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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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CPI e diritti della difesa Dr. Roberto Di Donatantonio
 
Versione integrale
I diritti dell'accusato nello Statuto della Corte Penale Internazionale
Tesi di laurea

Università degli Studi di Teramo
Facoltà di Giurisprudenza

Relatore: Prof.ssa Flavia Lattanzi
Anno Accademico 1998/1999 Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 1999

 
Sommario

Il grado di civiltà sociale, oltre che giuridica, di un popolo, è determinato e si misura anche e soprattutto dalle garanzie e dai diritti riconosciuti ed offerti a tutti coloro che sono sottoposti in qualche modo alla loro giurisdizione.

In quest'ottica è necessario che la CPI, organo internazionale o, per meglio dire, sovranazionale a base convenzionale, proprio perché sarà chiamata a funzionare - almeno si spera - a livello planetario per reprimere crimini così efferati che scuotono la comunità internazionale nel suo complesso dovunque vengano compiuti, esprima al livello più alto quelle garanzie e quei diritti per l'accusato attualmente riconosciuti, almeno in teoria, nei vari sistemi giuridici nazionali.

 
Indice dei contenuti
 
I. INTRODUZIONE

(1) PREMESSA STORICA
i) Antecedenti
ii) Norimberga e Tokyo
iii) Lo sforzo per l'istituzione di una CPI permanente

(2) LA CONFERENZA DI ROMA
i) L'importanza della Conferenza di Roma
ii) La ferma opposizione USA all'istituzione di una CPI permanente

(3) STANDARDS INTERNAZIONALI DI GARANZIE A BASE DELLE DISPOSIZIONI DELLO STATUTO DI ROMA

(4) METODOLOGIA E PIANO DELL'INDAGINE
i) Sospettato e accusato
ii) Fasi del procedimento dinanzi alla CPI

II. I DIRITTI NELLA FASE PRELIMINARE IN SENSO STRETTO

Questioni relative alla giurisdizione e ammissibilità del caso


III. I DIRITTI NELLA FASE PRE-DIBATTIMENTALE (O PRELIMINARE IN SENSO LATO)

(1) I DIRITTI NEL CORSO DELLA FASE INVESTIGATIVA
i) Il diritto a non essere obbligati ad autoincriminarsi o a confessare la propria colpevolezza
ii) Il diritto a non essere sottoposto ad alcuna forma di coercizione, costrizione o minaccia, tortura o ad altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane o degradanti
iii) La necessità di riconoscere il diritto a cure e visite mediche imparziali
iv) Il diritto ad un competente e gratuito servizio di interpretazione e di traduzione
v) Il diritto a non subire arbitrarie misure di arresto o di detenzione
vi) Altri diritti previsti dall'art. 55 in favore del sospettato che stia per essere interrogato dal Procuratore o dalle competenti autorità nazionali
vi-a) Il diritto ad essere informato dei propri diritti prima dell'interrogatorio
vi-b) Il diritto a rimanere in silenzio
vi-c) Il diritto di consultare un legale di propria scelta prima dell'interrogatorio e di farsi assistere da un legale durante l'interrogatorio
vii) Circostanze nelle quali i diritti e le garanzie del sospettato sono tutelati dagli organi della CPI
viii) Conclusione

(2) I DIRITTI NELLA DETENZIONE PRE-DIBATTIMENTALE
i) Background storico
ii) Garanzie nelle ipotesi di atti limitativi della libertà
iii) Il diritto di informazione al tempo dell'arresto
iv) Il diritto ad un pronto accesso all'autorità giudiziaria dello stato di detenzione
v) Il diritto a far determinare la legittimità della detenzione e ad essere rilasciati nel caso in cui la detenzione risultasse illegittima
vi) Ulteriori diritti che dovrebbero riconoscersi al sospettato
vii) La durata della detenzione pre-dibattimentale ed il diritto ad un processo entro un ragionevole periodo di tempo
viii) Il diritto di accesso al mondo esterno, ai dottori ed agli appositi trattamenti medici
viii-a) Modalità in cui si esplica il diritto di accesso al mondo esterno
ix) Il diritto a un pronto accesso a un legale subito dopo l'arresto
x) Il diritto ad essere informato dei propri diritti al tempo dell'arresto

(3) CONCLUSIONE

IV. I DIRITTI NEL CORSO DEL PROCESSO

(1) GARANZIE RELATIVE AL GIUSTO PROCESSO
i) La parità delle armi tra accusa e difesa e il dovere del Procuratore di far conoscere alla difesa le informazioni di cui è in possesso
ii) Il dovere di supervisione della Corte
iii) La presunzione d'innocenza

