Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Problemi attuali del diritto internazionale penale :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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CONVEGNO DI STUDI GIURIDICI
PADOVA, 30 NOVEMBRE 2000

Diritto e Forze armate. Nuovi Impegni

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario.
Regione Militare Nord.

Testi provvisori; trascrizioni non ufficiali.
Tutti gli interventi sono leggibili e scaricabili cliccando qui.

Si ringrazia Silvio Riondato (www.riondato.com) per la disponibilità. Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2000

 
Sommario

Nell'attuale momento storico il processo di elaborazione di un sistema di giustizia penale internazionale mira anzitutto a predisporre norme pattizie dirette a prevenire e reprimere fenomeni di criminalità transnazionale e internazionale , conseguendo anche una certa uniformità dei sistemi penali nazionali.

 
Indice dei contenuti
 
1. Cenni introduttivi sui rapporti fra diritto penale internazionale e diritto internazionale penale.- 2. Lo sviluppo di un sistema di giustizia penale internazionale in funzione di lotta ai fenomeni di criminalità transnazionale e internazionale. Il contesto giuridico universale....- 3. (segue) e quello regionale: il Consiglio d'Europa e l'Unione europea.- 4. Lo sviluppo di un sistema di giustizia penale internazionale attraverso l'enucleazione della nozione di crimine di diritto internazionale ...- 5. (segue) e di responsabilità penale internazionale individuale.- 6. La repressione dei crimini di diritto internazionale: il sistema di giustizia indiretta.- 6.1. Gli ostacoli di natura oggettiva: la qualificazione del conflitto e delle fattispecie penalmente rilevanti.- 6.2. (segue) Gli ostacoli di natura soggettiva: la nazionalità del presunto responsabile e il regime delle immunità dalla giurisdizione penale.- 6.3. (segue) I limiti di natura territoriale: la presenza del presunto responsabile sul territorio dello Stato che procede.- 6.4. (segue) I limiti di natura temporale: la prescrizione.- 6.5. (segue) L'indeterminatezza delle norme internazionali di diritto umanitario. Le responsabilità dei legislatori nazionali.- 7. La concorrenza delle corti internazionali nell'esercizio della funzione repressiva e la loro collocazione rispetto alle corti nazionali: priorità e complementarità.- 8. La cooperazione fra autorità nazionali e corti penali internazionali.- 9. Qualche breve considerazione conclusiva.
 
Abstract
 

1. Sono, questi, anni che hanno portato tasselli preziosi al consolidamento e all'affinamento di quel sistema normativo - il diritto internazionale penale - costituito dalle norme giuridiche relative alla repressione delle violazioni del diritto internazionale di rilevanza penale commesse da individui. Penso in particolare alla prassi nazionale e internazionale che si è sviluppata nel corso degli anni Novanta come reazione a fatti di genocidio, di "pulizia etnica", di sparizione di persone, in genere di violazioni sistematiche o massicce di diritti umani: questa reazione ha la sua forse più evidente manifestazione in un meno sporadico ricorso all'incriminazione di comportamenti individuali di fronte alle corti interne, nonché nella creazione di tribunali internazionali ad hoc e al disegno di una corte penale internazionale permamente. A tale prassi si accompagnano fatti di minor risonanza ma non per questi meno concludenti, qual è tra l'altro l'impulso dato ai lavori della Commissione del diritto internazionale sul fronte della codificazione del regime della responsabilità sia individuale che statale per la commissione di fatti illeciti particolarmente gravi.
Ora, nonostante il titolo (che evoca una realtà ben più vasta), questa mia relazione ha uno scopo meno ambizioso e più limitato: quello di suscitare qualche riflessione sui contesti giuridici internazionali nei quali oggi emergono questioni di diritto internazionale penale.
Qualche osservazione di carattere preliminare mi sembra utile prima di entrare nel vivo del discorso.
Non considero necessario in questa sede approfondire la distinzione fra diritto penale internazionale e diritto internazionale penale. Tuttavia, per chiarire il contesto nel quale si situa questo mio intervento, mi sembra sufficiente osservare che questi due sistemi normativi si diversificano per l'oggetto, lo scopo e le fonti della rispettiva disciplina. Il primo coordina le sovranità statali in materia penale, in funzione di tutela dell'ordine sociale interno sulla base di norme di origine sia interna che internazionale; il secondo si propone di qualificare come crimini alcuni comportamenti individuali che violano il diritto internazionale al fine di garantire la pacifica convivenza nella comunità internazionale e i superiori interessi di carattere umanitario sulla base di norme esclusivamente di origine internazionale . Ma, nonostante questa diversità, fra i due sistemi normativi esistono rapporti stretti, se non altro sul piano funzionale: il diritto penale internazionale "serve" il diritto internazionale penale, contribuendo allo sviluppo progressivo della giustizia penale internazionale, obiettivo perseguito da entrambi i sistemi .
E' necessario tuttavia rilevare la tendenziale inconciliabilità fra l'area del penale e l'area del diritto internazionale: la prima imperniata sulla verticalità dei rapporti fra società civile e autorità preposta alla tutela di interessi collettivi, la seconda tradizionale baluardo della sovrana eguaglianza dei suoi soggetti. Non a caso il diritto internazionale penale è stato per lungo tempo un sistema imperfetto: le sue norme sono considerate idonee a stabilire il precetto, ma non la sanzione, tradizionalmente rimessa alla determinazione degli Stati, che vi provvedono conformemente alla politica criminale propria dei rispettivi ordinamenti giuridici. Tale inconciliabilità trova oggi un affievolimento attraverso modalità repressive attuate anche in via diretta , grazie all'operare di quelle corti internazionali alle quali si è appena prima fatto riferimento.

