Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
La riforma delle Nazioni Unite: Europa e Stati Uniti a confronto :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Versione integrale
La riforma delle Nazioni Unite: Europa e Stati Uniti a confronto
Tesi di laurea

Università degli Studi di Padova
Facoltà: Scienze Politiche
Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali

Relatore: Edoardo Del Vecchio
a.a. 2005/06

Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2006

 
Sommario

Quello su che cosa le Nazioni Unite siano, e che cosa potrebbero o dovrebbero essere, è stato un tema di cui si è discusso ininterrottamente fin dalla loro fondazione.

 
Indice dei contenuti
 
Introduzione

1. L'organizzazione internazionale dal 1918 a oggi
1.1 Dal concerto europeo alla guerra mondiale
1.2 La Società delle Nazioni tra i due conflitti mondiali
1.3 Le Nazioni Unite e il mondo bipolare
1.4 Dal bipolarismo alla concorrenza globale
1.5 Nazioni Unite: le aspettative

2. Europa e USA: origini comuni e origine delle differenze
2.1 Da coloni europei a cittadini americani
2.2 Gli Stati Uniti come prima Unione Europea
2.3 Due diversi approcci multilaterali
2.4 Europa e America: diverse percezioni del rischio

3. La riforma dell'ONU dal 1945 a oggi
3.1 Aspetti essenziali della riforma dell'ONU
3.2 La prima riforma mancata e gli emendamenti del '65
3.3 Le Nazioni Unite, la regionalizzazione e la proposta italiana
3.4 L'High-level Panel del 2004 e le attuali proposte
3.5 La questione delle responsabilità finanziarie e militari

4. Europa e USA: la riforma all'inizio del terzo millennio
4.1 Sguardo d'insieme sulla riforma dell'ONU
4.2 Conclusioni sulla posizione americana
4.3 Conclusioni sulla posizione europea
4.4 Considerazioni finali
 
Abstract
 

Quello su che cosa le Nazioni Unite siano, e che cosa potrebbero o dovrebbero essere, è stato un tema di cui si è discusso ininterrottamente fin dalla loro fondazione, nel 1945 e, volendoci allargare, come pare opportuno, anche alla precedente esperienza della Società delle Nazioni, il complesso dibattito si protrae dalla fine della prima guerra mondiale. Questo confronto, giocato sia sul piano delle idee che sul piano della potenza, si avvicina così al secolo di vita, e non è poco.

Il dibattito sulla natura, sulla forma, sui compiti e, cosa più importante e strettamente collegata alle altre, sui poteri delle Nazioni Unite, è uno dei nodi cruciali delle relazioni internazionali del presente e del prossimo futuro. Questo appare tanto più vero quanto più si pensi che tutte le altre grandi questioni della nostra epoca, da quella ambientale, a quella del rapporto tra paesi sviluppati, in via di sviluppo e terzo mondo, fino alla questione del rapporto tra uomo e tecnologia, sono giustamente percepite dai contemporanei come questioni globali, non più trattenibili all'interno dei confini delle singole nazioni, delle singole culture, delle singole entità geografiche e politiche, e in quanto avvertite come questioni globali, queste istanze attendono di poter essere globalmente affrontate. Ma, proprio mentre i 'nodi globali' vengono al pettine, le Nazioni Unite vanno attraversando una delicata fase di transizione storica e di crisi di credibilità, originata da quella lunga serie di insuccessi, inefficienze e paralisi, che gli stati membri non hanno ancora saputo, e spesso voluto, superare.

Questa fase di transizione va inserita nell'evoluzione dello scenario mondiale. Gli ultimi due decenni hanno condotto il mondo fuori dall'epoca del confronto tra il blocco comunista e quello liberaldemocratico, verso un nuovo mondo, i cui tratti essenziali devono ancora pienamente manifestarsi, o per lo meno essere compresi. Quali saranno ora i problemi più urgenti: il terrorismo? Ancora una volta la proliferazione delle armi di distruzione di massa? Il degrado ambientale? La sovrappopolazione? Gli squilibri economici, sociali e politici tra le diverse aree del mondo? Il modo in cui le varie parti in causa risponderanno nel prossimo futuro a queste domande influenzerà non poco le trattative al tavolo della riforma delle Nazioni Unite.

