I. Introduzione
J ürgen Habermas già da tempo (1) evidenzia come l'evoluzione, ed in particolare il crollo delle certezze metafisiche e religiose accompagnato dalla separazione della "forza vincolante di convinzioni razionalmente motivate e la costrizione imposta da sanzioni esterne (2)", abbia determinato nell'ordine sociale un vuoto di legittimità. La guerra in Kosovo dimostra, secondo il filosofo francofortese (3), quali siano nel quadro dei rapporti internazionali i pericoli insiti a tale sviluppo: in assenza di un modello normativo unico parametro di riferimento consiste nel "diritto non istituzionalizzato", cioè il diritto del più forte, che non solo non colma il vuoto di legittimità ma anzi lo accresce (4).
II. L'universalismo umanitario tra politica di potenza e generosità umana
Ulrich Beck ha recentemente (5) messo a fuoco un aspetto cruciale della guerra in Kosovo: con essa è cominciata una nuova politica postnazionale di "umanesimo militare", di intervento di potenze transnazionali che si muovono per far rispettare i diritti umani oltre i confini nazionali. Ma "la buona notizia è anche la cattiva: il potere egemonico decide cos'è il diritto e cosa i diritti umani. E la guerra diventa il proseguimento della morale con altri mezzi (6)". Ma andiamo con ordine.
Dal 1945 quelli che oggi vengono chiamati "interventi umanitari (7)" sono stati promossi solo nell'ambito delle Nazioni Unite e con la approvazione formale degli Stati interessati (8) (nella misura in cui non mancasse del tutto un governo capace di funzionare). Ancora nel 1992, con la risoluzione 46/182, l'Assemblea Generale ribadisce questo principio stabilendo che "sovranità, integrità territoriale e unità nazionale di ogni Stato devono essere pienamente rispettate, in accordo con la Carta delle Nazioni Unite".
La guerra iniziata dopo il fallimento delle trattative di Rambouillet costituisce invece un precedente di eccezionale gravità contrario a questa prassi: l'alleanza del Nord Atlantico agisce senza alcun mandato del Consiglio di sicurezza (9), giustificando l'intervento per il suo fine ufficialmente dichiarato, cioè il soccorso alla minoranza kosovara oppressa (10). Con quest'inversione di tendenza si può dire (11) che la nostra epoca si sta trasformando da "era dei diritti dei singoli stati" a "diritti dei singoli e basta". In altre parole, si sta verificando un superamento dello stato di natura tra gli Stati, trasformando il diritto internazionale da sistema dei rapporti tra gli Stati a "ordine cosmopolita compiutamente giuridico (12)", in un "diritto di cittadinanza universale (13)", nel quale l'intero onere di legittimazione viene trasferito sui diritti umani: i paesi membri della Nato hanno iniziato la guerra dichiarando di voler ripristinare un ordinamento liberale autonomo per il Kosovo, in nome di una politica di diritti umani che di per sé ( cioè senza la necessità di un mandato dell'ONU) dovrebbe fungere da base di legittimazione.
Contro questa concezione, il cd. "universalismo umanitario", si sono sollevate una serie di obiezioni (14), che Habermas (15) sintetizza nei seguenti enunciati:
a. la politica dei diritti umani, servendo ad imporre norme che sono parte di una morale universalistica, conduce a guerre che - mascherandosi da "azioni di polizia" assumono una valenza morale;
b. alla moralizzazione della guerra segue la demonizzazione dell'avversario, "distrugge[ ndo] la limitazione giuridicamente istituzionalizzata dello scontro militare (o politico) che ci contrappone a lui (16)", rendendo cioè la politica d'intervento sui diritti umani una lotta del Bene contro il Male (17).
In altre parole, se uno dei grandi meriti civilizzatori dello stato costituzionale democratico è stata la limitazione giuridica del potere politico sulla base della sovranità di soggetti riconosciuti dal diritto internazionale, Habermas si pone il dubbio che la politica dei diritti umani, sbattendo "contro l'egoismo di un potere politico, nel quale è iscritto indelebilmente l'impulso all'autoaffermazione collettiva di una particolare essenza comune (18)", porti in ultima analisi ad un Menschenrechtsfundamentalismus, ad un fondamentalismo dei diritti umani.
