Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Operazioni delle NU per il mantenimento della pace ed obblighi di diritto internazionale umanitario :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Versione integrale
Operazioni delle NU per il mantenimento della pace ed obblighi di diritto internazionale umanitario
Tesi di laurea

Università degli Studi di Torino
Facoltà di Scienze politiche


Relatori: Prof. Michele Vellano e Prof.ssa Laura Pineschi
Anno Accademico 2000/2001
Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2001

 
Sommario

La questione dell'applicabilità del diritto internazionale umanitario alle forze delle Nazioni Unite, in particolare alle forze impegnate in operazioni di mantenimento della pace, rimane uno dei punti più controversi, e per questo ampiamente dibattuti, nell'ambito del diritto internazionale.

 
Indice dei contenuti
 
INTRODUZIONE

1. INQUADRAMENTO GIURIDICO DELLE FORZE IMPEGNATE NELLE OPERAZIONI DI PEACE-KEEPING

1.1. Premessa
1.2. Le forze di peace-keeping e i loro membri: "organi sussidiari" e "agenti" delle Nazioni Unite
1.3. Il doppio status giuridico delle forze operanti nell'ambito del "peace-keeping"
1.4. Segue: il doppio vincolo giuridico dei membri di una forza di mantenimento della pace e l'imputazione della responsabilità internazionale in caso di violazione di obblighi di diritto internazionale

2. IL FONDAMENTO DELL'OBBLIGO GIURIDICO CHE IMPONE ALLE FORZE DI MANTENIMENTO DELLA PACE DELLE NAZIONI UNITE DI RISPETTARE IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

2.1. Premessa
2.2. Incertezze relative all'applicabilità del diritto internazionale umanitario ai membri delle forze impegnate in operazioni di peace-keeping
2.3. Segue: gli argomenti della dottrina
2.4. Il Bollettino del Segretario Generale del 6 agosto 1999
2.4.1. Natura giuridica
2.4.2. Contenuto
2.5. Gli "status of forces agreements"
2.6. Il mandato
2.7. Le leggi nazionali

3. IL CONTROLLO SUL RISPETTO DELLE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

3.1. La competenza dello Stato di invio
3.1.1. La prassi: il caso del contingente italiano in Somalia
3.2. La competenza dei tribunali penali internazionali
3.2.1. Il Tribunale per i crimini commessi nell'ex-Jugoslavia
3.2.2. Il Tribunale per i crimini commessi in Ruanda
3.2.3. La Corte Speciale per la Sierra Leone
3.2.4. La Corte Penale Internazionale

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

 
Abstract
 

INTRODUZIONE
[note omesse]


Lo scopo fondamentale delle Nazioni Unite, così com'è enunciato nel primo paragrafo dell'art. 1 della Carta di San Francisco, consiste nel mantenere la pace e la sicurezza internazionale e, a questo scopo: "to take effective collective measures for the prevention and removal of threats to the peace, and for the suppression of acts of aggression or other breaches of the peace...". Lo scopo per cui le Nazioni Unite sono state istituite è pertanto di impedire il generarsi di nuovi potenziali conflitti e, allo stesso tempo, di agire affinché altri conflitti già in corso giungano ad una soluzione, per quanto possibile, pacifica. In altre parole, l'Organizzazione è stata costituita per dare concreta attuazione allo jus contra bellum.

I fatti hanno però dimostrato che le Nazioni Unite si sono da sempre impegnate a favorire lo sviluppo del diritto internazionale umanitario, vale a dire la parte preponderante del diritto bellico (jus in bello) che ha uno scopo principale: limitare l'impiego della forza nei conflitti armati e la protezione dei non combattenti e dei civili.

Potrebbe apparire come una contraddizione il fatto che un'organizzazione internazionale, costituita allo scopo di bandire dalle relazioni internazionali la guerra, si sia impegnata anche sul fronte del diritto internazionale umanitario e abbia quindi operato al fine di rendere le guerre stesse meno crudeli e sanguinose. Questa contraddizione è stata forse più evidente durante i primi anni di vita delle Nazioni Unite e al riguardo appare emblematico l'atteggiamento della Commissione del diritto internazionale che, appena creata dall'Assemblea Generale, decise di non inserire nella sua agenda di lavoro la codificazione del diritto bellico.

Con l'inizio della guerra fredda e l'opposizione tra i due blocchi, è cominciato un periodo in cui le Nazioni Unite non sono più riuscite a svolgere un ruolo determinante nel mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali. Il Consiglio di Sicurezza non ha potuto realmente dare attuazione al sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta a causa delle profonde divergenze politiche che si manifestavano al suo interno. Ecco pertanto che, per far fronte alle esigenze di sicurezza, sono Stati posti in essere dei "meccanismi operativi ibridi" , il cui scopo principale sarebbe costituito nel "congelare la situazione conflittuale e favorire il regolamento concordato tra i belligeranti" : le c.d. operazioni per il mantenimento della pace (peace-keeping operations).