La cultura occidentale ha globalizzato il mondo proponendo con successo e imponendo con forza l'apparato scientifico-tecnologico, la sua economia capitalistica, il sistema politico basato sugli stati nazionali e sulla democrazia, tentando inoltre di scrivere un codice morale, la Dichiarazione dei Diritti Umani, che potesse valere per ogni popolo e ogni essere umano. Ora però che il mondo è globalizzato, che anche la proposta comunista di gestione della tecnica, dell'economia e della politica si è eclissata, e che la globalizzazione è quindi completata in tutti i suoi aspetti, che cosa vuole fare l'Occidente di quella globalizzazione della quale le Nazioni Unite non sono che un aspetto? L'argomento di questo breve studio sarà proprio il confronto che attorno alla questione della riforma della Nazioni Unite, inserita nel quadro generale del governo di un mondo sempre più destinato alla globalità, l'Occidente -America ed Europa- sta sviluppando, e dei possibili esiti nel prossimo futuro di questo grande processo.
La questione diviene particolarmente complessa, se si vuole evitare di cadere in tentazioni eccessivamente semplificatrici, dobbiamo considerare infatti sia l'Europa che l'America non come blocchi monolitici e immutabili, ma piuttosto come realtà variegate e mutevoli, rispetto alle quali possono essere individuate delle linee d'azione tendenziali, e non degli schemi sempre uguali a se stessi, i quali sono invece facilmente rinvenibili all'interno di visioni forzate o stereotipate, che la nostra analisi cercherà sempre di evitare.

CAPITOLO PRIMO
L'ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DAL 1918 a OGGI

1.1 Dal concerto europeo alla guerra mondiale


Fino ai primi anni del Novecento, il mondo era pensato come un mondo a egemonia europea. Le grandi potenze mondiali erano le potenze europee: Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Austria, Russia, con i loro rispettivi imperi e i vastissimi domini coloniali. Nel 1914, il sistema di equilibrio che, a partire dal Congresso di Vienna (1814), aveva mantenuto la rivalità tra queste potenze sotto la soglia del conflitto assoluto, rivelò la sua incapacità di adattarsi all'evoluzione del quadro internazionale globale occorsa sul finire del XIX secolo.

La prassi dei congressi e delle conferenze tra le potenze, il cosiddetto concerto europeo, privo di un'organizzazione istituzionalizzata e giuridica, legato com'era per il suo mantenimento alla volontà specifica degli stati che rappresentava, e incapace di includere l'emergere delle due nuove potenze extra-europee - gli Stati Uniti in America e in Asia il Giappone, fresco vincitore dell'impero Russo nel 1905 - aveva fatto il suo tempo. L'Europa non seppe darsi una forma in grado di contenere le rivalità delle sue potenze, e precipitò se stessa, con tutti i suoi imperi, le sue colonie di ogni continente, nella guerra totale.

C'era stato almeno un tentativo significativo: quello delle due Convenzioni dell'Aja (1899 e 1907) alle quali parteciparono anche i rappresentanti degli stati extra-europei, e che si doveva occupare di riduzione degli armamenti e arbitrato internazionale. Il sistema dell'Aja non poté evitare la guerra, d'altronde il pacifismo e l'internazionalismo, abbastanza diffusi tra l'opinione pubblica, e specialmente tra gli intellettuali, riscuotevano scarso seguito tra i governi delle potenze europee, e l'Aja rimase quindi più nell'ambito dell'astrazione. Anche il sostegno al sistema de l'Aja da parte del presidente americano Theodore Roosevelt, non fu sufficiente a evitarne l'insuccesso: gli europei preferirono ricominciare tutto da capo tuffandosi nel grande calderone della guerra.