III. Qualità dei diritti umani
Punto d'inizio per cercare di chiarire questa domanda cruciale - cioè se e sotto quali condizioni la politica dei diritti umani porti ad un fondamentalismo umanitario - è senz'altro l'analisi dello status che Habermas attribuisce ai diritti umani. In sostanza (19) Habermas ritiene che il concetto di "diritti dell'uomo" non sia di origine morale, bensì "una forma specifica del moderno concetto di "diritti soggettivi", vale a dire una categoria specificatamente giuridica. I diritti dell'uomo sono fin dall'inizio di natura giuridica (20)".
E ancora: "Ciò che conferisce loro [ai diritti dell'uomo] l'apparenza di diritti morali non è il loro contenuto - né tantomeno la loro struttura - bensì piuttosto quel senso di validità [Geltungssinn] che li proietta "al di là" di tutti gli ordinamenti giuridici nazionali (21)". La loro caratteristica più peculiare consiste nel fatto che, anche se attuati soltanto nell'ambito di un certo ordinamento giuridico nazionale, essi fondano entro questa sfera comunque diritti validi per tutte le persone, non solamente per i cittadini dello stato. Ed è questa caratteristica, questa loro "prestesa di validità universale (22)", che i diritti fondamentali condividono con le norme morali. Tuttavia questo non basta secondo Habermas a togliere ai diritti umani fondamentali la loro qualità giuridica, né li trasforma in norme morali. Infatti "le norme giuridiche - nel senso moderno di diritto positivo - conservano la loro forma giuridica a prescindere dal tipo di ragioni che utilizzano per fondare la loro pretesa di legittimità. Il carattere giuridico delle norme riguarda la loro struttura e non il loro contenuto (23)".
L'analisi fin qui svolta riguarda evidentemente il caso in cui i diritti umani siano stati positivizzati sotto forma di diritti fondamentali, recepiti cioè nell'ordinamento positivo (ad es. nella Carta Costituzionale) di uno stato: il problema del fondamentalismo dei diritti umani in questo caso non si pone neppure, in quanto i diritti umani non rilevano in quanto tali.
Diverso è la situazione di cui si sta discutendo a causa della guerra: ammesso che che la Carta delle Nazioni Unite non è "Costituzione di una entità statale allargata", ma piuttosto uno "statuto giuridico (...) [dell'] organizzazione di una parte delle relazioni fra Stati e della loro cooperazione (25)", e cioè l'ONU, i diritti umani ai quali la Carta fa riferimento espresso (26) non possono essere valutati, per quanto interessa in questa sede, alla stregua dei diritti fondamentali contenuti negli ordinamenti positivi degli stati democratici. Ciò si traduce nella loro qualità di norme morali e non di norme giuridiche (27). E questo, a sua volta, permette a parte degli stati occidentali coinvolti nella guerra di richiamarsi ai "diritti umani come punto di riferimento etico per la valutazione di obiettivi politici (28)", generando la "nuova miscela di generosità umanitaria e logica di potenza" (Ulrich Beck), che conduce, in ultima istanza, alla commistione tra diritto e morale da cui nasce quel Menscherechtsfundamentalismus da cui la nostra analisi aveva preso le mosse.
IV. Conclusioni
Da quanto detto emerge che, almeno fino a quando le Nazioni Unite non saranno oggetto di un'ampia riforma che le trasformi in una "democrazia cosmopolitica" dotata di parlamento (mondiale), apparato giudiziario globale autonomo e di un potere esecutivo indipendente che sia in grado di imporre, se necessario, mediante interventi diretti l'osservanza della Dichiarazione dei diritti umani, questi ultimi non possono godere di una tutela globale legittima sotto il punto di vista giuridico - normativo. Solo infatti se le Nazioni Unite riusciranno a chiudere il cerchio tra applicazione vincolante del diritto e legiferazione democratica i diritti umani potranno acquistare la qualità di diritti soggettivi "globali" (29). Fino al quel momento, per quanto etici possano essere nel loro contenuto, resteranno delle limitazioni imposte con la forza (30).