(2) I DIRITTI DELL'ACCUSATO NELL'ART. 67 (in generale)
i) Il diritto ad un processo pubblico
ii) Il diritto ad un processo equo e condotto imparzialmente
iii) Il diritto di fruire di garanzie minime in condizione di piena uguaglianza

(3) I DIRITTI DELL'ACCUSATO NELL'ART 67 (in particolare)
i) Il diritto ad essere informato delle accuse
ii) Il diritto a tempo e facilitazioni adeguate per la preparazione della difesa e i diritti e le problematiche concernenti la conduzione della difesa
iii) Il diritto ad essere processati senza indebiti ritardi
iv) Diritti concernenti la cross-examination
iv-a) La questione delle testimonianze anonime iv-b) La questione della "hearsay evidence"
v) Il diritto ad un competente servizio di interprete e di traduzione
vi) Il diritto a non essere obbligato a testimoniare e a confessare la propria colpevolezza, il diritto a rimanere in silenzio ed eventuale procedimento di ammissione di colpevolezza
vii)Il diritto a fare dichiarazioni orali o scritte in propria difesa e il diritto a non subire l'imposizione dell'onere della prova o dell'onere della confutazione della prova

NE BIS IN IDEM E PROCESSO IN ABSENTIA (cenni)

CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA
 
Abstract
 

I. INTRODUZIONE

 

1. Premessa storica
 

(i) Antecedenti
 

Risale al 1474 la creazione della prima corte penale internazionale col compito di assicurare alla giustizia qualche responsabile di quelli che oggi sarebbero definiti come crimini contro l'umanità.
 

Peter Von Hagenbach, governatore di Breisach al servizio del duca Carlo il Temerario di Borgogna, fu messo in stato d'accusa da parte di un tribunale composto da ventotto giudici provenienti da diverse nazioni del Sacro Romano Impero. Imputato per atrocità commesse dalle sue truppe quali omicidio, stupro, saccheggio e altri crimini contro "the laws of God and a man", fu giudicato colpevole e fu decapitato.
 

La tesi della difesa, basata sull'obbedienza agli ordini superiori, fu respinta come dovrebbe avvenire secondo le norme oggi in vigore nel quadro degli strumenti internazionali che, giustamente, escludono altresì la pena di morte. Alcuni ordinamenti statali continuano invece a prevederla e ad eseguirla in violazione, a mio avviso, dei principi fondamentali di umanità. E' quanto è stato fatto, per esempio, con i verdetti emessi dal tribunale di Kibungo (Rwanda) ai danni di Deo Bizimana ed Egide Gatanazi processati e condannati in base alla nuova legge nazionale sul genocidio del 1994.
 

Non si riscontra nessun altro precedente di rilievo per la applicazione del diritto penale da parte di un tribunale internazionale per tutti i cinque secoli che seguirono.
 

Solo l'orrore suscitato dalle devastazioni e dagli immani massacri avvenuti durante la Prima Guerra Mondiale, e gli aumentati rischi che i conflitti moderni impongono alla popolazione civile, spinsero ad istituire, nel gennaio 1919, una "Commission on the Responsibility of the Authors of the War and on the Enforcement of Penalties for violations of the Laws and Customs of War", che determinasse se vi fossero le basi per incriminare gli individui-organi appartenenti alle potenze centrali per le violazioni del diritto internazionale umanitario.
 

Nel suo Rapporto, emesso il 29 marzo 1919, la Commission individuò trenta categorie di crimini perpetrati dalle forze tedesche contro le norme e gli usi di guerra (Convenzioni dell'Aia del 1907 e 1911 e diritto consuetudinario), dal bombardamento di luoghi privi di interesse strategico militare all'affondamento di due navi ospedale britanniche, al massacro di più di un milione di Armeni in Turchia. Il documento raccomandò l'istituzione di un Alto Tribunale Internazionale per i maggiori responsabili, tra cui il Kaiser Guglielmo II, macchiatosi della violazione della neutralità del Belgio - atto definito "a supreme offence against international morality and the sanctity of treaties".
 

L'Alto Tribunale però non venne mai alla luce, non ultimo perché per il Kaiser, trasferitosi nei Paesi Bassi, non fu nemmeno richiesta l'estradizione.
 