Quando parvero uscirne una prima volta, nel 1918, l'Europa già non era la stessa di prima. Crollarono quattro imperi: Germania, Russia, Austria-Ungheria e Ottomano; sia vincitori che vinti erano economicamente e socialmente esausti. Sull'altra sponda dell'Atlantico, Gli Stati Uniti, che avevano decisivamente finanziato la guerra delle potenze dell'Intesa e che, nel 1917, erano entrati anche militarmente nel conflitto con l'obiettivo di porvi fine, erano già la prima potenza mondiale. Gli unici a non essersene accorti, o forse, gli unici che non volevano accettare la verità, erano proprio gli europei che nella guerra avevano disperso già una buona parte degli elementi del loro primato.

In Europa, Il ventennio 1918-39 fu più un periodo di tregua armata, che una pace. Le speranze di ritornare alla belle epoque si infransero rapidamente di fronte all'incapacità degli europei di fare una pace duratura dalla quale far partire il proprio rilancio.

La pace di Versailles fu probabilmente il più grande insuccesso della politica europea nel secolo scorso. Il continente fu ridisegnato sulla base di principi teorici ed astratti, come il principio della nazionalità, che, imposto come norma generale dal presidente americano Wilson, fu in realtà quasi esclusivamente utilizzato per favorire i vincitori, e divenne così causa di destabilizzanti frazionamenti. La Germania, punita con severità economicamente, territorialmente e militarmente, si sentiva profondamente colpita nell'onore, tuttavia la sua frustrazione non sembrava sufficiente a placare i timori che la Francia, dopo due invasioni del suo territorio, nutriva per la potente vicina. Le minoranze di lingua tedesca restarono tagliate fuori della madrepatria all'interno di piccoli e deboli stati, mentre i secolari imperi - Austriaco e Ottomano- che in passato avevano avuto la capacità di assorbire queste e altre minoranze, furono definitivamente smembrati.

Nonostante questo quadro, fu possibile il lancio della Società delle Nazioni, la prima grande organizzazione internazionale.

L'impulso per la fondazione della Società venne dal presidente americano Woodrow Wilson, che l'aveva inclusa all'ultimo posto - last but not least - nei suoi 14 punti. La Società nacque subito mutilata: furono esclusi i vinti, Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria, oltre alla Russia dei Soviet colpevole di aver firmato la pace separata con la Triplice Alleanza e non ancora riconosciuta dai vincitori, che speravano nella sostituzione di Lenin con un governo più favorevole.

Ma la defezione più paradossale fu quella degli Stati Uniti, il cui presidente era riuscito a convincere l'Europa a fondare la Società delle Nazioni, ma non ad ottenere lo stesso risultato con la maggioranza di casa sua, che bocciò la ratifica dei trattati di Versailles, nei quali la fondazione della Società era inclusa.

La Società delle Nazioni era composta degli stessi tre organi fondamentali dell'odierno ONU: un'Assemblea di tutti membri, un Consiglio esecutivo e un Segretariato Generale. A differenza delle Nazioni Unite, l'Assemblea e il Consiglio avevano le stesse competenze e le loro decisioni dovevano essere prese all'unanimità. Il Consiglio era originariamente composto di 5 membri permanenti, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone (i vincitori della guerra) e 4 membri non permanenti che erano eletti ogni 3 anni. La composizione dell'Assemblea e del Consiglio continuò a variare caoticamente seguendo l'evolversi della situazione europea: furono gradualmente ammessi i vinti, la Germania nel 1926 ebbe il seggio permanente ma si ritirò con l'avvento al potere di Hitler nel 1933, l'URSS fu ammessa nel 1934 ed espulsa 5 anni dopo per l'attacco alla Finlandia, nel 1937 era uscita l'Italia, che era già stata condannata per l'invasione dell'Abissinia; i membri non permanenti erano intanto passati da 4 a 6 a 9, per dare soddisfazione alle medie potenze. Nonostante l'instabilità delle presenze e l'assenza degli Stati Uniti, la Società delle Nazioni si trovò nei suoi anni centrali molto vicina all'universalità.