2. Nell'attuale momento storico il processo di elaborazione di un sistema di giustizia penale internazionale mira anzitutto a predisporre norme pattizie dirette a prevenire e reprimere fenomeni di criminalità transnazionale e internazionale , conseguendo anche una certa uniformità dei sistemi penali nazionali. Tale duplice obiettivo viene conseguito attraverso l'incriminazione di talune condotte individuali - quindi ponendo norme internazionali che condizionano il diritto penale sostanziale nazionale - e che obbligano gli Stati a una collaborazione reciproca sul piano dell'assistenza giudiziaria penale.
Ne sono manifestazione le numerose convenzioni elaborate a livello universale. Solo esemplificativamente ricordo il nutrito gruppo di strumenti destinati a criminalizzare gli atti contro la sicurezza della navigazione aerea e marittima , quelli relativi alla schiavitù , alla tratta di persone, in particolare donne e bambini , alla tortura , ovvero ai comportamenti che - con livelli di gravità diversi - violano il diritto dei conflitti armati ; e, nel contempo, stabiliscono norme procedurali che pongono obblighi e limiti della cooperazione nella consegna dei responsabili (o dei presunti tali), nella ricerca delle prove, ecc.

3. (segue) In un contesto regionale ricordo anzitutto l'attività del Consiglio d'Europa, foro di concertazione fra gli Stati anche per l'elaborazione di convenzioni in materia penale, che rappresentano per tanti aspetti una specificazione di quanto prodotto nel contesto universale per esempio in materia di criminalizzazione delle pratiche di terrorismo , di traffico di sostanze stupefacenti , di pratiche di tortura , nonché in materia di assistenza giudiziaria fra autorità di Stati stranieri .
Più significativamente incisivo e d'attualità è l'ambito di cooperazione regionale che coinvolge i Paesi membri dell'Unione europea. Da una parte infatti esso si avvale della forza del diritto comunitario, un sistema normativo che ha una "presa diretta" in via quotidiana sulle persone fisiche e giuridiche: pur mancando le Comunità di una competenza penale in senso stretto , è tuttavia indubbio che esse abbiano saputo negli anni manifestare una "efficacia espansiva" sul diritto penale degli Stati membri attraverso tecniche diverse, quali l'assimilazione e l'armonizzazione . Da un'altra parte, tale sistema è suscettibile di sviluppi interessanti grazie al collegamento con l'ambito della cooperazione intessuta nel cosiddetto terzo pilastro dell'Unione europea. La creazione di "uno spazio di sicurezza, giustizia e libertà" investe anche il diritto penale, sia sostanziale che processuale, obbligando gli Stati alla cooperazione in materia di prevenzione e repressione di fatti criminosi, elencati certo esaustivamente, ma in maniera molto lata. In quest'ambito alla tecnica dell'armonizzazione si affianca quella dell'unificazione: "la progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni" , nonché "una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie e altre autorità competenti degli Stati membri" per facilitare e accelerare l'utilizzo degli istituti che appartengono all'assistenza giudiziaria penale è raggiunta con misure del Consiglio dell'Unione a portata vincolante , utili a conseguire talune (le decisioni-quadro) lo scopo dell'armonizzazione, altre (le convenzioni e le decisioni) quello dell'unificazione. In particolare, Convenzioni quali quelle contro le frodi agli interessi finanziari delle Comunità o contro la corruzione stabiliscono fattispecie penali uniformi e semplificano le procedure di cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri dell'Unione : pur restando la sanzione nelle mani delle autorità nazionali, la condotta vietata è posta da norme dell'Unione stessa, la quale per taluni aspetti si avvia a conformarsi al pari di un unico spazio giudiziario .

4. Rimanendo all'interno dello stretto ambito del diritto internazionale penale, ciò che emerge da questa prassi sinteticamente ricordata è anzitutto il consolidamento del concetto di crimine internazionale dell'individuo, di quel comportamento individuale che pregiudica direttamente la comunità internazionale (perché suscettibile di violare la pace e la sicurezza internazionali) o l'intera umanità (perché suscettibile di pregiudicare valori umanitari).
Tale concetto emerge nitidamente dal progetto di Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità , nonchè dagli Statuti dei due Tribunali ad hoc e della Corte penale internazionale.
Il sistema si basa essenzialmente sulla distinzione fra core crimes e crimini sui quali non si è ancora cristallizzato il consenso diffuso della comunità internazionale. I primi - diffusamente denominati delicta juris gentium - originano dalla codificazione attuata con gli Statuti dei Tribunali di Norimberga e di Tokyo, che tiene conto della distinzione fra le tre - o forse ormai quattro, se si vuole riconoscere autonomia ai fatti di genocidio - figurae criminis accolte dal diritto internazionale generale: i crimini contro la pace, i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità.
I secondi sono oggi solo previsti da trattati settoriali, i quali riguardano per esempio il traffico di sostanze psicotrope, il terrorismo, l' apartheid, ecc. Si ritorna, dunque, al discorso appena sopra accennato circa i tentativi di criminalizzare talune condotte attraverso norme pattizie a portata universale o regionale.
Mi permetto di evocare soltanto le problematiche sottostanti, senza dilungarmi su di esse, in particolare sulla distinzione fra crimini di diritto internazionale e illeciti particolarmente gravi commessi dallo Stato per i quali dalla dottrina è anche utilizzata l'espressione di "crimine internazionale" , sulla individuazione delle singole fattispecie e sul collegamento tra di esse .