Il principio della illiceità delle violazioni degli usi e costumi di guerra e di altri crimini ad esso correlati emerse tuttavia chiaramente sia dal diritto internazionale pattizio quanto da quello consuetudinario che si sviluppò tra le due guerre e ciò verrà a costituire il prerequisito essenziale per le decisioni prese dagli alleati durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
 

Come è ovvio però, la messa in pratica di tali principi non risultava allora immaginabile se non per mano del vincitore della guerra, come del resto avvenne spesso pure in anni successivi anche al livello interno in vari paesi impegnati in processi di transizione. Si sarebbe quindi trattato comunque di uno sforzo unico, ma pur sempre criticabile per il fatto di essere unilaterale, di rappresentare cioè la giustizia dei vincitori.
 

L'istituzione di una corte penale internazionale fu spesso menzionata da diversi Stati durante le sessioni di lavoro della Società delle Nazioni, ma solo la minaccia del terrorismo internazionale guidò i membri di tale Organismo all'elaborazione di una Convenzione il 16 Novembre 1937 (la seconda parte della quale fu intitolata "Geneva Convention for the Creation of an ICC"). Tale Corte avrebbe dovuto avere giurisdizione sugli "individuals accused of a violation of the Convention for the Prevention and Repression of Terrorism".
 

Per diverse ragioni storiche, prima fra tutte per la priorità degli Stati di difendersi dalle aggressioni dei regimi nazisti e fascisti, la Corte per il Terrorismo non fu mai istituita e la sua convenzione fu ratificata da un solo stato.




ii) Norimberga e Tokyo
 

Le atrocità della Seconda Guerra Mondiale portarono all'instaurazione di due Tribunali Militari Internazionali, Norimberga e Tokyo, corti militari create dalle Potenze Alleate per perseguire e punire i maggiori criminali di guerra delle Forze dell'Asse (Accordo di Londra dell'8 agosto 1945).
 

Inoltre i quattro grandi - che si apprestavano con le nazioni amiche a mettere sotto processo i criminali di guerra nazisti - si trovarono nell'insolita e privilegiata condizione di poter esercitare efficacemente, in virtù dell'atto di resa incondizionata della Germania, la sovranità sul territorio tedesco. Erano quindi in grado, anche ciascuno separatamente nella propria zona, di compiere ogni atto legittimamente attribuibile al potere sovrano, ivi compresa la legiferazione e l'organizzazione del potere giurisdizionale.
 

In virtù dell'occupazione della Germania la Carta di Londra entrò a far parte del diritto nazionale tedesco, e finì per regolare l'operato del tribunale internazionale incaricato di processare i maggiori criminali.
 

Il tribunale di Tokyo invece, benché effettivamente a composizione internazionale (i pubblici ministeri provenivano da ben undici Stati), fu istituito da una Ordinanza speciale del generale MacArthur del 19 gennaio 1946. Egli promulgò quell'atto in qualità di Comandante Supremo degli Alleati in Oriente e somma autorità della forza militare occupante, che era esclusivamente statunitense. Il documento non fu quindi soggetto a negoziazione.
 

I processi di Norimberga e Tokyo sono stati sottoposti a pesanti critiche. Soprattutto si rimprovera agli alleati di aver istituito procedimenti ad hoc contro i vinti, imponendo la loro "giustizia dei vincitori", in base ad uno strumento che essi stipularono ed eseguirono dopo la conclusione del conflitto.
 

Va detto comunque che, sul piano giuridico, nessuna obiezione poteva essere mossa al vincitore che, in seguito a debellatio, giudicasse i nemici sospettati di crimini di guerra. Il problema era semmai di assicurare che eventuali responsabili di atti altrettanto gravi tra i ranghi alleati ricevessero lo stesso trattamento, il che ovviamente non avvenne.
 

Benché lo svolgimento dei processi rispondesse agli standards di fair trial ancora oggi vigenti, ciò non di meno essi furono istruiti al fine preordinato di giudicare i vinti per le azioni criminali di cui si erano macchiati senza che fosse consentito loro di denunciare atti altrettanto gravi commessi da parte degli Alleati. Ciò avrebbe contribuito quanto meno ad inquadrare l'intero procedimento in un contesto più equo qualora fosse stato possibile dar vita a processi nei confronti dei vincitori in quei casi dove si fosse ravvisata una loro responsabilità per crimini del diritto internazionale. Ogni richiesta in tal senso fu infatti sommariamente respinta.
 