Con l'evolversi di questo fenomeno, e con l'impossibilità di rendere realmente efficaci le misure collettive in caso di conflitto, si è manifestata la tendenza delle Nazioni Unite ad interessarsi in misura sempre maggiore al diritto internazionale umanitario. In particolare, in seguito all'adozione dei due Protocolli delle Convenzioni di Ginevra del 1977, è emersa la tendenza a incoraggiare, stimolare e indirizzare il dibattito su una serie di questioni importanti che, fino a quel momento, non erano state fatte oggetto di particolare attenzione. Ma soprattutto, già a partire dalla fine degli anni sessanta, le norme di diritto internazionale umanitario, il richiamo al loro rispetto e alla loro effettiva applicazione si avviano a divenire degli importanti argomenti che gli organi delle Nazioni Unite non esitano a proporre per favorire il raggiungimento di una soluzione delle crisi internazionali. In un gran numero di risoluzioni viene pertanto espresso chiaramente l'impegno a far rispettare lo jus in bello e non solamente lo jus contra bellum, tanto più che quest'ultimo si è rivelato sempre più difficile da garantire. In effetti viene sempre più di frequente richiesto ai belligeranti non solo di cessare le ostilità, ma anche di rispettare il diritto della guerra e di limitare le sofferenze generate dal conflitto, soprattutto per quanto riguarda le parti civili coinvolte.

Da queste manifestazioni della prassi si evince chiaramente l'impegno delle Nazioni Unite (che rimarrebbe tuttavia, secondo alcuni autori, meramente "verbale") a far rispettare il diritto bellico. E' intuibile però come tale impegno rappresenti, per certi versi, un interessante processo, anche se in via di formazione, in grado di consentire il raggiungimento di soluzioni pacifiche che ristabiliscano la pace e la sicurezza internazionali, tenendo debitamente in considerazione gli aspetti umanitari del conflitto.

Il fatto che gli organi delle Nazioni Unite abbiano cominciato a preoccuparsi sempre più del rispetto del diritto internazionale umanitario, significa, principalmente, che questi hanno deciso di prendere seriamente in considerazione l'obbligo previsto dall'art.1 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e l'art.1 par.1, del Primo Protocollo del 1977 , in base al quale tutti devono rispettare il diritto internazionale umanitario, e soprattutto, provvedere a "farlo rispettare". Proprio questo interessante punto assume un significato la cui portata si estende via, via a tutti i soggetti che compongono la comunità internazionale, ed esprime efficacemente l'idea che il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di ogni Stato corrisponde all'interesse, non solo politico e morale, ma anche giuridico di tutti gli Stati. Le Nazioni Unite, così come i singoli Stati, hanno il diritto-dovere di esigerlo. Con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, inizia un periodo in cui il Consiglio di Sicurezza può finalmente operare con maggiore autonomia e, sotto l'egida di una sola grande potenza, autorizza sempre più frequentemente delle azioni militari contro gli Stati che mettono a repentaglio la pace e la sicurezza internazionali.

Qual è in questo contesto il ruolo assunto dal diritto internazionale umanitario? Fin dalla costituzione della prima operazione di peace-keeping venne avanzata la richiesta, sostenuta anche da organizzazioni non governative, e in particolare dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, di prendere in considerazione e di applicare le disposizioni contenute nelle Convezioni di Ginevra, ma tale richiesta rimase per diverso tempo solo un proposito iscritto nell'agenda internazionale . Oggi l'applicabilità del diritto internazionale umanitario alle operazioni delle Nazioni Unite è pienamente riconosciuto. Resta ancora controverso il dibattito sullo scopo dell'applicazione e del rispetto di tale diritto sul piano concreto .

Le operazioni istituite dagli organi delle Nazioni Unite rappresentano, in particolare a partire dai primi anni novanta, il principale strumento con il quale vengono affrontate, in maniera concreta, le situazioni di crisi in grado di minacciare la pace e la sicurezza internazionale. Il rapporto che si instaura tra il diritto internazionale umanitario e tali operazioni assume pertanto una nuova configurazione: se in origine regnava sulla questione una malcelata diffidenza, ora gli stessi dispositivi messi in atto dagli organi delle Nazioni Unite per far fronte alle situazioni di crisi mirano espressamente a garantire il rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario.

Sicuramente questo è un passo in avanti di grande interesse, tale da dimostrare che la missione principale delle Nazioni Unite non è esclusivamente quella di garantire il rispetto dello jus contra bellum, ma oramai anche dello jus in bello.

E' di rilevante interesse, quindi, verificare fino a che punto le norme di diritto internazionale umanitario siano effettivamente rispettate nell'ambito delle operazioni per il mantenimento della pace condotte sotto l'autorità ed il controllo delle Nazioni Unite e, in particolare, sia nell'ambito delle Nazioni Unite, sia nell'ambito della sovranità nazionale.

