[note omesse]
CAPITOLO PRIMO - ANALISI STORICA
1. Periodo Antico
"Le donne e i minori di entrambi i sessi diventino d'immediata proprietà dei vincitori".
Codice di guerra saraceno
Tracciare un'analisi del concetto di violenza sessuale relativa a questo periodo, che si estende fino al basso medioevo, non è compito facile, specialmente se si considera che le "fonti" non sono dotate di natura strettamente giuridica e sono peraltro difficilmente riscontrabili.
Comunque è noto fin dal "ratto delle sabine" che una nozione intuitiva del concetto di stupro era già presente. Livio racconta di come Romolo avesse incaricato i suoi messi, inviati presso i Sabini, ad auspicare nuove alleanze e matrimoni. Racconta anche come i Sabini rifiutarono. Solo a causa di tale rifiuto Romolo decise, in breve, di prendere le prede con la forza (...ad vim res coepit ...). A parte l'inclusione della donna nel genus "res," appare probabile che la delegazione non si sia recata dai Sabini a chiedere unioni coniugali. Per altro, la descrizione dell'operazione "moglie" ricorda chiaramente l'iter di quelle che saranno descritte in seguito in merito alla schiavitù sessuale: le donne Sabine furono rapite (... signoque dato iuventus romana ad rapiendas virgines discurrit.) e poi trasportate nella domus del Romano committente (... domos referebant.).
Risalendo ad un periodo ancor più remoto e scorrendo le pagine dell'Iliade, Omero ci riporta un dialoghetto fra il potente Agamennone e il semidio Achille il cui oggetto verteva principalmente su questioni terrene e nondimeno impellenti: il possesso delle donne catturate durante la guerra di Troia.
Perfino la legge Biblica insegnava ai guerrieri "Il Signore, Iddio tuo, ti darà la città nelle mani e allora metti a fil di spada tutti i maschi; ma le donne, i bambini, il bestiame e tutto ciò che sarà nella città, tutto quanto il suo bottino, portalo via con te e goditi del bottino dei tuoi nemici, che il Signore, Iddio tuo, ti avrà dato" .
Nondimeno durante le Crociate, i cristiani erano ben consapevoli che nessuna scrittura condannava come peccato la violenza sulle donne, evitando, per lo meno fino alla permanenza sul mondo terreno, punizione di sorta .
Tralasciando disquisizioni femministe sulla considerazione della donna, peraltro fuori luogo se si nota il periodo in esame, quello che emerge è senz'altro una connotazione puramente "economica" dell'argomento in esame: le donne erano bottino di guerra.
Più genericamente le donne erano il bene materiale su cui esercitare un diritto di proprietà da parte, ovviamente, visto i tempi, dell'uomo (che fosse il padre, marito o fratello poco importa).
Ciò che risulta evidente, a parte il tentativo di accordo fra Achille e Agamennone, è una situazione generalizzata che inquadra le donne alla pari dei monili o delle bestie da lavoro. E al pari di queste ultime chiunque tentasse di appropriarsene o di entrarne in possesso in varia maniera, provocava un danno al legittimo proprietario, al padrone insomma.
Così, sia in tempo di pace che di guerra, fosse questa fra popolazioni differenti o aventi in comune le stesse origini, il risultato era sempre un "crimine" contro la proprietà .
Il crimine consisteva, infatti, nel sottrarre una donna dai legittimi proprietari e, nel caso di "vergini", lo stupro ne distruggeva irrimediabilmente il valore economico, provocando peraltro l'accantonamento sociale della famiglia di appartenenza. Le figlie violate potevano essere donate ad un convento ed in molti casi erano date in moglie a colui che le aveva violentate.
Qualche autore riporta comunque che singoli e disparati interventi furono attuati da alcuni personaggi particolarmente illuminati che, precorrendo i tempi, sottolineavano come in tempo di guerra fosse necessaria una diversità di trattamento fra combattenti e civili.
