PREFAZIONE
A partire dalla fine del 2004, la giurisprudenza italiana si è occupata di due importanti questioni connesse alla problematica del terrorismo internazionale, che hanno riacceso un antico dibattito sulla difficoltà di procedere alla repressione di reati di "terrorismo internazionale", anche per la mancanza di una definizione di terrorismo universalmente accettata.
Nella presente ricerca sono stati ripercorsi, in termini storici e cronologicamente ordinati, i momenti che hanno visto giuristi e politici impegnati nel tentativo di dare forma ad una definizione di terrorismo.
Sono state poi descritte le situazioni che hanno dato origine al primo tentativo di definizione risalente al 1926 in Romania, fino a giungere al periodo successivo all'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, episodio cardine per le modalità eccezionali e per le implicazioni mondiali.
Sono state quindi sottolineate le difficoltà per gli stati di concordare una definizione globale di terrorismo e la rapida fioritura, invece, di Convenzioni settoriali.
Gli studiosi hanno privilegiato, infatti, un approccio al problema del terrorismo più settoriale, che ha portato all'approvazione di svariate Convenzioni contenenti definizioni di terrorismo e di atti terroristici.
Alcune sono particolarmente significative, perciò mi sono soffermata su una di esse, la Convenzione del 1999 sulla repressione del finanziamento del Terrorismo, che può essere considerata la prima Convenzione mondiale di diritto internazionale penale, contenente una definizione di terrorismo nella sua globalità.
Così è stata chiarita, in un momento successivo, la motivazione dell'affermarsi delle Convenzioni settoriali ed evidenziate le problematiche relative alla persecuzione degli atti di terrorismo internazionale, secondo il suddetto tipo di Convenzioni.
Centrale è la discussione relativa alle definizioni settoriali di terrorismo, che si occupano solo di aspetti ben determinati di esso; la mancanza di una unitaria definizione di terrorismo e atti terroristici conduce lo studioso ad una serie di difficoltà collaterali, come lo stabilire una netta linea di demarcazione tra i reati comuni e terroristici.
Leggendo questa prima parte della mia tesi si avrà, quindi, un panorama degli avvenimenti e delle problematiche di definizione, che permetterà di comprendere lo scenario nel quale si collocano le motivazioni delle recenti sentenze italiane sul terrorismo.
Il secondo capitolo è intitolato "terrorismo e diritto internazionale umanitario"; originariamente quest'ultimo veniva definito "diritto internazionale di guerra", evoluto poi, prima di assumere l'odierna denominazione, in "diritto dei conflitti armati".
Questa parte è incentrata sullo sviluppo delle problematiche connesse al "terrorismo di Stato" e ai "conflitti armati".
Determinante è stabilire con precisione la differenza tra atti terroristici e atti commessi nell'ambito di conflitti armati e guerre di liberazione nazionale, essendo, questi ultimi due, espressione del diritto internazionale umanitario.
Il bisogno di questa demarcazione ci riporta all'originaria problematica di definizione di terrorismo e atti terroristici.
Le Convenzioni equiparano le guerre di liberazione ai conflitti armati, producendo, quindi, una separazione tra combattenti, protetti dal diritto internazionale umanitario, e terroristi.
Ho affrontato l'argomento, inserendolo nel contesto settoriale delle molte Convenzioni che reprimono manifestazioni principali del terrorismo, qualificandole come crimini internazionali, secondo il diritto dei conflitti armati.
Il passaggio successivo è stato rilevare la valenza del principio dell'"aut dedere, aut judicare", inserito originariamente nella Convenzione di Ginevra del 16 novembre 1937.
Esso stabilisce che, nel caso del compimento di atti terroristici, lo Stato, nel cui territorio si trovi l'accusato, deve estradarlo o perseguirlo.
La maggior parte delle Convenzioni settoriali è stata costruita seguendo questo principio, per questo poi definito della maggior parte degli studiosi "clausola universale" sul terrorismo.
Attorno ad essa si sono sviluppati schieramenti e discussioni, delle quali darò ampio riscontro.
Dopo aver trattato ed approfondito il problema nelle sue dimensioni giuridiche generali, ho indirizzato la mia ricerca al recente panorama giurisprudenziale italiano, in particolare alle sentenze che, come ho già accennato, hanno coinvolto i giuristi del nostro paese intorno alle tematiche del terrorismo: la c.d. Sentenza Forleo n° 28491/04 e la n° 669/2005 della Suprema Corte di Cassazione.