Queste considerazioni pesano ancora nel giudizio di storici e giuristi in merito ai processi di Norimberga e di Tokyo, e, a suo tempo, influirono anche negativamente sulla valutazione storica dei successivi processi svoltisi in Germania.
 






iii) Lo sforzo per l'istituzione di una CPI permanente
 

Dal 1946 in poi, molti sono stati gli sforzi da parte delle Nazioni Unite per la codificazione dei crimini del diritto internazionale e la costituzione di una Corte Penale Internazionale permanente.
 

L'11 dicembre 1946, infatti, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarò che il genocidio, definito come il "diniego del diritto all'esistenza di interi gruppi umani" (ns. traduz.) è un crimine del diritto internazionale. Seguì a ciò la firma di una Convenzione Internazionale, stipulata a Parigi il 9 dicembre 1948 per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio, dove si dettano norme per la repressione di siffatto crimine.
 

Tuttavia, nonostante nel 1949 l'"International Law Commission" (abbr. ILC) iniziò a lavorare sulla formulazione dei principi di Norimberga e su una bozza di "Code of Offences against the Peace and the Security of Mankind" e fu nominato un comitato per codificare i crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità, tale attività non fu portata a termine.
 

L'entusiasmo sollevato nell'immediato dopoguerra da Norimberga e Tokyo in vista della costituzione di una Corte permanente si spense quasi del tutto durante la guerra fredda. Neanche il consenso tra Est e Ovest alla fine degli anni '70 circa la necessità di reprimere l'apartheid, come richiesto dal "Commission on Human Rights Ad Hoc Committee on South Africa", fu sufficiente per l'istituzione di una corte atta a processare gli autori di tale crimine.
 

Solo alla fine della guerra fredda le Nazioni Unite rinnovarono il loro interesse verso una Corte Penale internazionale.
 

Infatti, quando nel 1989 Trinidad-e-Tobago si appellò alle Nazioni Unite affinché si istituisse una Corte Penale Internazionale per processare i trafficanti di droga, l'Assemblea Generale disse all'ILC di concentrare la propria attenzione su tale problema.
 

Nel frattempo, le atrocità dei conflitti nella ex Yugoslavia e in Ruanda, hanno portato il Consiglio di Sicurezza all'istituzione9, sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, di due tribunali penali internazionali ad hoc, rispettivamente nel maggio del 1993, con sede a l'Aia, e nel novembre del 1994, con sede ad Arusha (Tanzania).
 

In seguito a tali sviluppi, la Commissione del diritto internazionale ha elaborato nel 1994 un Progetto di Statuto per una Corte Penale Internazionale.
 

Le immagini delle tragedie nella ex-Yugoslavia, Ruanda e nella Regione dei Grandi Laghi, immagini che hanno fatto comprendere come l'umanità sia talvolta in grado di ripiombare nei momenti più oscuri di un lontano passato, hanno inoltre spinto l'opinione pubblica alla richiesta di una giustizia universale che sia in grado di reprimere prontamente atti di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, da chiunque siano commessi e in ogni momento, auspicando di far valere un giorno in pieno il principio dell'imprescrittibilità della responsabilità penale per chiunque si fosse macchiato di tali orrori.
 

Per questo, a seguito anche dell'impegno delle Organizzazioni Non Governative (Ong), nel 1995 l'Assemblea Generale dell'ONU ha costituito un Comitato per discutere le questioni relative all'istituzione di una Corte Penale Internazionale permanente (Ad Hoc Committee on The Establishment of an International Criminal Court) sulla base del Progetto di Statuto della CPI del 1994. Dopo un anno di lavoro, il Comitato ha chiesto all'Assemblea Generale la costituzione di un Comitato Preparatorio (Preparatory Committee).
 

Tale Comitato ha presentato nel dicembre 1996 un Rapporto all'Assemblea Generale, che ha prorogato il suo mandato al 1997/98, per il tempo considerato necessario alla stesura di un testo da sottoporre al vaglio di una allora auspicata Conferenza Diplomatica.
 

Nel gennaio del 1997, l'Assemblea Generale ha deciso di istituire una conferenza di plenipotenziari da tenersi a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998, allo scopo di adottare una Convenzione per l'istituzione di una Corte Penale Internazionale
 





CONCLUSIONE

 

Dall'analisi appena conclusa si evince quante siano, nello Statuto della CPI, le norme che riguardano i diritti dell'accusato. E' necessario comunque porre in essere delle considerazioni finali.
 