Alberico Gentili (1552-1608) narra nel suo De Iure Belli che Scipione si adoperò per difendere la castità delle donne catturate (ancora una volta il profilo economico: si difende il valore di mercato, non la persona); che Totila, capo dei Goti, si preoccupò che nessuna donna fosse violata; Valerio Torquato fu mandato in esilio senza neppure un voto di veto poiché usò violenza nei confronti di una prigioniera.
Ancora, però, il bilancio è in negativo se si considera che questi pochi "eventi" si snodano nell'arco di centinaia d'anni.
Non si deve pensare, però, che une seppur minima attenzione alla sorte dei "civili" in tempo di guerra fosse prerogativa della cultura occidentale.
M.Cherif Bassiouni , brevemente, richiama l'attenzione proprio sul contemporaneo sviluppo di istanze contrarie all'inutile sofferenza inferta a certe categorie di persone in tempo di guerra.
A parte la difficoltà di concepire la sofferenza "utile", è importante notare come l'Autore ponga alla base dell'evoluzione in tal senso proprio la convergenza delle religioni monoteiste: Ebraismo, Cristianesimo e Islam incorporarono le stesse regole da osservare in tempo di guerra che si possono ritrovare presenti in altre culture. I Cinesi, gli Indù, gli Egiziani fino agli Assiro-Babilonesi imponevano il rispetto dei civili. In che termini esattamente non è chiaro, ma l'Autore cita un codice Giapponese - il Codice Bushido- che imponeva il rispetto dell'onore e relativo comportamento da attuare.
Un altro esempio risale al 634 a. C. e riguarda l'Islam.
In prima linea Caliph Abu Bakar imponeva ai suoi soldati, in procinto di invadere la Siria, di " non mutilare e neppure uccidere bambini, vecchi e donne" .
Un cenno a parte meritavano i ministri del culto "avversario", ovviamente maggiormente esposti nelle cosiddette guerre di religione.
Da quello che si può arguire da questi scarni cenni sull'epoca antica, lo sforzo di queste civiltà è rimarchevole. Adoperarsi per non uccidere persone estranee alle ostilità in un'epoca che non conosceva i diritti umani, il valore della persona e la sua dignità come tale è eccezionale, ma resta da immaginare tutta l'ulteriore gamma di insofferenze da poter infliggere che non si riducessero alla morte.
Bassiouni evidenzia come già in questo periodo si possa parlare degli ancestrali prodromi del diritto internazionale umanitario, ma per quanto riguarda la protezione specifica da devolvere alle donne , intendo proprio contro lo stupro, si dovrà aspettare la scoperta dell'America e la sua successiva guerra di secessione .
CONCLUSIONI
Certamente nell'insieme i Tribunali ad hoc hanno contribuito a sensibilizzare la criminalizzazione della violenza sessuale.
Come ho già rilevato, tale crimine sarebbe stato punibile già ai tempi della prima guerra mondiale. La Convenzione dell'Aja del 1907, infatti, già prevedeva quei family honour and rights che avrebbero dovuto tutelare la donna come dea del focolare domestico. Certo riduttivo, ma comunque una minima tutela era raggiungibile.
Durante la seconda guerra mondiale, osservando lo Statuto del Tribunale di Norimberga, la possibilità di perseguire le centinaia di stupri commessi fu più tangibile. Nonostante questo, il PM francese chiese di poter fornire un documento poiché le atrocità commesse, vale a dire gli stupri, erano troppo orrendi.
Una debole luce per le vittime di stupro fu accesa dalla Control Council Law N° 10, che stabiliva le modalità per la persecuzione dei criminali "minori" dell'asse. La legge prevedeva espressamente lo stupro fra l'elenco degli atti inumani commessi contro l'umanità.
Nessuna traccia, però, né storica né giuridica, di una qualsivoglia condanna dello stupro.