1.2 La Società delle Nazioni tra i due conflitti mondiali

Tra gli anni venti e l'inizio degli anni trenta l'Europa sembrava sul punto di trovare una soluzione che permettesse di superare le rivalità al suo interno. Un primo accordo di mutua garanzia tra Francia e Germania venne raggiunto a Locarno nel 1924, e parve per la prima volta che tra i due principali rivali la tensione si stesse allentando.

Nello stesso anno, in seno alla Società delle Nazioni, l'arbitrato per le dispute internazionali divenne obbligatorio.

Nel Settembre 1929, Alla X assemblea della Società delle Nazioni, fu presentato su impulso del primo ministro francese Aristide Briand, un memorandum per un'unione federale dell'Europa. La proposta Paneuropea, come era stata battezzata, era però prematura: nel 1929 ci fu il primo successo elettorale del partito nazional-socialista in Germania, mentre l'Italia di Mussolini manifestava sempre più insofferenza nei confronti delle organizzazioni internazionali.

Nel 1929 era poi scomparso prematuramente Gustav Stresemann, ministro degli esteri tedesco, l'altro grande fautore, assieme al francese Briand, del tentativo di riconciliazione tra Francia e Germania. Anche l'Inghilterra vedeva nell'ipotesi paneuropea una minaccia alla propria politica, il cui interesse principale era quello di mantenere un equilibrio tra le potenze continentali, indirizzo di politica estera ormai tradizionale di Londra, e non certo la costituzione di una federazione che l'avrebbe nettamente sopravanzata in potenza, alla quale perciò era preferita la Società delle Nazioni, la cui universalità, se valutata insieme alla carenza di potere effettivo, la rendeva innocua agli occhi britannici.

Gli Stati Uniti, d'altro canto, sebbene si apprestassero ad avviare con i piani Dawes (1924) e Young (1928) vasti finanziamenti alla Germania e indirettamente a tutta l'Europa, non tifavano certamente a favore dell'ipotesi di una potente federazione europea. Essi continuarono nella prassi della diplomazia bilaterale, al di fuori anche della Società delle Nazioni, e verso l'isolazionismo.

Così, all'inizio degli anni Trenta, fallite tutte le conferenze sulla riduzione degli armamenti, con i nazionalismi che riprendevano forza ed erano ormai saldamente al potere in Italia e Germania, con il Giappone che iniziava l'invasione della Cina (1931) e lasciava la Lega (1932), e nella cornice generale della crisi economica che aveva preso avvio dal giovedì nero della Borsa di Wall Street (24 Ottobre 1929), si riaprirono tutte le vecchie ferite e le recenti rivalità: riprese la corsa agli armamenti.

Nel Luglio del 1936 si aprì la guerra civile spagnola, all'interno della quale agivano, più o meno velatamente, tutte le grandi potenze europee. Frattanto la Germania rimilitarizzò la Renania e iniziò ad annettersi pezzi d'Europa orientale nelle quali erano presenti le minoranze tedesche. Francia e Inghilterra non seppero opporsi, l'Italia era ormai definitivamente alleata alla Germania: l'Europa si era ridivisa in due blocchi.

Era il fallimento, almeno momentaneo di due progetti: il sistema di sicurezza collettivo della Lega e il sistema di sicurezza regionale della federazione europea.

