Un altro campo in cui all'ONU devono essere senz'altro riconosciuti meriti storici è quello dei diritti dell'uomo. La filosofia e la stessa definizione dei diritti dell'uomo sono opera dell'ONU che ha sostituito questa figura ad altre precedenti di portata più ristretta, come i diritti dello straniero, i diritti delle minoranze etc. Anche nel confronto con analoghe realizzazioni a livello europeo, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del dicembre 1948 si caratterizza per l'ampiezza di contenuto (pur se è inferiore l'efficacia dei mezzi di tutela previsti).
Si tratta per il momento solo di un seme, ma vi è da sperare che esso darà i suoi frutti. Lo sforzo dell'ONU si è volto a costruire una filosofia dei diritti dell'uomo fondata sul rispetto internazionale della re gola di diritto: alla Dichiarazione universale è seguita l'elaborazione dei Patti internazionali dal contenuto assai più de terminato, quindi di altri solenni strumenti internazionali per la messa al bando del genocidio, dell'apartheid, del razzismo in tutte le sue forme, del terrorismo e di altri flagelli.
Certo l'attuazione pratica di questi strumenti, anche solo a livello di riconoscimento da parte dell'opinione pubblica, soffre a causa delle divisioni politiche ed ideologiche. Come osserva Perez de Cuellar, colui che per certi membri è un combattente per la libertà, per altri è un terrorista; il campione dei diritti dell'uomo di certi paesi è un sovversivo in altri; la persona privata della libertà che lamenta un trattamento ingiusto, nello Stato che lo detiene è un criminale.
Per questo motivo, l'attività dell'ONU nel settore si è rivolta in modo particolare alle violazioni più palesi come l'apartheid, consacrate da testi interni di valore costituzionale. Un altro settore nel quale l'ONU ha marcato decisi successi è quello della codificazione del diritto internazionale.
All'ordinamento giuridico che regola le relazioni tra gli Stati si rimprovera di non essere capace di prevenire la guerra (e quindi di mancare la finalità precipua di un ordinamento giuridico: quella di assicurare la pace); di non essere in grado di esprimere delle autorità istituzionali capaci di dirigere la società internazionale e di promuovere il rispetto dei valori sociali entro di essa; di tollerare le enormi diseguaglianze che esistono tra i suoi membri. Così argomentando si trascura la considerazione che il diritto internazionale è così perché i suoi soggetti gli Stati così lo hanno voluto.
Un maggior senso di coesione sociale avrebbe potuto portare in passato e potrebbe portare oggi ad un grado d'integrazione maggiore; sennonché ci presuppone la rinuncia ad una prerogativa di cui gli Stati, e segnatamente i più deboli, gli ultimi arrivati, assolutamente non vogliono privarsi: la sovranità.
Con tutte le insufficienze che gli sono proprie, il diritto internazionale resta tuttora il corpo di regole cui gli Stati si attengono nei loro rapporti, prestando ad esse un rispetto difficilmente comprensibile per chi è abituato ad associare l'efficacia del diritto alla coercizione.
Ora è evidente che le regole del diritto internazionale sono tanto più efficaci quanto più dettagliatamente sono formulate. L'attività dedicata dalle Nazioni Unite alla codificazione del diritto internazionale, la quale ha condotto alla conclusione di numerosi accordi internazionali relativamente a diversi settori, tra cui quello recente (1982) che riformula tutto il diritto del mare tenendo conto in modo particolare delle esigenze dei paesi in via di sviluppo, deve valutarsi positivamente non solo da questo punto di vista, ma anche perché, verificandosi in un momento in cui nella comunità internazionale si operava un ampliamento senza precedenti, ha garantito l'adesione di moltissimi nuovi Stati ad un ordine giuridico che altrimenti questi avrebbero potuto disconoscere perché formatosi senza il loro intervento.
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