5. A seguito della enucleazione dei core crimes è emerso il concetto di responsabilità penale individuale. Grazie al "diritto di Ginevra" in materia di crimini di guerra e ad altra prassi internazionale conforme precedente e successiva, si è saldamente radicata la convinzione che la commissione di crimini di diritto internazionale comporti la responsabilità penale personale dell'individuo-organo che agisce per lo Stato, ovvero - ma l'ipotesi è residuale anche se non del tutto esclusa - dell'individuo che agisce a titolo personale . Si tratta di una responsabilità penale personale che si fa valere sul piano internazionale sempre attraverso la mediazione dello Stato, sia che essa rilevi di fronte a una corte interna piuttosto che ad un organo giudiziario internazionale , e che tuttavia non per questo filtro perde spessore.
Peraltro tale responsabilità non è suscettibile di assorbire quella propria dello Stato in quanto soggetto di diritto internazionale. Appunto nella consapevolezza che i crimini di diritto internazionale non sono quasi mai il frutto di un'iniziativa individuale, isolata, ma sono piuttosto l'espressione di un'attitudine dell'apparato statale nella sua interezza , lo Stato stesso è chiamato a rispondere di queste violazioni direttamente, sul piano dei rapporti interstatali, secondo un regime giuridico che ha visto un imponente sforzo di codificazione nel progetto infine predisposto dalla Commissione del diritto internazionale dell'Assemblea Generale delle NU nella sua cinquantaduesima sessione . Tale testo - pur non utilizzando più rispetto alle bozze precedenti l'espressione di "crimine internazionale" - propone la codificazione di una figura qualificata di illecito internazionale - "serious breach of essential obligations to the international community" -, perché suscettibile di pregiudicare un bene, un valore, un interesse avvertito insieme come fondamentale e proprio della Comunità internazionale nel suo complesso e perché il pregiudizio ad essi portato è significativamente grave. Per esso, a motivo della rilevanza dell'obbligo violato, si ipotizza un regime della responsabilità non solo aggravato, ma organizzato strutturalmente in modo differente quanto alla individuazione dei soggetti lesi, delle conseguenze - aggiuntive rispetto al tradizionale regime della responsabilità - derivanti dalla commissione dell'illecito, degli obblighi posti a carico di tutti gli altri Stati nei confronti dell'autore della violazione . Alla base di questo regime giuridico si avverte l'insegnamento della Corte internazionale di giustizia, secondo la quale vi sono obblighi che lo Stato assume verso la comunità internazionale nel suo complesso e altri nei confronti di uno o più altri Stati; e che tale diversa portata determina una differente responsabilità a carico di chi viola l'obbligo stesso .