Quando nel Settembre 1939 fu chiaro che il grande conflitto europeo era scoppiato, la Società delle Nazioni non si sciolse, e rimase 'ibernata' fino alla fine del conflitto.
Sul piano del potere effettivo, la Società delle Nazioni fu esclusa di fatto dalle grandi potenze europee e dagli Stati Uniti, che preferirono la strada della diplomazia bilaterale e delle conferenze al di fuori della Lega. Ne derivò che quest'ultima, sulle questioni più importanti, non poté fare altro che adeguarsi alla forza di decisioni prese altrove. La Società delle Nazioni non riuscì quindi a evitare i grandi conflitti dei suoi tempi, che prepararono l'ingresso dell'Europa e del mondo nella seconda guerra mondiale: la guerra tra Giappone e Cina, l'invasione italiana dell'Abissinia e la guerra civile in Spagna.

Al di là degli insuccessi, la Società delle Nazioni aveva avuto il merito di creare il primo punto d'incontro universale per i governi di tutto il mondo, abituando la politica nazionale e la diplomazia tradizionale a interagire con l'intera comunità mondiale. Essa costituì l'esperienza-base per la fondazione delle Nazioni Unite, e non è un caso che nel 1946 tutte le sostanze, le proprietà, i servizi e i mandati della Lega vennero presi in eredità dal neonato ONU: il passaggio del testimone.

Significativa dal punto di vista simbolico fu la scelta della sede: New York, e non più Ginevra: l'epoca dell'egemonia mondiale europea era definitivamente tramontata.
Quando il mondo uscì dalla guerra una seconda volta, per l'Europa la situazione sembrò ancora più tragica di quella del 1918. Se nel primo grande conflitto la guerra era rimasta quasi sempre confinata nelle trincee limitandosi, per così dire, a 'spolpare' finanziariamente e demograficamente le grandi potenze continentali, di tutt'altra natura fu il conflitto del 1939-45. Nei 6 anni di guerra, il conflitto portò la mobilitazione non solo al fronte e nelle industrie, ma ovunque: nelle città, nelle campagne, nei cieli, negli oceani, nelle profondità dei mari. La guerra totale come la si era conosciuta nel 1914-18 fu solo un accenno di totalità, se confrontata alla successiva.

Nel 1945 una sola potenza mondiale uscì indenne finanziariamente, industrialmente, demograficamente e socialmente dall'enorme conflitto: gli Stati Uniti. Francia, Germania, Italia e Unione Sovietica avevano avuto la guerra sul loro suolo per lunghi anni, l'Inghilterra e il Giappone, che erano stati risparmiati dall'invasione, subirono bombardamenti pesantissimi e un logoramento al quale solo la tenacia dei due popoli aveva resistito.

Per due volte l'Europa aveva generato dentro di sé una guerra che aveva poi finito con il coinvolgere tutto il mondo, e per due volte gli Stati Uniti vi posero fine finanziandola prima e concludendo poi militarmente il conflitto, guadagnandosi così il diritto di porre le condizioni della pace. Questa condotta permise agli Stati Uniti di uscire dai due conflitti mondiali come leaders economici, politici e militari del mondo.

Tuttavia, una delle potenze europee, riuscì a compiere in pochissimi anni un prodigioso recupero tecnologico e militare, basato sulla concentrazione del grosso delle risorse nell'industria primaria e nella ricerca scientifica, a scapito delle condizioni materiali di vita della propria popolazione.

Questa condotta permise a questa potenza di porsi seriamente in rivalità con gli Stati Uniti. Si trattava dell'Unione Sovietica: era la nascita del mondo bipolare.

1.3 Le Nazioni Unite e il mondo bipolare

In questo quadro, che andava già configurandosi come un quadro bipolare, nacque l'erede della Società delle Nazioni, l'ONU.

