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 pubblicato il 22 dicembre 2001

Guerra e mutamento


 
Rosalinda Gaudiano
Pubblicazione per gentile concessione dell'autrice. Già pubblicato sulla rivista "Incontri", 1998.

Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
Sito Internet - www.studiperlapace.it

 



 

Il conflitto è un elemento costitutivo della dinamica sociale.
 
Quando esso costituisce operazione di scambio e di negoziazione e s'impone in positivo nei rapporti fra le persone e i gruppi, i mutamenti che ne derivano non sono causati da comportamenti violenti e sanguinari.
 
Il conflitto che invece da spazio a forme di violenza incontrollate, che sfociano in veri e propri atti di guerra o rappresaglia, è da attribuire ad un sentimento di deumanizzazione nei confronti dell'altro.
 
L'atto violento, sanguinario avviene, da parte di chi lo compie, in riferimento ad uno schema mentale che definisce la propria identità estendendo i fattori biologici fino a confonderli con quelli culturali [1]. Non vi è spazio per considerazioni d'appartenenza, non solo alla stessa cultura, ma anche alla stessa specie.
 
Processi umani caratterizzati da momenti di forte aggressività sanguinaria, non sono affatto frutto di tendenze naturali dell'uomo [2], essi scaturiscono solo da tendenze culturali che considerano la guerra l'unica soluzione a qualsiasi tipo di controversie.
 
Usare la guerra come strumento di "regolazione" di rapporti di potere è un'abitudine istituzionalizzata da parte di quegli Stati il cui popolo affonda le proprie radici in modelli culturali che giudicano l'aggressività bellica come forma di egemonia, supremazia verso chi si considera inferiore, non appartenente cioè alla stessa specie.
 
Purtroppo oggi assistiamo sempre più alla nascita di nuovi conflitti bellici che affliggono più parti del globo.
 
Ma ciò che è veramente preoccupante è l'autorizzazione alla violenza da parte di un organismo come l'O.N.U. nato per compiere ed agevolare azioni di Pace.
 
All'interno dello statuto dell'O.N.U., cap. 7, articolo 51, è menzionata la seguente dichiarazione: "Nessuna disposizione del presente statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la Pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da membri nell'esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quella azione che esso ritenga necessaria per mantenere e ristabilire la Pace e la sicurezza internazionale".
 
L'aggressione da parte degli U.S.A. alla periferia di Khartoum, dove è stata colpita e distrutta una fabbrica farmaceutica sospettata di produrre armi chimiche, è l'esempio di come uno Stato-Nazione usi la "violenza" in risposta ad un'eventuale violenza subita.
 
Forse nei prossimi giorni assisteremo ad un raid punitivo da parte delle forze Nato nel Kosovo.
 
Nonostante la Russia e la Cina abbiano obiettato all'ONU sull'uso della forza per risolvere la crisi nel Kosovo, gli Stati Uniti ribadiscono che l'intervento armato è previsto per metà ottobre. Il progettato attacco USA, conseguenza del rapporto di Annan che condanna le atrocità di Milosevic, le uccisioni a capriccio e tutti i possibili eccessi delle forze di sicurezza serba, servirebbe a scongiurare una gravissima catastrofe umanitaria.
 
Mi domando: possibile che l'O.N.U., organismo nato per garantire e costruire la Pace, legittimi interventi con la forza? In ogni conflitto le azioni più importanti non sono, forse, bloccare qualsiasi spargimento di sangue per comprendere le ragioni vere del conflitto siano esse di natura economica, di religione, o etniche?
 
Personalmente penso che la violenza, come azione umana, si è sempre dimostrata un fallimento. Tutti coloro che costituiscono forze di Pace devono convenire che ogni azione violenta genera momenti di disordine non governabile, dove il problema diventa proprio quella violenza che avrebbe dovuto esserne la soluzione.
 
Pace, da significato negativo che comunemente ha nell'accezione culturale: assenza di guerra, acquista significato positivo quando facciamo riferimento ad una politica costitutiva di modelli culturali riferiti a quei valori esclusivi al servizio dell'umanità [3].
 
Chi sostiene che politica e guerra fanno parte dello stesso continuum, commette un grande errore. E se questo modo di governare non sarà "rivisto", il nostro futuro come quello degli abitanti dell'isola di Pasqua [4], potrebbe appartenere agli uomini con le mani sporche di sangue [5].
 

 

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Note
[1] Fabietti, Remotti, Dizionario di Antropologia Culturale, Zanichelli.
 
[2] Fromm E., Anatomia della distruttività umana, Mondadori.
 
[3] Altan, Manuale di Antropologia culturale, Bompiani.
 
[4] Gli abitanti dell'isola di Pasqua, isolati nello spazio e nel tempo, se fossero stati capaci di articolare l'idea, avrebbero dovuto pensare che il mutamento delle circostanze esigeva una rivoluzione culturale.
La guerra non portò alcuna utilità alla gente di quell'isola della Polinesia. Quando in quel posto del Pacifico si adottò quel tipo di politica che predilesse soluzioni distruttive e incontrollabili, si rivelò essere la fine prima della politica, poi della cultura, ed infine della vita stessa. J. Keegan, La grande Storia della Guerra, Mondadori.
 
[5] Keegan J., La grande storia della Guerra, Mondadori.

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