6. Quanto dunque alle modalità secondo le quali la responsabilità penale individuale viene fatta valere, spetta agli Stati determinare le modalità più utili, individuando il piano - quello interno, del proprio ordinamento, ovvero quello internazionale - volta a volta più efficace. Ciò significa dire, con altre parole, che in via di principio nulla impedisce che il sistema repressivo dei crimini di diritto internazionale si articoli sulla concorrenza di corti interne (sistema indiretto) e di corti internazionali (sistema diretto). Quando infatti si dice che le infrazioni gravi del diritto internazionale umanitario sono di international concern, ciò si dice per affermare - attraverso un procedimento di astrazione - che queste infrazioni, violando un bene della comunità internazionale nel suo complesso, meritano un'attività repressiva a tutto campo che si articoli vuoi sull'esercizio della competenza penale interna secondo i tradizionali criteri di giurisdizione nonché su quello della universalità della giurisdizione penale, vuoi sull'attività di corti internazionali.
E' comunque indubbio che la responsabilità principale per la repressione dei crimini di diritto internazionale è collocata principalmente in capo agli Stati. In questo senso depone un dato di struttura dell'attuale comunità internazionale, formata da comunità politiche (gli Stati) che, in via pressoché esclusiva, sono sovraordinati agli individui e che, in questo caso sempre in via esclusiva, detengono "la struttura organizzativa e coercitiva necessaria per l'esercizio in concreto di un'attività punitiva e per l'esecuzione della pena" . E' dunque vero che dal corretto funzionamento degli ordinamenti interni degli Stati dipende in massima parte il rispetto del diritto internazionale umanitario e, conseguentemente, l'attività di repressione delle sue violazioni: attività alla quale gli Stati devono far fronte con le proprie corti penali.
La giustizia in questo settore viene dunque amministrata secondo un sistema indiretto.
Al proposito occorre tener conto di alcuni princìpi di diritto internazionale. Il primo di questi è ricavabile dalla giurisprudenza della Corte permanente di giustizia internazionale intervenuta nel caso Lotus e attiene alla determinazione della sfera della giurisdizione penale di ciascuno Stato: essa è rimessa alla scelta di quest'ultimo, che è in via di principio libero di estendere la propria giurisdizione anche a fatti non avvenuti sul proprio territorio, o a beni e persone ivi non presenti . La giurisdizione insomma si presume esistente all'atto in cui lo Stato la esercita, a meno che il suo esercizio in concreto non confligga con un altro principio di diritto internazionale, quale quello del rispetto della sovranità altrui. Tale libera determinazione si manifesta nella scelta dei criteri di giurisdizione, suscettibili di creare un collegamento fra l'ordinamento nazionale e un fatto o una situazione, in assenza del quale l'esercizio della giurisdizione sarebbe illegittimo.
Aiuta in parte a risolvere i conflitti positivi di giurisdizione che, in conseguenza di tale libera determinazione, potrebbero porsi (e in fatto si pongono) il criterio del "genuine link", che la Corte internazionale di giustizia ha indicato come utile strumento per individuare fra più ordinamenti nazionali in astratto titolati ad esercitare la propria giurisdizione - nel caso di specie: ad agire in protezione diplomatica -, quello più strettamente collegato con la situazione .
Quando i fatti penalmente rilevanti "are universal in nature (...) transcending the interest of any one State" , quando cioè il criterio giurisdizionale consista nell' international concern della situazione o del bene da proteggere -, la "chiave di volta" dovrebbe essere costituita da quel fondamentale principio espresso oggi esclusivamente in relazione alle infrazioni gravi del diritto dei conflitti armati dall'art. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e al I Protocollo addizionale. Secondo tale principio su ciascuna Parte contraente di tali strumenti incombe la responsabilità di "rispettare e far rispettare" in ogni circostanza le disposizioni del diritto dei conflitti armati stesso. L'art. 89 del I Protocollo addizionale aggiunge spessore a questo precetto con la precisazione che l'obbligo di reagire di fronte a violazioni gravi del diritto internazionale umanitario deve avvenire in cooperazione con le Nazioni Unite .
Lo schema concettuale che emerge da questo disposto normativo è certamente quello stesso delineato dalla Carta delle Nazioni Unite - precisamente dagli articoli 1, 55 e 56 relativi alle modalità di tutela dei diritti umani - a proposito del quale è stato opportunamente osservato che "le norme internazionali costituiscono oggetto di un obbligo di attuazione da parte degli Stati individualmente, ma anche congiuntamente e in collaborazione con l'organizzazione internazionale, sia che questo avvenga all'interno della struttura delle Nazioni Unite, sia che possa avvenire al di fuori di tale struttura (...)" .
Tuttavia il sistema della repressione indiretta presenta limiti gravi che ne rendono assai difficile il suo funzionamento.
La prassi in materia di attività repressiva nei confronti di presunti responsabili di crimini di guerra nonché di altri delicta juris gentium è scarsa dal punto di vista quantitativo e scarna sotto il profilo contenutistico : fin dall'entrata in vigore del "diritto di Ginevra" (o degli strumenti pattizi volta a volta pertinenti, per esempio in tema di genocidio, tortura, persecuzioni su basi politiche, razziali, religiose o etniche, schiavitù, presa di ostaggi) le corti interne hanno incontrato ostacoli pressoché insormontabili a giudicare i presunti responsabili almeno fino ad anni recentissimi quando alcuni Paesi si sono determinati a conformare il proprio ordinamento al diritto internazionale .
Anche nei casi in cui il criterio della universalità della giurisdizione penale è normativamente stabilito, esso incontra ostacoli pressochè insormontabili: è accolto in pochi ordinamenti giuridici nazionali e anche in questi emerge l'attitudine singolarmente lineare a limitarne in vario modo il suo utilizzo. Occorre infatti precisare che il diritto internazionale oggi vigente afferma un obbligo pieno ed incondizionato dello Stato all'esercizio della giurisdizione penale in virtù del solo criterio della universalità della giurisdizione penale - dunque in assenza di qualsivoglia altro collegamento con l'ordinamento dello Stato che amministra la giustizia penale- esclusivamente in relazione alle cosiddette infrazioni gravi del diritto internazionale umanitario nell'occasione dei conflitti armati internazionali .
Restano escluse da questo regime le infrazioni gravi commesse nei conflitti armati interni perché il diritto di Ginevra non ne contempla l'esistenza , le violazioni gravi e le altre violazioni messe in atto in conflitti armati vuoi interni vuoi internazionali . E restano pure esclusi i crimini contro l'umanità, nonché il genocidio, in relazione ai quali ai sensi del diritto internazionale generale resta fermo il principio che accorda la facoltà dell'attività repressiva anche sulla sola base del criterio dell'universalità della giurisdizione penale, entro il ricordato limite del rispetto della sovranità degli altri Stati . Questo principio si accompagna - trovando in esso un rafforzamento - a disposizioni pattizie che mai accolgono il criterio della universalità della giurisdizione penale allo stato puro, talvolta avvicinandocisi molto, ovvero - come è stato osservato - accogliendolo in fatto, come accade nella Convenzione del 1973 per la prevenzione e repressione dei crimini contro agenti diplomatici ed altre persone protette; o nelle Convenzioni sulla sicurezza marittima ed aerea rispettivamente del 1988 e del 1970-1971 : in questi accordi infatti è stato posto l'obbligo - non la mera facoltà (come stabilito viceversa nelle Convenzioni contro il genocidio: art. VI, e contro l' apartheid: art. V) - della repressione "a carico, alla fin fine, di tutti gli Stati che concretamente hanno gli strumenti per esercitarla" .