Proprio quest'ultimo problema è stato oggetto di ampi dibattiti dottrinali che hanno contribuito a dare un inquadramento generale del fenomeno. Da un lato vi è stato l'ampliamento del difficile e controverso ambito di controllo del rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario, che ha incoraggiato la creazione di istituzioni quali i tribunali penali internazionali ad hoc e la Corte Penale Internazionale; dall'altro non è stato possibile individuare un fondamento giuridico certo sul quale basare il rispetto delle norme in questione nei casi che non rientrano nell'ambito di competenza dei due tribunali ad hoc o che non possono essere sottoposti alla Corte Penale Internazionale.

Questo lavoro si propone come obiettivo il compito di accertare, alla luce della prassi delle Nazioni Unite, se le forze dell'organizzazione impiegate in operazioni per il mantenimento della pace siano tenute e, entro quali limiti, a rispettare le norme di diritto internazionale umanitario. E' noto infatti che le Nazioni Unite hanno ampiamente contribuito a favorire lo sviluppo di tali norme, ma non sono esse stesse parte contraente dei principali accordi in materia. Per realizzare questo scopo sarà inoltre necessario verificare quali siano e quale efficacia abbiano gli strumenti a disposizione delle Nazioni Unite per controllare l'effettivo rispetto di tali norme.

...

2.4 Il Bollettino del Segretario Generale del 6 agosto del 1999


Come più volte sostenuto, tradizionalmente le forze impegnate in operazioni di peace-keeping esercitavano la loro funzione attraverso l'interposizione di contingenti militari (forniti volontariamente e temporaneamente dagli Stati membri alle Nazioni Unite per il tempo necessario a svolgere la missione), tra le diverse parti in conflitto, oppure attraverso l'osservazione di un "cessate il fuoco" o di un armistizio concluso tra i belligeranti.

A partire dagli anni '90, in seguito ai mutamenti indotti dalla fine della guerra fredda, che hanno inciso profondamente nell'evoluzione delle operazioni delle Nazioni Unite come strumenti di risoluzione delle crisi internazionali , le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite si evolvono a tal punto che i mandati previsti per le singole operazioni racchiudono una serie di differenti funzioni inerenti la stessa operazione. Si parla infatti di operazioni di peace-keeping "multifunzionali".

In particolare i cambiamenti di maggiore interesse risiedono nell'evoluzione del mandato (lo strumento che di fatto conferisce alla forza i poteri necessari per portare a termine la missione), che diviene anch'esso "multifunzionale" e nel ricorso, sempre più frequente all'uso della forza.

Orbene, le forze di mantenimento della pace non intervengono più unicamente tra due Stati che partecipano ad un conflitto e che consentono l'intervento della forza delle Nazioni Unite sul proprio territorio, ma agiscono soprattutto nell'ambito di conflitti interni, in contesti in cui le istituzioni governative non hanno alcun potere, e sovente senza avere il consenso preventivo dei belligeranti. A causa della complessa situazione in cui si trovano ad operare le forze di peace-keeping, la questione del rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario diviene sempre più urgente. E' bene ricordare, ancora una volta, che le Nazioni unite non possono essere parte contraente degli strumenti convenzionali di diritto umanitario. Questi, infatti, presuppongono, per il loro utilizzo, la struttura e l'organizzazione di uno Stato. Questo non esclude, in ogni caso, che le Nazioni Unite siano soggette, come rilevato anche da autorevole dottrina, al rispetto dei "principi" e dello"spirito" del diritto internazionale umanitario.

Si tratta di un'affermazione piuttosto vaga e che crea non poca incertezza per ciò che riguarda l'insieme delle regole a cui dovrebbero essere sottoposti gli interventi delle Nazioni Unite. Proprio a causa di tale incertezza, il Comitato Internazionale della Croce Rossa, fin dalla creazione della prima operazione, ha attirato l'attenzione della comunità internazionale sul fatto che è necessario assicurare l'applicazione del diritto internazionale umanitario anche a tali operazioni.

Ma è solo verso la metà degli anni '90 che il Comitato Internazionale dalla Croce Rossa ha pensato di dare vita ad un progetto in cui una "commissione" tecnico-diplomatica (composta da esperti indipendenti e da componenti del dipartimento giuridico delle Nazioni Unite) avrebbe avuto il compito di enucleare dai principi e dallo "spirito" del diritto internazionale umanitario delle regole di condotta il più possibile precise. Il risultato del lavoro svolto dalla commissione è terminato con la formulazione di un importante documento, rimesso immediatamente all'attenzione dell'allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Ghali, affinché venisse analizzato e approfondito.

A questa interessante iniziativa da parte del Comitato, sono seguiti diversi anni di silenzio, in cui sembrò che lo sforzo intrapreso non potesse (e in una certa misura non dovesse), avere un seguito, probabilmente a causa delle perplessità manifestate da alcuni membri delle Nazioni Unite.