La verità è che ci si trovò di fronte ad un caso eccezionale: lo spirito della legge che precede quello dei popoli. Generalmente la legge penale, salvo casi particolari, rispecchia ciò che la società intera ritiene essere un crimine, un comportamento pericoloso per i componenti del nucleo sociale e che per questo deve essere punito. L'autore del male inferto alla società dovrà essere allontanato e possibilmente rieducato, per poi essere reinserito nella società che aveva leso. Tutto questo, con lo stupro, non accade. Il fantomatico legislatore internazionale prevede di punire un dato comportamento. Chi applica la legge non è d'accordo con chi l'ha creata. Meglio, chi applica la legge non sente quel dato comportamento criminalizzato come talmente grave da dover essere realmente punito. Lo stupro come crimine contro l'umanità ha rischiato di essere catalogato come norma in disuso da subito.
L'atteggiamento generalizzato che ha caratterizzato i pubblici ministeri, Giudici e gli studiosi di diritto internazionale è stato quello di considerare la violenza sessuale come un crimine di serie B. Crimine perché, bene o male, c'era il dato testuale della legge, ma di serie B perché mai equiparato alle atroci azioni altrimenti commesse durante una guerra.
Il singolo omicidio viene giustamente punito, il singolo stupro, o più stupri, o più stupri di gruppo, viene accantonato.
Il conflitto in Bosnia ed Herzegovina ha perentoriamente impartito una lezione indelebile: lo stupro è uno strumento di guerra, a volte perfino più efficace dell'uccisione dei soldati avversari. Entrare in un piccolo paese, radunare la gente, scegliere alcune donne e violentarle di fronte a tutti si è dimostrato uno strumento utilissimo per rendere un'area etnicamente omogenea. Ovviamente il fattore determinante è quello culturale: sia i carnefici, che le vittime, erano entrambi sicuri del valore di tale atto. Violare le donne significa, nelle società fortemente patriarcali, disintegrare un'etnia partendo dalle sue fondamenta. Non a caso, dopo tali eventi, il villaggio si spostava, diventando profugo esso stesso. L'area era quindi occupata dall'invasore in tutta tranquillità, senza ulteriore spreco di tempo e denaro.
Gli eventi, forti anche dell'interesse spassionato dei media, hanno sollevato indignazione ovunque.
Gli attivisti per i diritti della donne videro coronati i loro sforzi. Nel 1993 ci fu la Conferenza Mondiale sui Diritti dell'Uomo, nel 1994 la Conferenza Internazionale sui Popoli e lo Sviluppo al Cairo, nel 1995 la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne a Pechino (Beijing). Dagli inizi degli anni novanta si è registrato un incremento vertiginoso del riconoscimento dei diritti delle donne, sia in tempo di pace che in situazioni belliche.
L'O. N. U. ha stabilito un'intera commissione per monitorare le condizioni delle donne nel mondo. I rapporti sulla violenza sessuale nel corso dei conflitti sono tantissimi. Il culmine è stato la nomina per l'ICTY di un consulente legale specializzato in crimini sessuali.
Dallo Statuto dell'ICTY, attraverso lo Statuto dell'ICTR, fino alla Corte Penale Internazionale, lo stupro è sempre lì fra i crimini contro l'umanità. L'unica differenza è che quella norma è ora usata. Non solo. La condanna dello stupro è oramai intesa come espressione di diritto consuetudinario: lo stupro è un crimine di guerra. Il riconoscimento massimo della sua strumentalità alle operazioni belliche è la sua collocazione all'interno del crimine di genocidio.
Non nascondo che una certa correlazione fra la presenza di donne, fra gli uffici del pubblico ministero e fra i Giudici, e la persecuzione di tale crimine è evidente.
Eppure, qualche punto oscuro rimane.
Per quanto riguarda la collocazione normativa dello stupro, negli Statuti dell'ICTR e della Corte Speciale per Sierra Leone, esso è elencato come crimine di guerra. Più specificatamente, lo stupro è crimine di guerra se il conflitto è non internazionale. Sarà anche una deformazione "professionale" della cultura giuridica dei paesi di Civil Law, ma quando la norma è scritta è più difficile sottrarvisi. Rimane, infatti, aperta la voragine per i conflitti internazionali. Nonostante già da tempo alcuni organi internazionali, come la Croce Rossa Internazionale, e studiosi, come il Bassiouni, sostenessero la candidatura dello stupro come grave violazione delle norme e consuetudini di guerra, manca ancora la parolina "stupro" nell'elenco di tali gravi violazioni. Come dire, è sì una violazione, ma non così grave.