6.1. La carenza di giurisdizione in materia, ovvero l'impossibilità di ricorrere al criterio della universalità della giurisdizione penale, è stata anzitutto motivata sulla base di criteri oggettivi, materiali.
Un primo ostacolo a questo proposito è opposto in ragione della qualificazione del conflitto quale fatto internazionalmente rilevante piuttosto che quale conflitto interno o, ancor più, quale mera "azione di polizia". Nella seconda delle ipotesi in oggetto la cognizione del crimine è sottratta alla disciplina relativa ai conflitti armati internazionali e trova applicazione l'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra nonchè il II Protocollo aggiuntivo che non riconoscono l'esistenza in "infrazioni gravi" per la repressione delle quali si debba agire secondo il criterio della universalità della giurisdizione. Nella terza ipotesi, poi, la situazione è sottratta interamente all'apprezzamento delle norme internazionali, ricadendo entro la sfera della domestic jurisdiction nazionale; è stato per esempio questo l'argomento addotto fino alla metà degli anni Novanta dalle giurisdizioni penali olandesi per dichiarare non applicabile il diritto di Ginevra alle azioni compiute fra il 1945 e il 1949 dalle forze armate nazionali in territorio indonesiano nei confronti di quel popolo .
La questione relativa alla qualificazione del conflitto è peraltro uno scoglio ricorrente. Basti pensare al disposto chiarissimo dell'art. 8 dello Statuto della Corte penale internazionale là dove esso distingue fra conflitto armato internazionale e interno, disponendo nelle due ipotesi la competenza della Corte ma contestualmente precisando (lett. d e lett. f) che la disciplina contemplata per la seconda ipotesi non deve intendersi applicabile alle situazioni di conflitto "di bassa intensità". Di conseguenza, nel corso della quarta sessione della Commissione preparatoria costituita al fine di adottare la disciplina di esecuzione dello Statuto necessaria al funzionamento della Corte stessa, proprio facendo perno su questa disposizione alcune delegazioni nazionali hanno tentato di ridurre l'ambito delle competenze della Corte, avendo evidentemente di mira l'estensione dell'ambito della propria domestic jurisdiction .
Sempre dal punto di vista oggettivo emergono anche altri problemi, forse meno gravi perché più facilmente risolvibili sulla base di un'attività di adattamento più attenta al disposto della norma internazionale. Penso per esempio alla situazione venutasi a creare nel Regno Unito a seguito della (pur apprezzabile) approvazione del War Crimes Act 1991: l'incorporazione delle Convenzioni di Ginevra e dei Protocolli aggiuntivi non è stata esaustiva, tanto è vero che le corti inglesi sono titolate ad esercitare l'azione penale sulla base del criterio della universalità della giurisdizione solamente per atti criminosi che abbiano avuto conseguenze letali (murder, manslaghter, homicide), commessi in territorio tedesco o in territori occupati da forze armate tedesche, nel periodo compreso fra il 1939 e il 1945 . Restano dunque esclusi dall'attività di repressione, se non altro, crimini anche gravi che non abbiano avuto conseguenze letali, o che siano stati commessi dalle forze armate giapponesi o della stesse forze armate alleate contro prigionieri tedeschi, o ancora commessi dalle forze armate di Stati (non occupati ma) governati da Governi fantoccio controllati dal regime nazionalsocialista tedesco; senza contare che restano esclusi tutti i crimini di guerra commessi dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Anche la legislazione francese ha determinato non poche difficoltà all'esercizio dell'azione penale nei confronti di responsabili di delicta juris gentium: penso per esempio alla giurisprudenza intervenuta nel caso Boudarel , che pure ha visto sentenze non concordanti sul punto. A motivo della legislazione allora vigente in materia (il decreto n. 45-2267 del 6 ottobre 1945 e la legge n. 64-1326 del 26 dicembre 1964), tale qualifica poteva essere riconosciuta (secondo la Corte di Cassazione francese) soltanto a fatti avvenuti anteriormente all'8 agosto 1945 "commis pour le compte des pays européens de l'Axe", "qu'ils procèdent d'un plan concerté de réalisation d'une politique d'hégémonie idéologique dont sont victimes tous ceux qui, par quelque moyen, s'y opposent" . Fatti che sfuggano a queste caratteristiche di tempo, di luogo, di circostanze e di persona non possono essere qualificati crimini contro l'umanità né ai sensi del "diritto di Norimberga", né ai sensi delle nuove norme del codice penale, le quali dispongono solo per il futuro.