Inaspettatamente il 6 agosto 1999, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, rispolvera il documento, che nel frattempo era stato arricchito e notevolmente modificato e redige una sua circolare intitolata: "Observance by United Nations of International humanitarian law" . La circolare contiene una serie di disposizioni al fine di evidenziare in modo chiaro e, per quanto possibile, preciso i principi fondamentali e le norme di diritto internazionale umanitario applicabili alle forze delle Nazioni Unite impegnate in operazioni sottoposte al comando e controllo delle Nazioni Unite.

Questo documento merita un'attenzione particolare poiché tenta di risolvere, anche se in via generale, la controversa questione del rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario da parte delle forze che agiscono sotto il comando ed il controllo delle Nazioni Unite.

...

2.4.1. Natura giuridica


Il Bollettino del Segretario Generale del 6 agosto 1999, ponendosi a metà tra un codice di condotta militare ed un atto unilaterale dell'organizzazione , contiene una serie di regole volte a regolamentare la problematica relativa all'applicazione del diritto internazionale umanitario alle forze delle Nazioni Unite, in particolare alle forze impegnate in operazioni di peace-keeping. Al fine di comprendere la natura giuridica del documento in oggetto è opportuno verificare, innanzitutto, se il documento in questione abbia efficacia vincolante nei confronti dei soggetti ai quali si rivolge, e cioè nei confronti dei membri delle forze delle Nazioni Unite. In altre parole, è possibile considerare il Bollettino un atto di normazione a tutti gli effetti? Ed inoltre, dispone il Segretario Generale di un potere "legislativo" che gli consenta di porre in essere atti giuridici aventi efficacia vincolante?

Come è noto non rientra nelle prerogative del Segretario Generale l'emanazione di atti aventi tale efficacia, né può ritenersi, d'altra parte, che sia in via di formazione una prassi consuetudinaria tendente a modificare la carta delle Nazioni Unite in tale direzione. Al contrario la prassi dimostra come gli Stati membri manifestino costantemente la ferma intenzione nel mantenere la propria autonomia e di acconsentire solamente a circoscritte limitazioni della propria sovranità. Tali limitazioni, nel caso delle Nazioni Unite, possono derivare solo da apposite decisioni prese dal Consiglio di Sicurezza, in base alle norme previste dalla Carta.

Come è sostenuto da gran parte della dottrina , il Segretario Generale, nel redigere il documento in oggetto si sarebbe mantenuto nei limiti della "lex lata", per cui non ha preteso né di inventare obblighi nuovi per l'Organizzazione, né di assolverla da obblighi che il diritto internazionale esistente già stabiliva per essa.

Il Segretario Generale si esprime, infatti, indicando l'intenzione di definire ("set out") i principi fondamentali e le regole riguardanti l'osservanza del diritto internazionale umanitario da parte delle forze delle Nazioni Unite, e cioè di formularle, esporle, spiegarle, precisarle, ma in ogni caso non crearle ex novo. Il termine utilizzato nel preambolo esprime chiaramente l'intento di esporre delle regole di condotta applicabili alle forze delle Nazioni Unite; pertanto non può rinvenirsi alcuna velleità legislativa da parte del Segretario Generale nel redigere il documento in questione.

Il fatto che la circolare in oggetto si collochi nella prospettiva di una migliore e più completa messa in atto delle norme di diritto internazionale umanitario nei confronti delle forze delle Nazioni Unite si evince chiaramente anche dalla disposizione formulata nella Sezione 2, riguardante l'applicazione delle norme in questione.

Non è possibile dubitare, tuttavia, che un simile compito non rientri nelle prerogative del Segretario Generale, e questo, sostanzialmente, per due motivi principali. In primo luogo egli è posto al vertice della catena di comando delle forze impiegate nelle operazioni per ciò che concerne gli aspetti strategico-operativi. In secondo luogo egli ha il compito non solo di provvedere a negoziare gli accordi con gli Stati che forniscono i contingenti, ma anche gli Status of Forces agreements (S.O.F.A.), vale a dire gli accordi con lo Stato sul cui territorio verranno dispiegate le forze.