Da questo punto di vista, l'ICTY ha contribuito in modo rimarchevole. Ha creato solide basi cui aggrapparsi nel caso fosse posto un dubbio sulla gravità dello stupro. Sta di fatto che perseguire uno stupratore per trattamento disumano mi sembra non più così appropriato. Certo è meglio che niente.
Un altro punto mi sembra nebuloso. A parte il caso Foca, deciso giovedì 22 febbraio 2001, finora le accuse di stupro hanno interessato chi fosse considerato in qualche modo responsabile per le azioni di altri (come superiore gerarchico) o chi fosse presente (in maniera decisiva) mentre altri commettevano violenza. Pochissimi sono i casi in cui si sia perseguito l'attore che materialmente abbia posto in essere la condotta criminosa.
Potrebbe essere dovuto all'impossibilità di dare un nome allo stupratore, anche al fatto che sia latitante e non si riesca a reperire prove sufficienti.
Di fatto, nel caso Tadic, nell'imputazione per persecuzione, emerge con evidenza il caso di uno stupro contro la Testimone che, nel raccontare la vicenda, chiamava per nome e cognome il suo stupratore. Ma non ci sono notizie specifiche su indagini investigative in proposito.
Dove sono finiti gli autori delle migliaia di stupri commessi sia in Bosnia che in Rwanda?
Saranno mai perseguiti anche gli stupri commessi in Kosovo più recentemente?
Certo il pubblico ministero deve indagare su altrettante migliaia di omicidi e altri crimini, ma preoccupa dover pensare che la violenza sessuale sia ancora relegata in posizioni inique rispetto ad altri crimini di guerra.
Il caso Foca, comunque, dà speranza. La definizione del crimine di stupro ha raggiunto un tale livello da porsi perfino a modello per le giurisdizioni nazionali, compresa quella italiana. La Corte ha raggiunto la conclusione che per integrare la componente violenta dell'atto sessuale, la coercizione debba scontrarsi con la volontà della vittima. Questo spazza via radicalmente le considerazioni sul grado di forza da esercitare per essere accusati di stupro. Il consenso della vittima, e la tutela della sua libertà, anche nella sua dimensione sessuale, costituisce il nuovo baricentro della definizione di stupro.
Altro spunto riguarda la protezione delle vittime, in particolar modo di stupro.
C'è un'apposita sezione che le protegge durante le fasi del processo. Ma cosa accade dopo?
Se si pensa che la popolazione del Rwanda è composta per il 70% da donne, molte delle quali hanno subito, oltre alla violenza, la perdita dei figli, marito e qualsiasi bene materiale, come faranno a sopravvivere?
Ovvio che i Tribunali non sono associazioni umanitarie, ma invito a riflettere sul fatto che, almeno nel nostro sistema penale, l'azione civile per il risarcimento del danno da reato è esperibile.
Non si deve neppure pensare che questo porterebbe al collasso del sistema giudiziario delle corti internazionali per l'enorme numero di domande in tale senso. Ciò porterebbe all'accantonamento della questione.
Lo Statuto della Corte Penale Internazionale prevede coraggiosamente il principio della restituzione alle vittime. L'Articolo 75 lo sancisce, enumerando le possibilità di questa restituzione: si va dalla restituzione concreta di beni materiali, al risarcimento del danno, alla riabilitazione.
Peccato che tale previsione, pur inclusa negli statuti delle Corti ad hoc, sia ancora lontana dall'essere applicata.
Eppure, l'unica soluzione possibile per risollevare le sorti delle vittime dei conflitti di guerra, sembra debba essere rimessa al diritto internazionale. Giammai si potrebbe concepire un'azione civile per chiedere allo Stato Nazionale la riparazione dei danni. In primo luogo perché al termine di un conflitto le risorse economiche sono distrutte, quelle monetarie inesistenti. In secondo luogo poiché, nel caso si fosse risolta solo la componente bellica ma non quella umana del conflitto, le vittime vedrebbero frustrate definitivamente le loro aspettative di giustizia.