Come la Società delle Nazioni alla fine della prima guerra mondiale, l'ONU, progettato dagli Alleati già in tempo di guerra, nacque attorno alla coalizione dei vincitori, ed ebbe, come aveva avuto la Lega, in un presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, già membro del governo Wilson, il suo principale promotore. La nuova organizzazione internazionale universale nasceva quindi all'interno della pace di Yalta, così come la Società delle Nazioni era nata in seno alla pace di Versailles. La differenza fu semmai che lo schema uscito da Yalta risultò assai più duraturo della situazione caotica dell'Europa subito dopo Versailles. Per più di quarant'anni vi furono due superpotenze con un enorme arsenale nucleare, un esercito da campagna, una flotta che ambiva a controllare tutti i mari, un'aeronautica in grado di colpire obiettivi multipli a migliaia di kilometri di distanza dalle basi, un programma spaziale che doveva dimostrare la validità delle capacità balistiche e degli sforzi economici di un'intera nazione, e con l'ambizione -mai realizzata- di portare la guerra nella dimensione extra-atmosferica. L'Europa era fisicamente divisa a metà tra USA e URSS dalla 'cortina di ferro', ma anche gli altri continenti erano polarizzati. Non mancavano certo diversità e rivalità all'interno dei blocchi: la Francia era in conflitto con la NATO, nell'altro polo l'Ungheria e la Cecoslovacchia avevano tentato di passare dalla parte dell'Europa occidentale, mentre i rapporti tra URSS e Cina -le due grandi potenze comuniste- erano tutt'altro che buoni.

Ma la domanda era: in caso di guerra tra i due blocchi, davvero la Cina preferirà appoggiare gli USA piuttosto che l'URSS, e la Francia esiterebbe forse nella scelta tra comunismo e capitalismo liberaldemocratico?

I blocchi erano una realtà solida, e lo si vedrà molto bene nella guerra di Korea come nel Vietnam.
Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, così come venne ideato nel 1945, non faceva che rispecchiare gli schemi di questo mondo bipolare. E lo fa ancor oggi, con la differenza che, estintosi l'equilibrio bipolare, l'immagine riflessa nello specchio non è più una rappresentazione veritiera: da quindici anni il Consiglio di Sicurezza è obsoleto. È partendo da questo dato di fatto che il tema della riforma delle Nazioni Unite manifesta tutta la sua urgenza
All'interno del quadro bipolare, la presenza del diritto di veto per le potenze occidentali da una parte (USA, Gran Bretagna, Francia, più Taiwan in rappresentanza della Cina non comunista fino al 1971), e quelle comuniste dall'altra (URSS e Cina comunista dal 1971), rendeva possibile un tavolo di confronto fra i due blocchi, ed eventualmente anche tra questi e il blocco dei paesi non-allineati sorto a Bandung nel 1955, senza per questo che il sistema di voto permettesse di decidere al di fuori dell'accordo di tutti i membri permanenti. Il problema dei ritiri che aveva duramente colpito il prestigio della Società delle Nazioni, fu così scongiurato. Prova ne fu il fatto che l'ONU riuscì a superare anche la dura crisi dei missili di Cuba del 1962, momento di massima tensione tra i due blocchi, che per fortuna (ma anche grazie alla possibilità di aprire un confronto mondiale in diretta televisiva al palazzo di vetro) rimase solo una prova di forza e non, come aveva minacciato di essere, una guerra nucleare su scala globale.

Un'altra prova fu il superamento del periodo della rivoluzione culturale del '68, molto critica nei confronti del sistema di Yalta. La rivoluzione culturale nei paesi del blocco comunista premeva per un avvicinamento alla liberaldemocrazia e al libero mercato, mentre, nei paesi capitalisti guardava con indulgenza e alle volte con una per nulla velata simpatia ai regimi socialisti e comunisti, e, sia in Europa che negli USA, si scontrava spesso con la condotta del governo della superpotenza del blocco capitalista. La rivoluzione incise profondamente sul piano culturale e dei costumi, ma non riuscì a scalfire il sistema di Yalta; L'ONU, così come era stato ideato dai suoi fondatori, passò ancora una volta indenne.