6.2. Ancora, dalle Corti nazionali sono state opposte eccezioni all'esercizio della giurisdizione penale derivanti dalla qualità della persona presunta responsabile.
E' emerso anzitutto un problema legato alla nazionalità di quest'ultima; penso in particolare alla situazione che si è venuta a creare nelle Repubbliche nate dallo smembramento della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, le quali tutte si sono dotate di una legislazione che contempla la repressione dei crimini di diritto internazionale senza ulteriormente specificare: si è viceversa osservato come la prassi giudiziaria di quest'ultimo decennio confermi un uso discriminatorio della normativa, essendo perseguiti non i nazionali ma gli stranieri e, nella Bosnia-Erzegovina, oltre a questi i soli nazionali appartenenti a gruppi etnici minoritari . In Francia è giudizio diffusamente condiviso che solo con l' affaire Touvier - chiusosi nel 1994 - si sia significativamente imboccata la direzione di un egual trattamento di cittadino e straniero.
Un'altra situazione che ha impedito l'esercizio della giurisdizione in conseguenza della qualità della persona presunta responsabile è costituita dal regime di immunità suscettibile di proteggerla; regime che, per inciso, rappresenta uno dei punti più seriamente dissonanti anche all'interno dello Statuto della Corte penale internazionale, là dove, nonostante il disposto chiaro e inequivocabile dell'art. 27, si stabilisce che la Corte debba tenere un'attitudine di self-restraint, astenendosi dal domandare la cooperazione e l'assistenza dello Stato parte contraente dello Statuto in relazione a beni e persone appartenenti a Stati terzi che siano protetti da immunità, a meno che non sia intervenuto il consenso di quest'ultimo Stato . Un qualche progresso è in verità stato compiuto con la seconda decisione dei Law Lords nel caso Pinochet: l'House of Lords ha infatti stabilito che gli atti gravemente lesivi della dignità della persona - nel caso di specie si trattava di pratiche di tortura, - non sono atti che rientrano nelle funzioni di un Capo di Stato e, dunque, non sono coperti dal regime dell'immune dalla giurisdizione .
L'argomento relativo alla immunità della giurisdizione della persona che ricopre una pubblica funzione è usuale motivo per invocare il non legittimo esercizio della giurisdizione penale. Basta in questa sede ricordare che, in corso di pubblicazione di questo contributo, la Repubblica del Congo ha presentato un ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia contro il Regno del Belgio perché venga ritirato un mandato internazionale di cattura emesso da un giudice belga nei confronti del Ministro degli esteri congolese per aver presuntivamente commesso crimini di guerra e crimini contro l'umanità nel corso del conflitto ruandese: l'illegittimo esercizio della giurisdizione belga - fondata sulla universalità della giurisdizione penale ai sensi dell'art. 7 della legge 16 giugno1993 - è invocato proprio sulla base dell'immunità dalla giurisdizione di cui godrebbe il Ministro congolese anche nel'esercizio di atti che non possono essere ricompresi nella funzione pubblica (oltre che a motivo della non presenza sul territorio del Regno del Belgio del presunto responsabile) .

6.3. All'operare del criterio della universalità della giurisdizione penale è stato opposto in molte occasioni il fatto che la persona contro la quale si vorrebbe procedere non sia presente sul territorio nazionale, o - più ancora - non sia già stato appresa dalle autorità interne. E' questo un ostacolo favorito dal dettato di alcune Convenzioni internazionali che si occupano della repressione di crimini contro l'umanità, quale quella predisposta nell'ambito delle NU per reprimere i fatti di tortura . Ad esse si adeguano la normativa interna , la giurisprudenza - pur se con qualche voce dissenziente - e parte autorevole della dottrina anche in materia di crimini di guerra ove il disposto normativo è più chiaro nel senso di non porre condizione alcuna all'utilizzo del criterio della universalità della giurisdizione.
Proprio per testimoniare il radicamento nel comune convincimento del criterio della già avvenuta apprensione del presunto responsabile come base legittimante l'esercizio della giurisdizione penale - e sebbene nel caso non si trattasse di far operare il criterio della universalità della giurisdizione penale, bensì di vanificare la primazia e la stessa legittimità di una corte internazionale rispetto alle corti interne - desidero ricordare che a questo criterio, congiuntamente a quello relativo al luogo di commissione dell'illecito, si è appigliata la difesa di un imputato eccellente - Dusko Tadic - già consegnato al Tribunale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia, per tentare di sostenere l'illegittimo esercizio della giurisdizione da parte di una corte che - si disse - se avesse proceduto, avrebbe violato la domestic jurisdiction rispettivamente della Repubblica federale tedesca e della Bosnia-Erzegovina .
L'argomento della presenza sul territorio dell'individuo presunto responsabile, ovvero della sua già avvenuta apprensione da parte delle autorità nazionali, confligge in modo grave con il "diritto di Ginevra": l'obbligo ivi posto di rispettare e far rispettare il diritto dei conflitti armati è infatti concretizzato dalla previsione che - sulla base di un'attività normativa di adattamento dell'ordinamento interno compiuta dal legislatore volta a vietare le infrazioni gravi del diritto internazionale umanitario e a stabilire per esse le opportune sanzioni - le corti giudichino i presunti responsabili, ovvero collaborino con le autorità giudiziarie straniere, "dando" o sulla base delle altre modalità secondo le quali si articola l'assistenza giudiziaria internazionale; ed è per questo scopo che essi devono essere ricercati anche all'estero, se necessario, sempre nel rispetto delle norme e dei princìpi di diritto internazionale . Quest'attività di ricerca è infatti prodromica all'obbligo aut dedere aut judicare.
Per inciso mi sembra il caso di osservare che questo brocardo - entrato nel patrimonio della scienza giuridica internazionale in virtù del pensiero dei padri fondatori di questa disciplina - non deve essere interpretato come suscettibile di indicare, fra le due attività, un ordine di priorità predeterminato in astratto : penso infatti che si tratti volta a volta di stabilire quale fra i due (o più) ordinamenti che si dichiarano competenti a giudicare di uno stesso fatto sia in concreto il più competente sulla base del già sopra ricordato criterio del genuine link. In altre parole: ai fini della migliore amministrazione della giustizia si tratta, caso per caso, di verificare se sia più costruttivo celebrare un procedimento nel Paese che chiede la consegna della persona perché là è avvenuto il fatto, o perché là vi sono prove e testimonianze facilmente utilizzabili, piuttosto che in un Paese che agisce sulla base del criterio della universalità della giurisdizione penale nei confronti di una persona, vuoi già presente sul proprio territorio vuoi richiesta (o da richiedere) allo Stato di rifugio.

