprendere un nuovo e qualitativo gradino in avanti.
     
    Sembra forse una bizzarra descrizione della nostra corrente situazione di terrore? Io credo che sia vero l'opposto. Questo tipo di azione e' precisamente quel genere di cose finalizzate a creare completamente nuove prospettive su chi siamo noi e sulla nostra posizione nei confronti del nostro paese. In questo modo, invece che combattere il terrorismo con la forza, noi entreremmo nel loro sistema e lo potremo deprivare di uno dei suoi piu' bramati elementi: il terreno del conflitto generazionale, percepito come ingiustizia, strumentalizzato quindi per infondere odio e generare reclute. Io credo che monumentali circostanze come queste creino le condizioni per innescare monumentali cambiamenti. Questo approccio solidificherebbe inoltre le nostre relazioni con vasta serie di stati medio-orientali e del centro Asia, sia alleati che nemici, e costituirebbe un duro colpo alle fazioni del terrore. Il piu' duro colpo che possiamo infliggere al terrore e' renderlo irrilevante. La peggiore cosa che invece potremmo fare e' nutrirlo involontariamente rendendo i suoi leaders protagonisti delle nostre azioni. Si scelga la democrazia e la riconciliazione alla vendetta e alla distruzione. Si fa esattamente quello non si aspettano e si mostra loro come funzionano le cose.

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  3. Investire finanziariamente nello sviluppo, l'educazione ed in una piu' ampia agenda sociale nei paesi circostanti l'Afghanistan invece di tentare di distruggerere i Talebani nel tentativo di ricerca di Ben Laden. La sola e piu grande pressione che puo' essere esercitata su Ben Laden e' quella di rimuovere le fonti delle sue giustificazioni e delle sue alleanze. Paesi come il Pakistan, Tajikistan, Iran e Siria dovrebbero essere soppesati dall'Occidente e dagli Stati Uniti in termini di una questione di importanza strategica: In che modo possiamo aiutarli a venire incontro alle esigenze della loro gente? Tale approccio strategico, teso a cambiare la natura di come il terrore che abbiamo vissuto questa settimana si riproduce, trova le sue radici nella qualita' delle relazioni che noi sviluppiamo con intere regioni, popoli e diffrenti visioni del mondo. Se noi rafforzassimo la rete di queste relazioni, noi indeboliremmo ed eventualmente elimineremmo il terreno dove il terrore nasce. Un vigoroso investimento, approfittando dell'attuale apertura data dagli orrori di questa settimana condivisa persino da coloro che tradizionalmente si dichiarano nemici dello stato, e' immediatamente disponibile, possibile e feconda di possibilita' storiche. Si faccia l'inatteso. Si creino nuove strategiche alleanze prima di adesso mai pensate possibili.

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  5. Perseguire un tranquillo, diplomatico ma dinamico e vitale supporto alla Lega Araba per cominciare ad indirizzare internamente le ragioni di fondo del discontento in numerose regioni. Cio' dovrebbe essere affiancato con un energetico ed ecumenico impegno, non solo di mero coinvolgimento dei leaders chiave, ma di pratica e di diretta ricerca sul come creare una rete etica per un nuovo millennio. Tale millennio e' fondato sul cuore e sull'anima di tutte le tradizioni ma crea differenti capacita' per ognuno di sradicare le radici della violenza che si trovano annidate nella propria tradizione.
     
    La nostra sfida, come la vedo io, non consiste nel convincere gli altri sulla correttezza del nostro modo di vivere, ne che la nostra religione e la nostra forma di governo siano piu vicine alla Verita' e alla dignita' umana. Proviamo ad essere onesti sulle fonti della nostra violenza domestica ed invitiamo gli altri a fare lo stesso. La nostra sfida globale riguarda il come generare e sostenere un impegno genuino che incoraggi le persone a partire dalla loro stessa tradizione per cercare cio' che assicuri la preziosita' ed il rispetto della vita umana, cio' che ogni religione vede come un diritto indisponibile e dono divino, e il come costruire una vita politica e sociale che risponda alle fondamentali necessita' umane.
     
    Tale rete etica puo' essere soltanto creata attraverso il genuino e sostenuto dialogo e tramite la costruzione di relazioni autotentiche tra sfere politiche e religiose e a tutti i livelli della societa'. Perche' non fare l'inatteso instaurando una strategia di genuino dialogo e mostrare cosi' che un etica pro-vita e' alla base di tutti i popoli ? Tale rete etica, politica e religiosa avra' un impatto sulle radici del terrore molto piu' grande per i figli dei nostri figli, che una qualsiasi operazione militare possa potenzialmente corroborare. La situazione attuale fornisce una impaventata opportunita' perche' questo accada, molto di piu', piu' di qualsiasi cosa vista negli anni precedenti nella nostra comunita' globale.

 

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Un richiamo all'inaspettato
 
Lasciatemi concludere con semplici idee. Per affrontare la realta' di ben organizzate, decentralizzate, auto-perpetranti fonti di terrore, dobbiamo pensare in termini diversi alla nostra sfida. Se certamente si tratta di una nuova guerra non sara' vinta con un tradizionale piano militare. La chiave non consiste nel trovare e distruggere territori, campi militari e non certamente la popolazione civile che presumibilmente li protegge. Paradossalmente questo invece supporterebbe lo stesso fenomeno terroristico e lo condurrebbe vivo fino alle nuove generazioni.
 
La chiave e' invece pensare quanto un piccolo virus puo' contaminare l'organismo intero e di come migliorare l'immunita' di tale sistema. Dovremmo prestare attenzione a non fornire ai movimenti che deploriamo quel combustibile che serve alla loro auto-riproduzione. Non soggiaciamo alla loro profezia provvedendo a fornire giustificazioni e martiri. La potenza della loro azione sta nella semplicita' con la quale essi perseguono la battaglia con potere globale. Hanno compreso il potere dell'impotenza. Hanno capito che mescolarsi e fondersi con il nemico crea una base per potere operare dall'interno. Non hanno affrontato il nemico con un bastone piu' grande, hanno fatto qualcosa ancora di piu' potente: hanno cambiato il gioco. Sono entrati nelle nostre vite, nelle nostre case ed hanno trasformato i nostri stessi mezzi nella causa della nostra stessa sconfitta.
 
Non vinceremo questa guerra per la giustizia, la pace e la dignita' umana con le tradizionali armi da guerra. Dobbiamo di nuovo cambiare il gioco.
 
Affrontiamo la pratica sfida di questa realta', forse meglio descritta nel poema epico "Cure of Troy" di Seamus Haney in cui nessun straniero viene individuato nel circolo di terrore. Diamo alla nascita l'inaspettato.
 
Cosi' speriamo per un grande cambiamento del mare
Sulla lontana sponda della vendetta
Credere che una piu lontana costa
E' raggiungibile da qui
Credere nei miracoli e nelle cure
E nelle prodigiose fonti
 
John Paul Lederach, 16 Settembre 2001.
Traduzione di Alessandra Vecchi.
 

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