Per concludere con le parole di Habermas (31) "le norme morali che fanno appello alle nostre migliori convinzioni non possono essere imposte come diritto consolidato", pena l'accettazione del rischio che, "passando dall'età dei diritti all'età dell'etica in libertà (32)" domani un'altra coalizione rivendichi il diritto di risolvere un conflitto, questa volta forse tra gli stessi paesi membri dell'Alleanza Atlantica, secondo il proprio arbitrio travestito da etica.
Note
1. Jürgen Habermas, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demoratischen Rechtsstaats, Suhrkamp, F.a.M 1992, trad.it. Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini e Associati, Milano 1996.
2. Jürgen Habermas, Fatti e norme cit., 35.
3. L'intervento più recente è Jürgen Habermas, I Guardiani dell'Ordine tra il diritto e la morale, La Repubblica, 8.5.1999, nonché (in versione integrale) Umanità e bestialità - una guerra ai confini tra diritto e morale, www.caffeeuropa.it/attualita/33habermas-guerra-ok.html (le citazioni a quest'ultimo saggio saranno prive delle indicazioni di pagina per la evidente difficoltà di fornire un criterio univoco di impaginazione di un testo scaricato da Internet). Ma già in passato il filosofo si era occupato della questione: Jürgen Habermas, Kant's Idee des ewigen Frieden - aus dem historischem Abstand von 200 Jahren, Kritische Justiz, 1995, 293 - 319 (trad.it. L'idea kantiana della pace perpetua - 2 secoli dopo in Paradigmi, 1996, 15-31, nonché in Jürgen Habermas, L'inclusione dell'altro, Feltrinelli, Milano, 1998, 177-215. NB.: a quest'ultima traduzione si riferiscono le citazioni).
4. Infatti Habermas, prendendo spunto dall'l'idea kantiana dell'autolegislazione, ritiene che il diritto, strumento indispensabile per l'integrazione delle società complesse, possa considerarsi legittimo solo e nella misura in cui i suoi destinatari possano dirsene anche autori. Per approfondire questo concetto e le conseguenze che ne derivano cifra Jürgen Habermas, Fatti e norme cit., in particolare 103ss.
5. Ulrich Beck, Ecco l'era delle guerre postnazionali, Reset 54, maggio - giugno 1999, 10-12.
6. Ulrich Beck, cit., 10.
7. Sul concetto di "guerra umanitaria" si è svolto negli ultimi mesi un dibattito vastissimo. Si indicano, senza pretesa di completezza: il dibattito sulle pagine Web di Caffè Europa, http://www.caffeeuropa.it al link "Attualità /Gli intellettuali discutono della guerra" (in particolare i contributi di Luigi Ferrajoli, Danilo Zolo e Norberto Bobbio); Alberto Asor Rosa, Solidali per la libertà o ubbidienti per l'Impero, La Repubblica 6.04.'99; Antonio Cassese, Le cinque regole per una guerra giusta, L'Unità 9.04.'99; Henry Kissinger, La Nato non ha scelta dovrà inviare le truppe, La Repubblica 14.04.'99; Mario Pirani, I fantasmi dell'Imperialismo, La Repubblica 14.04.'99; Hans Magnus Enzensberger, L'arte della guerra a fine millennio, La Repubblica 15.04.'99; Susan Sontag, Ricordando Sarajevo è una guerra giusta, La Repubblica 19.04.'99; Adriano Sofri, Da Auschwitz a Pristina, La Repubblica 26.04.'99; Miriam Mafai, I megafoni del regime, La Repubblica 26.04.'99; Norberto Bobbio, intervista, l'Unità 26.04.'99; Umberto Eco, Quando la guerra è un'arma spuntata, La Repubblica 27.04.'99; Giorgio Ruffolo, Il pantano della guerra, La Repubblica 30.04.'99; Tony Blair, L'occidente non aveva scelta, La Repubblica 4.05.'99; Adriano Sofri, ma non è giusto chiamarla guerra, La Repubblica 7.05.'99; Michael Walzer, L'idea di guerra giusta non è per niente abbandonata, Caffè europa cit., Mario Vargas Llosa, Ma la guerra pulita può essere inutile, La Repubblica 10.05.'99; Ida Dominijanni, Sta fallendo ma era giusta. La guerra di Bobbio, Il Manifesto, 18.05'99; Bill Cinton, La mia guerra giusta, La Stampa 24.05.'99 e, infine, Amos Oz, L'amara illusione del vill aggio globale, La Repubblica 26.05.'99.