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DOTTRINA.
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THE IMPLEMENTATION OF THE HUMAN RIGHTS OF WOMEN, TRADITIONAL PRACTICES AFFECTING THE HEALTH OF WOMEN AND THE GIRL CHILD, Third Report on the situation regarding the elimination of traditional practices affecting the health of women and the girls child, produced by Mrs. Halima Embarek Warzazi pursuant to Sub Commission resolution 1998/16.
E/CN.4/Sub. 2/2000/17
THE IMPLEMENTATION OF THE HUMAN RIGHTS OF WOMEN, TRADITIONAL PRACTICES AFFECTING THE HEALTH OF WOMEN AND GIRL CHILD, Fourth Report on the situation regarding the elimination of traditional practices affecting the health of women and the girl child, produced by Mrs. Halima Embarek Warzazi pursuant to Sub Commission resolution 1999/13.
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SENTENZE, ATTI D'ACCUSA E DECISIONI DELL'ICTY.
Tadic, case N° IT-94-1-T
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-Indictment Amended: Tadic & Borovnica "Prijedor" IT-94-1
Filed by the Prosecutor: 14/12/95
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-Prosecutor v. Dusko Tadic, Judgement in the Appeals Chamber, 15 July 1999, case n° IT-94-1-A.
-Prosecutor v. Dusko Tadic, Sentencing Judgement in the Trial Chamber, 11 November 1999, case n° IT-94-1-T bis-R117.
-Prosecutor v. Dusko Tadic, Judgment in Sentencing Appeals in the Appeals Chamber, 26 January 2000, case n° IT-94-1-A and IT-94-1-A bis.
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Celebici case n° IT-96-21-T
-Indictment amended: Delalic, Mucic, Delic & Landzo "Celebici camp", IT-96-21.
Filed by the Prosecutor: 19/3/96.
-Prosecutor v. Zejnil Delalic, Zdravko Mucic also known as "Pavo", Hazim Delic, Esad Landzo also known as "Zenga", Judgement in the Trial Chamber, 16 Novemebr 1998.
-Prosecutor v. Zejnil delalic, Zdravko Mucic also known as "Pavo", Hazim Delic, Esad Landzo also known as "Zenga", Judgement in the Appeals Chamber, 20 February 2001.
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Furundzija, case n° IT-95-17/1-T
-Indictment Amended: Furundzija "Lasva Valley".
Filed by the Prosecutor: 2/6/98.
-Prosecutor v. Anto Furundzija, Judgement in the Trial Chamber, 10 December 1998.
-Prosecutor v. Anto Furundzija, Judgement in the Appeals Chamber, 21 July 2000, case n° IT-95-17/1-A.
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-"Foca"
-Indictment Amended: Prosecutor v. Jankovic, Janjic, Vukovic, Zelenovic & Stankovic, IT-96-23.
Filed by the Prosecutor: 5/10/99.
-Indictment: the Prosecutor v. Dragoljub Kunarac and Radomir Kovac, IT-96-23-PT.
-Indictment: The Prosecutor v. Zoran Vukovic, IT-96-23/1-PT.
-The Prosecutor v. Dragoljub Kunarac, Radomir Kovac and Zoran Vukovic, Judgement in the Trial Chamber, 22 February 2001.
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-The Prosecutor against Biljana Plavsic, case n° IT-OO-40-T.
Filed by the Prosecutor: 7 April 2000.
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SENTENZE DELL'ICTR.
-Akayesu
The Prosecutor versus Jean-Paul Akayesu, Case N° ICTR -96-4-T, Judgement in the Trial Chamber I, 2 September 1998.
Atto d'accusa incluso nella sentenza.
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-Indictment: The Prosecutor v. Pauline Nyiramasuhuko and Arsene Shalom Ntahobali, case n° ICTR- 97-21-T.
Si attende la revisione dell'atto d'accusa.
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-Prosecutor v. Alfred Musema, case N° ICTR-96-13.
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EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS:
-Case Aydin v. Turkey (57/1996/676/866)
Judgment in Strasbourg 25 September 1997.
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