Per tutto il corso della Guerra Fredda, gli Stati Uniti avevano coalizzato attorno a sé, all'interno della NATO, i paesi dell'Europa occidentale. Così come la Francia e l'Inghilterra erano state coalizzate attorno all'idea che un'egemonia americana fosse preferibile a un'egemonia nazi-fascista o nipponico-militarista, nella guerra fredda gli europei preferirono di nuovo l'egemonia USA a quella che poteva venire da Mosca. La scelta dell'Europa fu una scelta di debolezza, che non poté nemmeno essere allargata ai paesi dell'Europa orientale, e che per essere attuata, ebbe ancora bisogno di un super-finanziamento americano - il piano Marshall.

Questa debolezza nei confronti degli USA e della potenza comunista russo-cinese, era a tal punto palese, che in Europa solo la Francia di De Gaulle, con un passato di ostinata bellicosità nei confronti degli USA anche durante il conflitto mondiale, osò metterla in discussione.

In questo scenario, l'Europa, già unita militarmente all'interno della NATO, ed economicamente dal Piano Marshall, riesumò l'idea di un proprio destino federale come unica possibilità per guadagnare nel lungo periodo una credibilità tale da poter tornare a dialogare sul piano di parità con le due superpotenze.

L'Unione Europea, sorta nel 1951 a partire dal nucleo originale della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, ha mosso i primi passi con l'istituzione di un mercato comune che si è progressivamente allargato fino a conglobare sostanzialmente gli stessi paesi che erano parte della NATO.
Al crollo del regime sovietico sul finire degli anni Ottanta, e al parallelo crollo della cortina di ferro in Europa (1989), il vecchio continente rilanciò ulteriormente la propria scommessa sulla Federazione, che avrebbe dovuto superare, come era nelle ambizioni dei suoi padri fondatori, lo stato di unione commerciale e integrarsi completamente a livello economico, militare e politico.

In questo scenario, in concomitanza con il disfacimento della federazione sovietica, fu varato per la prima volta da decenni con grande prontezza di riflessi da parte europea, il trattato di Maastricht (1992).
Se sul piano militare un sistema di difesa collettiva venne presentato prematuramente, e fu quindi bocciato dalle gelosie nazionali e specialmente quelle francesi (fallimento della CED nel 1952), Maastricht aveva invece portato l'Unione a consolidarsi definitivamente almeno sul piano economico, con l'approdo alla moneta unica per 12 paesi nel 2002, e con l'allargamento a 25 stati, che altro non è che la riunificazione con quella parte d'Europa che era stata fino agli anni Novanta sotto l'egida comunista.

Tenendo presenti questi sviluppi, avvenuti in seno all'Europa Occidentale e ormai a tutto il continente, è comprensibile che gli Stati Uniti abbiano sempre privilegiato il dialogo con i partners europei all'interno dell'alleanza militare NATO (nella quale per la superiorità militare erano e sono leader indiscussi), piuttosto che su un piano di parità, con l'Unione Europea, ormai concorrente economica e, con l'Euro, anche finanziaria e monetaria sullo scenario globale.

Tuttavia, la sopravvivenza della NATO come sede del dialogo privilegiato con l'Europa, è entrata in crisi contemporaneamente alla scomparsa della ragion d'essere che aveva portato alla sua nascita e al suo rafforzamento: la rivalità con il blocco comunista.

***


4.4 Considerazioni finali

Viste le principali proposte di riforma del Consiglio di Sicurezza, e tutte le proposte formalmente concretizzate nel momento attuale, date le posizioni conservatrici di Russia e Cina, la posizione di una riforma limitata da parte degli Stati Uniti, e le divisioni in seno all'Assemblea Generale, la riforma più accessibile -forse l'unica possibile- in un futuro a noi prossimo, pare quella di un'espansione limitata del Consiglio. Potrebbe trattarsi di un parallelo incremento dei membri permanenti e non permanenti, i primi quasi certamente, almeno all'inizio senza potere di veto, oppure di un aumento dei soli membri non permanenti, come già avvenuto nel 1965, o in alternativa, la creazione della categoria dei semipermanenti, forse con la considerazione della proposta italiana sulla loro gestione regionale.