Per le ragioni appena esposte è chiaro, quindi, che il Segretario Generale dispone della facoltà di redigere un documento in cui siano precisate le regole di diritto internazionale umanitario a cui le forze delle Nazioni Unite saranno assoggettate, beninteso, nel caso in cui vi sia il ricorso all'uso della forza. Anzi, potrebbe addirittura osservarsi che si tratti di un dovere ; il Segretario Generale, in quanto comandante supremo delle forze impiegate nell'operazione e poste sotto il suo comando, deve assicurarsi che i membri componenti la forza siano a conoscenza degli obblighi imposti loro dalle convenzioni di Ginevra del '49 e dei Protocolli del '77. Appare evidente, dunque, che il Segretario Generale ha voluto prendere le distanze da chi, continuando a sostenere una tesi apparentemente ormai superata, pensa che le Nazioni Unite non abbiano i mezzi necessari per assumere concretamente l'impegno di rispettare obblighi in settori importanti del diritto internazionale umanitario. Questo argomento è, ancora oggi, oggetto di ampi dibattiti; tuttavia è stato sempre sostenuto, come già più volte accennato, che l'Organizzazione non può non tenere conto delle considerazioni di natura politica degli Stati membri di cui è, d'altronde, diretta espressione, per poter far fronte agli impegni assunti, in particolare nel particolare e delicato ambito del settore del diritto internazionale umanitario. Come si è già accennato nel corso dei precedenti paragrafi, le forze delle Nazioni Unite sono obbligate a rispettare (e allo stesso tempo sono protette da) le disposizioni delle Convenzioni "adottate a livello universale" (vale a dire le Convenzioni di Ginevra del '49 e i relativi Protocolli del '77) per cui anche per questo motivo è da ritenere plausibile l'intervento del Segretario Generale, al fine di definire in modo più preciso le norme che devono e possono essere applicate nei confronti dei membri delle forze delle Nazioni Unite impiegati in operazioni di peace-keeping.

Parte della dottrina è tuttavia concorde nel ritenere che il Bollettino presenti anche delle interessanti novità, e questo non significa accusare il Segretario Generale di avere agito ultra vires. Si vuole sostenere, invero, che, indipendentemente dall'analisi delle sezioni più importanti (dalla quinta alla nona), la circolare è inquadrabile in un particolare contesto evolutivo della prassi, la quale alimenta un incessante, rapido ed eccezionale sviluppo di norme consuetudinarie in materia di diritto internazionale umanitario .

Dopo queste prime considerazioni, è possibile constatare che il Bollettino del Segretario Generale è la sintesi di una serie di regole di condotta a cui le forze delle Nazioni Unite devono attenersi nel caso in cui ricorrano all'uso della forza. Le regole in oggetto concernono dei settori fondamentali dello jus in bello: la protezione della popolazione civile (sezione 5), i mezzi e i metodi di combattimento (sezione 6), il trattamento dei civili e delle persone non combattenti (sezione 7), il trattamento dei prigionieri di guerra (sezione 8) e, infine, la protezione dei feriti, invalidi del personale medico e di soccorso (sezione 9).

...


2.4.2. Contenuto


L'aspetto più interessante che emerge dall'analisi del Bollettino del 6 agosto del 1999 è senza dubbio quello concernente il suo contenuto. Non tanto per la portata giuridica delle singole disposizioni enunciate nel documento, quanto per il fatto che solamente da un approfondito esame della Circolare è possibile comprendere a fondo la sua effettiva natura giuridica, nonché le implicazioni derivanti dalla sua applicazione.

Come si è argomentato precedentemente , parte della dottrina ritiene che il Bollettino metta in luce importanti novità. Anzitutto, non sono più soltanto i principi e lo "spirito" del diritto internazionale umanitario a dover impegnare le forze delle Nazioni Unite, bensì i suoi principi fondamentali e le sue "regole".

Sarebbe tuttavia fuorviante credere che tali principi e regole siano i soli effettivamente applicabili ai membri delle forze delle Nazioni Unite. Nella sezione successiva, concernente l'applicazione delle leggi nazionali, si sottolinea, infatti, che non si è affatto in presenza di una lista esaustiva contenente principi e regole di diritto internazionale umanitario vincolanti il personale militare impegnato in operazioni delle Nazioni Unite.

Si tratta di un passo in avanti, volto a consolidare l'impegno profuso dalle Nazioni Unite nel confermare l'obbligatorietà del diritto internazionale umanitario. E' importante ricordare, a conferma di quanto appena affermato, come sia possibile rinvenire, oramai, una pressoché integrale corrispondenza tra il diritto umanitario convenzionale (in particolare le quattro Convenzioni di Ginevra ed i relativi Protocolli) e il diritto umanitario di natura consuetudinaria e come quest'ultimo sia soggetto a degli sviluppi ben più interessanti.

Un secondo punto che merita di essere preso in considerazione è che i principi e norme di diritto internazionale umanitario applicabili alle forze di peace-keeping ed a cui si riferisce il Bollettino, risultano essere quelli relativi ai conflitti armati internazionali. Ora, il Bollettino ne sancisce la piena applicabilità in tutte le operazioni di peace-keeping e peace-enforcement in cui vi sia il ricorso alla forza, senza verificare la precisa qualificazione giuridica del conflitto. E' significativo, ad esempio, ciò che si ricava dall'esame della Sezione 8, in cui è previsto che i membri delle forze armate che non possono più prendere parte al conflitto (hors de combat) per ragioni di detenzione devono essere trattati in conformità alle disposizioni previste dalla III Convenzione di Ginevra del 1949, per quanto loro applicabili, mutatis mutandis, e prescindendo dal loro status giuridico.

