La nozione di difesa armata è unitaria, nel più ampio quadro della difesa (non soltanto armata ) della Patria (art. 52, co. 1, Cost.). Unitaria è la garanzia che ogni organizzazione armata (Forza armata), quale strumento di tale difesa, sia disciplinata secondo lo <> come impone l'art. 52, co. 3, Cost. La forza armata sta, non esclusivamente, a fondamento del diritto, in quanto contribuisce ad assicurarne l'effettività. Il diritto prevede la forza armata e la disciplina quale strumento della sua difesa contro offese non importa se provenienti dall'interno o dall'esterno , garantendo anzitutto che tale forza rispetti il diritto stesso e quindi non sia essa stessa un mezzo di offesa. Contro chi detiene materialmente la forza le cautele si rafforzano e anche perciò trovano espressione in Costituzione.
Se ci sono organizzazioni che detengono armi, cioè forze armate in senso costituzionale, valgono le menzionate indicazioni costituzionali, quale che sia il nome e il modello organizzativo di tali forze . Ciò vale, tra l'altro, per le forze armate di polizia, che sono forze armate in senso costituzionale proprio, anche agli effetti della democraticità ordinamentale pretesa dall'art. 52, co. 3, Cost. Del resto, non esiste una distinzione di principio tra compiti militari e compiti di polizia armata, come dimostrano per esempio certi casi-limite: le operazioni militari di c.d. polizia internazionale, le operazioni di polizia contro l'immigrazione clandestina, le operazioni di lotta (guerra) dirette a riconquistare territori e popoli dominati da ordinamenti di criminalità organizzata. Nello stato mondiale verso il quale tendiamo, l'ordine pubblico è sempre interno, le guerre sono tutte guerre civili, le forze armate sono null'altro che forze di polizia armata.
Al disposto costituzionale non sfuggono i fenomeni di proliferazione (scoordinata e spesso inutile quando non dannosa) degli apparati di polizia armata , proliferazione che ormai non solo tende a dilagare disordinatamente senza chiari limiti e finalità in sede comunale, regionale etc., ma anche è pericolosamente rivolta a svilupparsi grandemente in forme "privatizzate", legittime e no.
A livello di legislazione ordinaria si è verificato il curioso fenomeno della c.d. "smilitarizzazione" della Polizia di Stato, il quale ha comportato un incremento della democraticità ordinamentale predetta, nel senso della valorizzazione delle libertà individuali, perfino con riguardo all'esercizio di tali libertà in forma collettiva e includendo la libertà sindacale (art. 39 Cost.) - escluso però, ovviamente, il diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e altro. Non è un modello perfetto, potrebbe essere riveduto. Comunque, è paradossale che si debba togliere il nome militare ad una forza che è armata, al fine di raggiungere un obiettivo che la Costituzione impone con riguardo alle Forze armate in tutte le loro espressioni. E' evidente, allora, che l'opera di concretizzazione dello spirito democratico nello stesso senso non si è ancora svolta ma potrebbe e in principio dovrebbe esserlo con riguardo alle restanti forze armate che vengon dette "militari" sul piano sub-costituzionale. Oggi sperimentiamo l'assurdo per cui il nome militare, anziché esprimere il servizio alle armi in funzione di difesa e il correlato apparato amministrativo, finisce per designare, a livello di legge ordinaria, forze il cui ordinamento ancora necessita di adeguamento allo spirito costituzionale.
Rimangono da stabilire mezzi e modi di tale adeguamento. A questo riguardo, una recente sentenza della corte costituzionale ha sorprendentemente mancato un'occasione storica, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, co, 1, l. 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), nella parte in cui tale articolo fa divieto ai militari di <> ovvero di <>. La Corte ha criticabilmente omesso di motivare in punto di ritenuta diversità tra forze di polizia e forze militari; ha, inoltre, confuso tra libertà sindacale ed esercizio della medesima - solo quest'ultimo può essere limitato - e ha paventato imprecisati pericoli nonostante non fossero in questione pretese al diritto di sciopero .