6.4. A stabilire la non punibilità di un fatto quale crimine di guerra o crimini contro l'umanità è talvolta servito il regime sulla prescrittibilità dei delicta juris gentium vigente in gran parte degli Stati, anche a motivo dell'incertezza relativamente alla esistenza di una norma internazionale generale che disponga diversamente e della limitatissima applicazione che ha trovato sino ad oggi l'unica convenzione internazionale in vigore .
Proprio l'incertezza del quadro normativo determina l'oscillare della giurisprudenza in materia. Ricordo per esempio la tormentata vicenda giudiziaria che ha avuto come protagonisti due esponenti delle forze armate tedesche operanti in Italia nel corso della seconda guerra mondiale, Erik Priebke e Karl Hass. Con una prima decisione il Tribunale militare di Roma accolse l'argomento dell'avvenuta prescrizione dei crimini contro l'umanità per i quali si procedeva penalmente: l'art. 157 del codice penale è stato infatti allora interpretato come implicante l'imprescrittibilità soltanto per i reati effettivamente puniti (e non solamente in astratto punibili) con la pena dell'ergastolo ; ma la successiva sentenza dichiarò invece l'imprescrittibilità dei reati per i quali si procedeva in virtù dell'operare di un principio generale dell'ordinamento internazionale di natura cogente che ricollegherebbe questo effetto al mero fatto della punibilità di certi delitti con la pena dell'ergastolo .
Le corti francesi hanno viceversa concordemente escluso, per esempio nel caso Georges Boudarel, che ai fatti verificatisi fra il novembre 1952 e il gennaio 1954 potesse applicarsi il regime dell'imprescrittibilità; ciò proprio a motivo dell' "absence de disposition expresse sur ce point, tant en droit international qu'en droit interne" .