8. Per l'istituzione della no fly zone e delle "zone di protezione" per i profughi kurdi sul territorio iraqeno le Nazioni Unite avevano addotto (risoluzione 688/1991) infatti non la necessità di difendere la minoranza kurda, ma la "minaccia alla sicurezza internazionale" rappresentata dal regime di Saddam Hussein.
9. Per le problematiche relative al ruolo dell'ONU e della Nato si vedano gli atti (disponibili su Internet all'indirizzo http://www.studiperlapace.org) della conferenza di Studi per la Pace, "Onu e Nato negli interventi armati: profili internazionali e profili interni", Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara, 12 maggio 1999.
10. Commettendo cioè una violazione del divieto di ingerenza sancito dalla Carta delle N.U. all'art.2, par.7: "nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad
intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato", salva l'applicabilità del Capitolo VII.
11. Raffaele Oriani, Habermas: meglio costruire il diritto che fare del bene, www.caffeeuropa.it/attualita/33habermas-oriani.html. Cifra inoltre Jürgen Habermas, L'idea kantiana della pace cit., in L'inclusione cit., 195 ss.
12. Jürgen Habermas, Umanità, cit.
13. Ibidem. Habermas in quest'intervento indica anche le conseguenze più immediate di un diritto che travalichi la sovranità degli stati: innanzitutto il cittadino "del mondo" sarebbe protetto dalle violazioni dei suoi diritti anche contro l'arbitrio del suo stesso stato, mentre si affermerebbe anche la responsabilità personale dei singoli funzionari per i crimini commessi anche nell'esercizio delle loro funzioni (Habermas porta il caso Pinochet come esempio per quest'ultima evoluzione).
14. Il critico forse più aspro di questa concezione è stato Carl Schmitt, il quale traduce il proverbio "Wer Menschheit sagt, lügt", cioè "chi dice umanità dice una bugia" nella formula "umanità, bestialità". L'"inganno dell'umanesimo" avrebbe radice nell'ipocrisia di un pacifismo giuridico che vorrebbe condurre "guerre giuste" sotto le insegne della pace e del diritto cosmopolitico. "Se uno stato combatte il suo nemico politico in nome dell'umanità, la sua non è una guerra dell'umanità, ma una guerra per la quale un determinato stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario, di un concetto universale per potersi identificare con esso (a spese del suo nemico), allo stesso modo come si possono utilizzare a torto i concetti di pace, giustizia, progresso e civiltà, per rivendicarli a sé e sottrarli al nemico. "Umanità" è strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche [ ... ]" in Der Begriff des Politischen [ 1932] , tr.it. in Idem, Le categorie del "politico", a cura di G. Miglio e P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1972, 139. Seguiamo qui Jürgen Habermas, L'idea kantiana, cit., 201.
15. Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit., 202s. e idem, Umanità cit..
16. Jürgen Habermas, eadem.
17. Per dirla ancora con Carl Schmitt, il nemico belligerante viene trasformato in "quel mostro disumano che non può essere solo sconfitto ma deve essere definitivamente distrutto", in idem, Le categorie del politico cit., 139 (citazione da Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit.., 212).
18. Jürgen Habermas, Umanità cit..
19. Per un'analisi completa cfr. Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit., in particolare 202ss..
20. Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit., 203. In questo modo risulta superato l'imbarazzo di quei filosofi che, attribuendo ai diritti umani uno status intermedio tra diritti positivi e diritti morali, si trovavano a dover spiegare il fatto che anche i diritti fondamentali possano subire la sorte di qualsiasi diritto positivo, e cioè possano essere modificati o addirittura aboliti. Si veda anche Jürgen Habermas, Legittimazione in forza dei diritti umani, Fenomenologia e società, 2, 1997, 3-13 e in idem, L'inclusione cit., 216ss.
21. Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit, 203.
22. Essa deriva dal fatto che, a differenza di delle altre norme giuridiche, i diritti fondamentali possano essere fondati anche soltanto da una prospettiva morale. Infatti, se per le altre norme giuridiche argomenti morali sono quasi sempre affiancati da argomenti politici o pragmatici, i diritti fondamentali regolano materie tanto generali che gli argomenti morali sono senz'altro sufficienti alla loro fondazione. Cfr. Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit., 204.
23. Jürgen Habermas, ibidem.
24. Cfr. l'intervento del prof.Giovanni Battaglini alla conferenza ONU e Nato negli interventi armati cit., che si riferisce, tra gli altri, a Rolando Quadri, Diritto internazionale pubblico, 1949, 247 e 257, nonché a Gaetano Arangio Ruiz, Postfazione, in Laura Picchio Forlati (cur.), Le Nazioni Unite; Giappichelli, Torino 1998; ancora, sebbene visto nell'ottica di una necessità di riforma delle Nazioni Unite, D. Archibugi, From the United Nations to Cosmopolitan Democracy, in D. Archibugi, D. Held, (curr.), Cosmopolitan Democracy, Cambridge 1995, 121ss..
25. Gaetano Arangio Ruiz, Postfazione cit., 259.
26. Cfr. l'art. 1 della Carta.
27. Sulla distinzione si veda, ancora una volta, Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit., 204 e 205, nonché idem, Fatti e norme cit., 128 - 143. In sostanza, la differenza che qui maggiormente interessa fra questi due tipi di norme consiste nel fatto che le norme giuridiche, a differenza delle norme morali che sono fondate su doveri che vincolano la volontà libera [den freien Willen] di persone autonome, servono a proteggere la libertà di arbitrio [Willkürfreiheit] del singolo individuo, permettendogli di fare tutto ciò che non è esplicitamente vietato da leggi generali limitanti la libertà. Si veda anche Immanuel Kant, secondo il quale "l'unico diritto originario spettante ad ogni uomo in forza della sua umanità" è la libertà, intesa come indipendenza dall'arbitrio costruttivo altrui (idem, La metafisica dei costumi, tr.it. di G. Vidari, Laterza, Roma-Bari 1991, 44 - citazione da Jürgen Habermas, L'idea kantiana cit., 205).
28. Jürgen Habermas, Umanità cit..
29. Diversa è la questione sulla opportunità politica di tale riforma: in dottrina è molto sentito il timore che ciò assoggetterebbe gli stati ad un "pactum subiectionis di rigore mai conosciuto nella storia" (Rolando Quadri cit., 247).
30. Per dirla con le parole di Leonardo Ceppa, Postfazione, in Jürgen Habermas L'inclusione cit., 269: "Il diritto legittimo - democraticamente prodotto in istituzioni storicamente individuate e applicato con forza concentrata e preventivamente regolata - deve poter azionare in maniera prevedibile ed efficace i diritti rivendicati dagli associati. Invece l'istanza morale della coscienza individuale non può presumere di farsi valere senza mediazioni in sede giuridica, giacché in tal caso essa rischierebbe davvero di incrementare la "politica della guerra civile mondiale".
31. Jürgen Habermas, Umanità cit.. In realtà Alessandro Pizzorno, Ma l'intervento Nato è poco umanitario, La Repubblica, 20.05.'99 (in versione integrale su Caffè Europa cit.), sembra interpretare la posizione habermasiana in senso opposto da quella che emerge dalla presente analisi, forse intendendo il senso della frase che conclude l'ultimo saggio habermasiano (" Ma l'autoinvestitura della Nato non può diventare la regola", Jürgen Habermas, Umanità cit.) in senso giustificativo anziché, come appare più consono al pensiero habermasiano alla luce di quanto esposto, in senso "accusatorio".
32. Raffaele Oriani cit.
|