Peraltro, la Consulta ha indicato quanto meno vie immediate di sviluppo valorizzando il ruolo delle rappresentanze militari, le procedure di concertazione e altro, anche sulla scorta del programma all'epoca trasfuso nell'art. 18 della legge-delega 28 luglio 1999, n. 266. Questo programma va inteso come tappa di un percorso più lungo che di certo non si è concluso col decreto legislativo di attuazione (n. 129/2000). Come la Corte costituzionale ha sancito in pronunzie molto più limpide e distaccate, l'adeguamento allo spirito democratico implica l'assicurazione > del godimento dei diritti costituenti il patrimonio inviolabile della persona umana>>, per cui sono escluse (soltanto) irragionevoli copressioni derivanti dalla considerazione del pur indubbio <> dell'interesse al <> ; sono ammessi trattamenti speciali che trovino <> , ma tenendo conto che la democraticità dell'ordinamento delle forze armate deve essere attuata <> , che <> , e che tramite le rappresentanze militari <> .
E' opportuno riflettere sul fatto che la legge sui principi della disciplina militare risale al 1978. Per certi versi non è più adeguata, così come il relativo regolamento dell'86, alle odierne esigenze , tanto meno al progettato "esercito di professionisti" (l. 14 novembre 2000, n. 331). Occorre valorizzare di più il <> che caratterizza la figura del cittadino-militare disegnata nel '78, in modo tale che il progetto di professionalizzazione non diventi l'esca di sempre incombenti rigurgiti di "separatezza" giuridica tra il mondo civile e il mondo militare. L'impresa militare, se saprà investire bene sulla civiltà giuridica, ne guadagnerà in legittimazione di fronte anzitutto ai suoi stessi componenti, e quindi incrementerà anche la propria produttività, mentre porrà così condizioni imprescindibili all'acquisizione di consenso sociale.
Tuttavia, sarà difficile raggiungere questi obiettivi, se non si dimostrerà che a livello individuale, nonché collettivo, esistono davvero quel senso di responsabilità e quella consapevole partecipazione che vorrebbero sostanziare l'odierna versione giuridica dello spirito militare, all'insegna dell'assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane. Sotto questo profilo, l'efficienza dello strumento militare richiede che si evitino esasperazioni e strumentalizzazioni dell'eventuale conflittualità, nonché pretese irrealizzabili da parte dell'azienda o da parte del personale, e modelli concepiti per realtà nient'affatto omogenee. Allo scopo può servire una sapiente poroceduralizzazione dei conflitti, orientata però effettivamente alla composizione partecipata e responsabile, e non alla burocratizzazione gerarchizzata atrasparente. La c.d. istituzionalizzazione del dissenso è incompatibile con lo spirito democratico.
D'altra parte, sarebbe bene evitare di dover prendere lezioni da autorità internazionali o sovranazionali, dal momento che sui lavoratori in servizio alle armi già si riflettono, a tacer d'altro, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e molte convenzioni internazionali giuslavoristiche che al più ammettono limiti soltanto all'esercizio delle libertà sindacali degli appartenenti alle Forze armate e ai Corpi di polizia . Ormai perfino il diritto comunitario interviene in ambito militare, ed è significativo che in sede comunitaria si adotti una nozione di "pubblica sicurezza" che prescinde da distinzioni tra sicurezza interna e sicurezza esterna, come ha sempre ribadito la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, la quale già più volte è entrata nel merito di questioni di rilevanza militare . Nell'ambito dell'Unione Europea, laddove di recente è sorta la Forza di Reazione Rapida Europea, le forze armate (davvero) europee dovrebbero fin dall'inizio godere di uno statuto che ne chiarisse trasparentemente compiti e limiti, quindi i diritti e i doveri che il cittadino europeo (militare e no) vanta al riguardo, secondo i principi sanciti dall'articolo 6 (in part., co. 1 e 2) del Trattato UE. E così pure dicasi per la polizia europea che al contempo sta vieppiù sviluppando i propri poteri, oltretutto senza che ne siano chiari i limiti .
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