Rispetto alla decisione finale su queste varie ipotesi, il peso complessivo degli Stati Uniti sembra essere destinato ad avere un ruolo più determinante di quello europeo una volta arrivati al momento cruciale. L'Europa, divisa e senza una voce comune, priva di una linea di condotta stabile e univoca rispetto al tema nel presente come nel passato, difficilmente potrà essere attiva nella fase decisionale, nella stessa ampia misura che l'ha vista protagonista nella fase propositiva.

Un allargamento del Consiglio di Sicurezza: che cosa potrebbe significare una riforma di questo tipo? Essa renderà certamente più improbabile l'eventualità che i membri permanenti possano assumere una decisione da soli, dato che avrebbero bisogno di maggioranze sempre più nutrite tra i membri non permanenti e gli stessi membri permanenti, qualora questi dovessero aumentare.

Ma in passato il problema del Consiglio di Sicurezza non è certo stato quello di evitare che i permanenti decidessero da soli, quanto il problema opposto, e cioè che essi potessero bloccare decisioni largamente condivise, teoricamente perfino condivise da tutti, tranne che da un membro permanente con potere di veto (anche qualora questo fosse parte in causa).
Visti i precedenti nella storia dell'organizzazione internazionale, la questione è quindi quella di facilitare, non di bloccare ulteriormente il processo decisionale del Consiglio. Ci chiediamo quindi: in un Consiglio allargato, ci sarebbero più o meno possibilità di incentivare il potere effettivo del Consiglio? Se, ragionando per assurdo, l'Indonesia fosse stata nel 1999 un membro permanente del Consiglio con potere di veto, è difficile pensare che ci sarebbe stato un successo delle Nazioni Unite nella questione di Timor Est.

D'altra parte è chiaro che la questione della rappresentatività, finché i grandi paesi in via di sviluppo come pure alcune importanti potenze economiche e industriali saranno subordinate ai cinque membri permanenti, va a penalizzare l'immagine e la fede che l'opinione pubblica ha rispetto alle Nazioni Unite, e questo non è problema da poco.

La forza anti-decisionale del veto, per quanto cruciale, è ben lontana dall'essere superata, e lo testimonia inequivocabilmente il fatto che nessuna delle principali proposte di riforma presentate dagli stati ha mai osato evocarne la soppressione o la limitazione. Giuridicamente, solo gli attuali beneficiari di questo diritto possono decidere sull'auto-limitazione del proprio potere, ma che cosa potrebbe mai portare le cinque potenze vincitrici alla rinuncia del loro privilegio?

In altri tempi, il filosofo europeo Immanuel Kant, campione dell'universalismo e del cosmopolitismo moderno, nel suo 'Per la pace perpetua' del 1795 presentava la nascita di una federazione di tutti gli stati della Terra, sviluppata a partire dall'Europa, portatrice di un diritto internazionale in grado di assicurare ovunque la pace e la sicurezza. A tutto questo l'uomo, secondo Kant, è inevitabilmente destinato: a garantirlo sarà l'esigenza di trarre dalle eterne discordie degli uomini, anche contro la loro volontà, la concordia .

La civiltà occidentale ha creato una prima federazione sulla sponda occidentale dell'Atlantico, e in seguito una seconda sulla sponda orientale. Queste due federazioni hanno già conosciuto al proprio interno l'esigenza degli stati di auto-limitare il proprio potere per scongiurare il ripetersi della catastrofe. Se e quando una nuova emergenza o, auguriamoci, la preveggenza, porterà l'Occidente a limitare ulteriormente la sovranità dei propri stati, in concreto il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza, rimane al di fuori delle possibilità di previsione di questa nostra breve analisi.


 
Bibliografia
 

Lettura Critica e Opere citate

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