Con tale affermazione sembra volersi contraddire quanto precedentemente argomentato, circa il fatto che il Bollettino si limiti a ribadire le già vigenti norme di diritto internazionale umanitario. In realtà il documento in oggetto si colloca nel quadro di quel processo evolutivo in corso che vede il diritto internazionale umanitario evolversi rapidamente, ma per vie diverse da quelle pattizie. Un ultimo profilo di grande interesse è quello relativo alla repressione delle infrazioni. La Sezione 4 stabilisce che, in caso di violazioni del diritto internazionale umanitario, i membri del personale militare delle forze delle Nazioni Unite sono giudicati dai loro tribunali nazionali . L'interpretazione di questa disposizione non deve essere unicamente intesa nel senso che spetta agli Stati nazionali il diritto-dovere di reprimere le violazioni commesse dai loro militari; il suo vero significato, come affermato da autorevole dottrina , è di sottolineare l'obbligo degli Stati di reprimere le violazioni in parola anche "in vece e per conto dell'Organizzazione", permettendo a quest'ultima, seppur in via indiretta, di adempiere all'obbligo di rispettare i principi e le regole di diritto umanitario. Si rende necessario, ora, passare a considerare più da vicino le disposizioni "sostanziali" contenute nel Bollettino. La Sezione 5 ribadisce un principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, cioè l'obbligo di distinguere sempre fra civili e combattenti, fra obiettivi civili e obiettivi militari. Pertanto le operazioni dovranno essere rivolte contro i combattenti e gli obiettivi militari, mentre gli attacchi ai civili (non nel caso in cui prendano direttamente parte al conflitto) e agli obiettivi civili sono proibiti. Le forze delle Nazioni Unite devono adottare tutte le precauzioni possibili per evitare, o ridurre al minimo, le perdite umane o i danni arrecati ai beni civili che potrebbero essere causati accidentalmente.

E' stabilito, inoltre, che nella sua area operativa, per cautelarsi contro gli effetti degli attacchi, la forza eviterà di collocare obiettivi militari prossimi ad aree densamente popolate e farà in modo che la popolazione civile, la persone civili e gli obiettivi civili siano protetti dai pericoli risultanti dalle operazioni militari. Si precisa peraltro che le installazioni e il materiale militare delle operazioni di mantenimento della pace (e non già quello delle operazioni di enforcement) in quanto tali, non verranno considerati obiettivi militari. Questa disposizione, che può dare adito a qualche interrogativo , ha la sua ratio nel fatto che le forze di mantenimento della pace sono create per una missione di pace e non per prendere parte al conflitto e combattere contro un nemico. Ne discende che, in una logica di jus contra bellum, esse ed il loro equipaggiamento, anche se di evidente carattere militare, non possono essere considerate obiettivi militari. Vi è, infine, l'obbligo per le forze delle Nazioni Unite di non lanciare operazioni particolari, la cui natura porterebbe a colpire indiscriminatamente obiettivi militari e civili, nonché operazioni potenzialmente in grado di provocare perdite accidentali eccessive fra i civili e danni ai beni civili, rispetto al vantaggio militare concreto, diretto e previsto. La Sezione 6 del Bollettino è intitolata ai mezzi e ai metodi di combattimento. L'apertura della disposizione è dedicata ad un principio-chiave del diritto umanitario, secondo il quale il diritto delle forze delle Nazioni Unite di scegliere i mezzi ed i metodi di combattimento non è illimitato. In altre parole, viene specificato il più generale principio di proporzionalità.

Viene altresì elencata una serie di armi convenzionali e strumenti di combattimento proibiti dalle norme umanitarie , così come sono ritenuti proibiti l'uso di armi o strumenti di combattimento che per loro natura sono in grado di causare sofferenze non necessarie. Per di più è proibito ordinare che non vi siano superstiti.

La disposizione in esame si preoccupa, andando al di là del circoscritto ambito a cui si riferisce il titolo, di proibire l'attacco ai beni culturali e inoltre di vietare alle forze delle Nazioni Unite di attaccare, distruggere, o rimuovere i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile. Di seguito viene confermato l'obbligo di non effettuare operazioni militari contro obiettivi in cui si trovino delle forze pericolose, capaci di causare serie perdite fra la popolazione civile. Infine viene richiamato il divieto delle forze delle Nazioni Unite di reagire in rappresaglia contro i beni e le installazioni protette. Ad una prima lettura sembrerebbe non ravvisarsi particolari elementi di novità nella regola in parola.

Si tratta, infatti, di precetti già codificati dalle numerose convenzioni di diritto internazionale umanitario e corrispondenti in gran parte al diritto consuetudinario.