Innanzitutto vi è da dire che tutto lo Statuto, come abbiamo visto, è permeato da disposizioni che tentano, talvolta in modo ottimale, talaltra con alcune lacune che speriamo vengano colmate dal futuro Regolamento di Procedura e di Prova, di assicurare il rispetto degli standards di garanzie internazionalmente riconosciuti.
 

Tali standards non riguardano soltanto l'individuo sottoposto a procedimento penale durante il corso del processo propriamente detto ma anche in quei momenti anteriori al trial (disciplinato, ricordiamolo, nella Part VI dello Statuto), come per esempio qualora la CPI abbia a che fare con un individuo semplicemente sospettato, e posteriori allo stesso come, per esempio, durante le fasi di Appello, di Revisione, e di esecuzione della sentenza1.
 

Ma perché, ci si potrebbe chiedere, focalizzare l'attenzione sulla necessità e sullo studio dei diritti dell'accusato, ed anche del sospettato, nello Statuto della futura Corte Penale Internazionale?
 

Per molti motivi, ma soprattutto per tre in particolare.
 

In primo luogo bisogna dire che il grado di civiltà sociale, oltre che giuridica, di un popolo, è determinato e si misura anche e soprattutto dalle garanzie e dai diritti riconosciuti ed offerti a tutti coloro che sono sottoposti in qualche modo alla loro giurisdizione.
 

In quest'ottica è necessario che la CPI, organo internazionale o, per meglio dire, sovranazionale a base convenzionale, proprio perché sarà chiamata a funzionare - almeno si spera - a livello planetario per reprimere crimini così efferati che scuotono la comunità internazionale nel suo complesso dovunque vengano compiuti, esprima al livello più alto quelle garanzie e quei diritti per l'accusato attualmente riconosciuti, almeno in teoria, nei vari sistemi giuridici nazionali.
 

Ecco che allora viene fuori il secondo motivo che giustifica la scelta dell'analisi dell'oggetto del presente elaborato.
 

Il sistema dei diritti in favore dell'accusato dinanzi alla CPI, qualora effettivamente ed efficacemente operativo, avrà un'indubbia "funzione costruttiva" nello sviluppo della CPI quale organismo funzionante e praticabile.
 

E' logico dedurre, infatti, che maggiori sono le garanzie in favore di coloro che potrebbero essere sottoposti a procedimento e più alto sarà il numero di stati disposti a collaborare con tale organismo, soprattutto se si tiene in considerazione la circostanza che coloro che potrebbero trovarsi dinanzi alla CPI potrebbero aver rivestito importanti incarichi istituzionali all'interno di un paese.
 

Infine, un'importante "funzione pedagogica" potrà essere svolta dal sistema dei diritti e delle garanzie in favore dell'accusato verso quegli Stati che, per incapacità o non volontà, non prevedono analoghi diritti e garanzie nei loro ordinamenti giuridici.
 

Tutto questo ci porta a sperare di aver dato un piccolo contributo a che la futura CPI possa arrivare ad operare e ad operare effettivamente, che non sia, come da molte parti paventato, un gigante senza braccia, che possa realmente, con l'indissolubile ausilio degli stati, essere un mezzo per far gridare alle generazioni future quel "NUNCA MAS" nei confronti di quelle atrocità che il secolo passato ha già dato in eredità alla nostra memoria.
 
 
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I SEGUENTI DOCUMENTI DELLA PREPARATORY COMMISSION FOR THE INTERNATIONAL CRIMINAL COURT (WORKING GROUP ON RULES OF PROCEDURE AND EVIDENCE):



PICNICC/1999/WGRPE/RT.5
(30 Juillet 1999)

PICNICC/1999/WGRPE/RT.6
(5 August 1999)

PICNICC/1999/WGRPE/RT.5/Rev.1/Add.1
(6 August 1999)

PICNICC/1999/WGRPE/RT.5/Rev.1
(11 August 1999)

PICNICC/1999/WGRPE/RT.7
(11 August 1999)

PICNICC/1999/WGRPE/RT.5/Rev.1/Add.2
(12 August 1999)



Si è fatto inoltre riferimento al world wide web per potersi procurare i testi ufficiali dei vari documenti normativi (Statuto definitivo della CPI, ICCPR, ECHR, UDHR, Guidelines, UN Body of Principles, etc.) e per i seguenti altri documenti, decisioni e sentenze:

Colombia: A summary of Amnesty International's concern related to the Colombian Government's implementation of the ICCPR (AI Index: AMR 23/17/97), pp.16-17

Corte Europea dei Diritti Umani , Luedicke Case, Series A, N°29 (1978), para.48

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