Intorno a queste sentenze non si è ancora sviluppata una discussione da parte di studiosi e non si è arrivati alla formulazione di una dottrina; ho dovuto esaminare il problema, quindi, alla luce delle storiche problematiche che ho ampiamente descritto nei precedenti capitoli.
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Conclusioni
La sentenza Forleo ha rappresentato per la giurisprudenza italiana un contributo fondamentale, poiché ha riaperto la discussione sulla problematica di definizione di terrorismo internazionale, chiamando il Parlamento alle sue funzioni.
Secondo l'art. 10 della Cost. e i trattati di adattamento del diritto interno a quello internazionale, qualora il legislatore non avesse assolto al suo dovere di legiferare in materia, il giudice può avvalersi delle fonti del diritto internazionale per ricavare la soluzione di un caso.
Il gup di Milano, pertanto, ha emesso un giudizio di impostazione assolutamente innovativa in Italia, poiché non si è limitata a valutare il caso specifico, ma ha ampliato la sua analisi al panorama internazionale, coinvolgendo il potere legislativo nella problematica.
Ha dimostrato in maniera inequivocabile l'inadempienza a legiferare da parte del Parlamento e l'esigenza, per poter risolvere i casi concreti che si presentano a giudizio del magistrato, di una norma che definisca in maniera unitaria i concetti di terrorismo e di guerriglia eliminando, così, l'incertezza sulle fonti da applicare.
Si deve, infatti, tenere in debita considerazione, che è compito del Parlamento formulare la legge e fornire alla Magistratura tutti i mezzi necessari per potere svolgere la propria attività in maniera chiara e completa, così da assolvere al meglio il suo compito istituzionale.
L'art. 270 bis c.p., così come è congegnato e formulato, è difficilmente utilizzabile, poiché dalla sua elaborazione nel 2001 ha prodotto solamente una condanna.
Esso, fondamentalmente, solleva due problemi: quello della prova e quello della nozione di terrorismo internazionale.
Per quanto riguarda la prima problematica, è fondamentale sottolineare che dopo gli eventi dell'11 settembre il Parlamento ha equiparato il terrorismo interno a quello internazionale, senza, però, stabilire il criterio di valutazione delle prove raccolte.
Per quanto riguarda, invece, la seconda difficoltà di lettura è importante ripetere che non esistono, nel diritto interno, le definizioni di terrorismo internazionale e di guerriglia, che avrebbero dovuto sollevare il giudice dalla necessità di ricorrere al diritto internazionale.
Necessariamente il giudice si è avvalso di una fonte di diritto internazionale.
Fondamentale è stata l'argomentazione sottile tra terrorismo e guerriglia, base futura per valutare e distinguere i due concetti.
La sentenza rafforza l'idea che, se non ci sono prove della preparazione ed attuazione di attacchi terroristici trascendenti la motivazione di lotta per la liberazione del proprio popolo dagli oppressori, non si può parlare di terrorismo, dando, così, un apporto alla creazione di definizioni.
Anche la sentenza di Brescia, peraltro, aiuta a fare evolvere il dibattito; dimostrandosi in disaccordo sulla fonte sulla quale si è basato il gup , evidenzia ancora di più la difficoltà di trovare una fonte universalmente accettata, alla quale fare riferimento nel caso concreto.
Queste posizioni, proprio perché divergenti, formano un quadro complesso del contributo che le sopraccitate sentenze hanno dato al dibattito su questo argomento, con tutte le sfaccettature che lo rendono sottile e problematico.
Entrambe rafforzano il concetto che l'organo legislativo deve seriamente ed urgentemente riconsiderare la materia del terrorismo, ormai ineludibile, al fine di consentire ai magistrati di far riferimento a parametri sicuri.
Le definizioni finora proposte ed inserite all'interno delle Convenzioni settoriali sono eccessivamente estensive e difficilmente applicabili senza margine di incertezza; a tutt'oggi esistono, però, i presupposti adeguati per formulare una definizione mondialmente accettata di terrorismo, partendo dal nucleo comune alle più importanti Convenzioni settoriali.
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