L'attenzione, tuttavia, può e deve essere posta, in modo specifico, sulla proibizione dell'uso di particolari armi e strumenti di combattimento. Al riguardo possono farsi due considerazioni. In primo luogo il testo della Sezione 6 riflette e asseconda la recente evoluzione del diritto umanitario riguardo la questione della legittimità di certe armi e del loro uso. In secondo luogo è bene considerare la ristrettezza dei termini di condotta formulati dal Segretario generale, rispetto a quelli risultanti a carico degli Stati fornitori dei contingenti. Questo vuol significare che il Bollettino finisce per limitare, per quanto riguarda l'uso delle armi e gli strumenti di combattimento, la condotta dei contingenti nazionali, posti sotto il comando e controllo strategico delle Nazioni unite (ma, tuttavia, sotto il comando operativo e potere disciplinare degli Stati nazionali), in maniera più restrittiva rispetto agli obblighi assunti da quest'ultimi tramite le vie convenzionali. E' opportuno sottolineare che il Segretario Generale pone tuttavia dei limiti che vanno al di là del contenuto delle convenzioni in vigore. Questo risulta evidente, in particolare, nel caso del divieto dell'uso delle armi incendiarie. Tale divieto è formulato nel Bollettino in maniera più ampia rispetto a quanto invece dispone la Convenzione del 1980 sulle armi convenzionali.

Il trattamento dei civili e delle persone hors de combat è fatto oggetto della Sezione 7. La norma impone a tutte le persone, che, per ragioni di malattia, ferimento o detenzione, non prendano più parte alle ostilità, o che non vi abbiano mai preso parte, un trattamento umanitario in ogni circostanza, senza alcuna discriminazione basata sulla razza, il sesso, la religione o altra ragione. Viene inoltre specificata una serie di atti proibiti in ogni tempo ed in ogni luogo, come l'omicidio e le torture, così come altri trattamenti crudeli. Sono altresì proibite le punizioni collettive, le esecuzioni, il rapimento, la presa di ostaggi e i reati sessuali. Un'attenzione particolare è prestata, negli ultimi due paragrafi, ai soggetti che si rivelano essere i più vulnerabili in situazioni di conflitto, vale a dire le donne e i bambini, imponendo il rispetto della loro persona e la protezione contro quegli atti che possono sconvolgere il loro equilibrio psicofisico.

La Sezione 8 costituisce la naturale prosecuzione della sezione precedente, in quanto si occupa del trattamento umano e del rispetto della dignità dei membri della forza armata delle Nazioni Unite e delle altre persone che non prendono più parte alle operazioni militari per ragioni detentive. Come già osservato precedentemente, la norma in parola richiama espressamente la III Convenzione di Ginevra del 1949 , che si preoccupa di fornire un trattamento adeguato alle persone detenute, prescindendo dalla tipologia di conflitto armato, in cui i combattenti si trovano coinvolti e, quindi, senza pregiudicare il loro status giuridico.

Sono di seguito elencate alcune delle norme convenzionali essenziali. Si tratta delle norme che impongono l'obbligo della notificazione, senza ritardo, della cattura e della detenzione alla parte cui il detenuto dipenda e all'Agenzia centrale delle ricerche del CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa), in particolare per fornire informazioni alle famiglie; l'obbligo di detenere le persone in locali protetti e sicuri conformi alle esigenze di igiene e di salute e non in aree esposte ai pericoli della zona di conflitto; il diritto dei detenuti a ricevere cibo, indumenti e cure igieniche ed il diritto a non essere sottoposte in nessuna circostanza a torture o maltrattamenti.

Le donne detenute dovranno essere alloggiate in locali separati da quelli in cui alloggiano i detenuti di sesso maschile e dovranno essere controllate da personale di sesso femminile. Inoltre, qualora minori che non hanno raggiunto l'età di 16 anni prendano parte al conflitto e siano arrestati, detenuti o internati dalla forza delle Nazioni Unite, essi continueranno a beneficiare di una protezione speciale. In particolare saranno alloggiati in locali separati da quelli dei detenuti adulti, a meno che non sia possibile accoglierli presso le loro famiglie.
Da ultimo, è previsto il diritto del CICR di visitare i prigionieri e le persone detenute. Tale diritto deve essere, inoltre, rispettato e garantito.

L'ultima sezione, particolarmente lunga, è intitolata alla protezione di feriti, dei malati, del personale medico e di soccorso. Si tratta, sostanzialmente, di una sintesi delle regole fondamentali contenute nella I e nella II Convenzione di Ginevra del 1949. Gli individui feriti e malati dovranno essere rispettati e protetti in tutte le circostanze, saranno trattati umanamente e riceveranno le cure mediche di cui necessitano senza alcuna distinzione. L'urgenza delle cure necessarie sarà l'unico elemento su cui valutare le priorità di somministrazione delle cure. Nel caso in cui le circostanze lo permettano, verrà stabilito un cessate-il-fuoco, o saranno stipulati accordi locali, al fine di permettere la ricerca e l'identificazione dei feriti, dei malati e dei morti lasciati sul terreno e di procedere al loro recupero, rimozione, scambio e trasporto.

Le forze delle Nazioni Unite assumono l'impegno di non attaccare stabilimenti sanitari o unità sanitarie mobili. Queste devono essere rispettate e protette in ogni tempo, a meno che non siano utilizzate, al di fuori delle loro funzioni umanitarie, per sferrare attacchi contro le forze delle Nazioni Unite.

Allo stesso modo devono essere protetti i convogli che trasportano personale ferito e malato e materiale medico. La forza delle Nazioni Unite è tenuta, inoltre, a rispettare e proteggere, in ogni circostanza, il personale medico impegnato esclusivamente nella ricerca, trasporto e cura dei feriti o malati, così come il personale religioso. Sono vietate le rappresaglie da parte dei membri delle forze delle Nazioni Unite contro i feriti, i malati, il personale, le installazioni ed il materiale protetto dalle disposizioni della sezione in esame.

Gli emblemi della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa devono essere rispettati in ogni circostanza e non possono essere utilizzati se non per indicare o proteggere unità, installazioni, personale o materiale medico. Ogni abuso degli emblemi in parola è, inoltre, proibito. Dovrà essere rispettato anche il diritto delle famiglie ad avere notizia della sorte dei loro membri che potranno essere feriti, malati o deceduti. A questo fine, le forze dell'Organizzazione faciliteranno il lavoro dell'Agenzia Centrale delle Ricerche del CICR. Infine, le forze delle Nazioni Unite dovranno facilitare il lavoro inerente le operazioni di soccorso aventi natura umanitaria e imparziale, senza fare distinzione di sorta e saranno tenute, inoltre, a rispettare il personale, i mezzi e gli immobili coinvolti in tali operazioni.


Conclusione


La questione dell'applicabilità del diritto internazionale umanitario alle forze delle Nazioni Unite, in particolare alle forze impegnate in operazioni di mantenimento della pace, rimane uno dei punti più controversi, e per questo ampiamente dibattuti, nell'ambito del diritto internazionale.

Il presente lavoro ha dedicato un consistente spazio a quello che viene definito, da parte della dottrina, l'ultimo atto innovativo sotto il profilo giuridico che, in parte, chiarisce la questione: il Bollettino del Segretario Generale del 1999. Quest'ultimo, avendo l'obiettivo di enunciare delle regole di condotta per i membri impegnati in operazioni di peace-keeping e di peace-enforcement (come sottolineato nel par.1 della Sezione 1) e non di disporne delle nuove, rimane decisamente entro i limiti "legislativi" delle Nazioni Unite e prende in "contro piede" l'idea, sostenuta da sempre, che l'Organizzazione non disponga dei mezzi necessari per impegnarsi nel rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario.

Il Bollettino presenta delle caratteristiche molto precise per quanto riguarda i principi in esso formulati.

Non facendo dipendere, esclusivamente, l'applicabilità di tali principi dalla qualificazione del conflitto, conferma la tendenza al ravvicinamento dei differenti regimi di diritto internazionale umanitario applicabili alle diverse tipologie di conflitto armato (sostanzialmente alle quattro Convenzioni di Ginevra ma anche ad altre fonti). Allo stesso tempo i membri impiegati in operazioni di peace-keeping devono mantenere una condotta conforme alle norme previste da tutte le convenzioni di diritto internazionale umanitario, prescindendo dal fatto che gli Stati fornitori siano parte contraente di tali accordi e questo al fine di garantire una piena tutela alle persone non direttamente coinvolte nel conflitto.

Non può dirsi, tuttavia, che la questione dell'applicabilità, e soprattutto del controllo, delle norme di diritto umanitario sia risolta; in particolare per quanto riguarda il controllo del rispetto delle norme in parola non si vedono particolari sviluppi. Lo stesso Bollettino , infatti, rimette all'esclusiva competenza nazionale il compito di perseguire gli eventuali individui che si sono resi autori di gravi violazioni di diritto umanitario; tutta la prassi, finora, conferma che il controllo del rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario non può realizzarsi se non a livello nazionale.

Tuttavia, il vero problema rimane l'effettiva conoscenza delle norme di diritto internazionale umanitario da parte dei membri impegnati in operazioni di peace-keeping, senza la quale non sarebbe possibile iniziare alcun tipo di discorso inerente il rispetto di tali norme. La questione appare ancora molto lontana da una soluzione chiara e definitiva, giuridicamente parlando.

Il bollettino del Segretario Generale può e, in certi termini, deve essere considerato il punto di partenza dal quale procedere per elaborare, progettare, sviluppare e promuovere ulteriori iniziative, sia in campo accademico e sia direttamente in campo operativo, volte a chiarire in modo definitivo quali siano gli obblighi di diritto internazionale umanitario che effettivamente gravano sui membri delle forze impegnati in operazioni di peace-keeping.

 
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