6.5. Risulta dalla prassi così sinteticamente esposta che l'impossibilità ovvero la grande difficoltà di procedere penalmente nell'attività di repressione dei delicta juris gentium non è principalmente frutto dell'inerzia dei giudici. Questi ultimi devono tra l'altro fare i conti con norme internazionali generiche, vaghe, indeterminate, che pongono problemi sia sul fronte della loro rilevazione come su quello della loro interpretazione.
Quanto anzitutto alle norme di diritto internazionale scritto - pattizie o di soft law - emerge la prassi ad utilizzare espressioni generiche quali sono per esempio quelle di "exceptionally serious war crimes" , "violations of the laws or customs of war" , "serious violations" , "grave breaches" : ci si può al proposito domandare se tutte queste espressioni coincidano con il termine generico di crimine di guerra che la dottrina diffusamente utilizza, cioè se per identificare le stesse situazioni si usino, nei diversi strumenti giuridici, differenti locuzioni; o se viceversa - come sostiene la Commissione del diritto internazionale e non poca dottrina - il regime della responsabilità sia diverso in particolare per le serious violations rispetto alle grave breaches del diritto di Ginevra, e dunque se le due situazioni non siano coincidenti e implichino anche un diverso regime di punibilità. Peraltro è lo stesso termine di "crimine" a essere reputato "elusive" in quanto "it has different meanings in different penal law systems" .
Come emerge dalla giurisprudenza nazionale - in ciò favorita dallo stesso disposto dell'art. 6 dello Statuto per il Tribunale di Norimberga - non esiste nemmeno chiarezza quanto ai confini fra le diverse figurae criminis, in particolare fra crimini di guerra e crimini contro l'umanità: apartheid, tortura e deportazione sono per esempio fatti che possono prestarsi a qualificazioni diverse ; e la scarsità della prassi non ha aiutato ad elaborare criteri certi, tanto che numerosi sono gli indicatori che volta a volta sono stati accolti dalla dottrina e dalla giurisdprudenza per qualficare un fatto come crimine di guerra piuttosto che come crimine contro l'umanità .
Né esistono disposizioni internazionali che determino i criteri di punibilità indicando così al giudice nazionale la via per la determinazione della pena. Quest'operazione, come quella di individuare il modo più adeguato per far cessare le violazioni del diritto umanitario, qualunque soglia esse raggiungano, è lasciata alla scelta di ciascuno Stato contraente.
Si riscontra infine l'impiego di disposizioni vaghe persino all'atto di determinare l'ambito di competenza ratione materiae di quella Commissione d'inchiesta stabilita sulla base dell'art. 90 del I Protocollo aggiuntivo del 1977 , che forse anche a motivo di ciò gli Stati non hanno ancora avvertito l'esigenza di utilizzare.
Se poi si osserva lo stato del diritto internazionale generale si deve iniziare con il rimarcare una sua caratteristica generale, che consiste nella sua essenzialità e sinteticità; caratteristica che certo non aiuta a rilevare e interpretare il disposto normativo, anche in funzione di meglio applicare il diritto pattizio. In particolare per la materia che qui ci occupa il fatto che - in modo salutare - tale diritto sia stato in grado di estendere in certa misura ai conflitti armati interni quanto stabilito dalle norme scritte per i conflitti armati internazionali non semplifica l'opera del giudice interno, che se mai vede complicato il proprio lavoro di rilevazione delle norme e delimitazione delle fattispecie rilevanti a motivo della non ancora consolidatissima prassi.
Non vi è dunque da stupirsi se il giudice nazionale stenta ad avventurarsi su un terreno così insidioso; se, quando lo fa, agisce in modo impacciato e contraddittorio; e se, infine, solo occasionalmente, pur di fronte a disposizioni precettive e complete in tutti i loro elementi, egli si arrischia a riconoscerne gli effetti diretti , come è avvenuto nel caso Barbie, dove la Corte di Cassazione francese, nel dispositivo della sentenza del 6 ottobre 1983, ha dichiarato di voler dare diretta applicazione al "diritto di Norimberga" ; o nel caso Pinochet, dove la House of Lords, con la già ricordata decisione del 24 marzo 1999, ha dichiarato che il divieto di infliggere atti di tortura come principio di diritto internazionale penale è norma direttamente efficace nell'ordinamento degli Stati .
Conclusivamente sul punto: l'esigenza di rispettare il principio di legalità - pur inteso in un'accezione sostanziale e non meramente formale - lega le mani al giudice che si trova a fronteggiare una situazione di assenza di una norma incriminatrice chiara, puntuale, ma soprattutto di assenza di una sanzione da ricollegare ad essa. Non stupisce quindi che il giudice decida di applicare il diritto interno, questo sì chiaro ma spesso non conforme agli impegni internazionali che lo Stato ha assunto .
A ben vedere la responsabilità di questo stato di cose è del legislatore interno e, prima ancora, del Governo che, avendo negoziato e sottoscritto convenzioni internazionali, ha poi il preciso compito di favorire l'adattamento ad esse dell'ordinamento interno con disposizioni che mettano al riparo lo Stato dal rischio di caricarsi di una responsabilità per violazione di quelle stesse norme. Si può anche accogliere una prospettiva, che io tendo a condividere, secondo la quale l'adattamento automatico (stabilito dall'art. 10 della Costituzione italiana per il diritto internazionale generale e predisposto con il procedimento dell'ordine di esecuzione per le disposizioni pattizie), pur nella sua "sinteticità", sia idoneo a creare le fattispecie penali interne corrispondenti a quante contemplate nella norma internazionale; e si può con una certa generosità arrivare ad ammettere che, nonostante l'indeterminatezza del disposto normativo internazionale, la qualificazione di certi comportamenti come delicta juris gentium sia oggi in molti casi incontrovertibile. Ma resta comunque insormontabile dalla prospettiva del rispetto del principio di legalità, l'ostacolo costituito dall'assenza nella norma internazionale della determinazione della pena, attività rimessa integralmente al legislatore interno, per adempiere la quale i procedimenti di adattamento automatico sono del tutto inidonei.
Occorre anche aggiungere una considerazione fondata sulla recentissima pratica di dare vita a tribunali internazionali: le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che hanno istituito i Tribunali ad hoc per giudicare dei crimini commessi nella ex-Jugoslavia e in Ruanda e lo Statuto di una Corte penale internazionale creano istituti giuridici nuovi, come è il caso esemplificativamente del trasferimento - che è cosa diversa dall'estradizione - della persona richiesta allo Stato dal tribunale internazionale stesso. L'adattamento automatico mostra in questi casi tutti i propri limiti, non essendo idoneo a stabilire nell'ordinamento interno le necessarie procedure. Sintomatica è stata la vicenda che hanno dovuto fronteggiare le autorità tedesche richieste nel 1994 dal Tribunale per la ex Jugoslavia della consegna di Dusko Tadic: a tale richiesta la Germania ha potuto aderire con oltre sei mesi di ritardo, dopo aver adottato la legge 31 marzo 1995 che dispone modalità procedurali e garanzie individuali utili a consentire lo svolgimento della cooperazione giudiziaria fra autorità tedesche e Tribunale . Al di là dell'esempio ricordato in realtà è tutto il principio della concorrenza fra corti interne e corti internazionali nel suo complesso a pretendere un adattamento ordinario al fine di "realizzare all'interno degli Stati [anzitutto] una uniformità di fattispecie penale [senza la quale] l'obbligo di cooperazione posto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dallo statuto della Corte penale internazionale opererà con estrema difficoltà" .

7. La concorrenza delle corti internazionali nell'esercizio della funzione repressiva - dunque il sistema della repressione diretta - è la conseguenza dell'inadeguatezza dimostrata dagli ordinamenti nazionali nel far fronte sia sul piano normativo che su quello giudiziario ad un'efficace repressione dei delicta juris gentium.
L'istituzione dei due Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda e la firma dello Statuto della Corte penale internazionale non contraddice l'assunto di partenza secondo il quale la responsabilità della repressione è anzitutto e principalmente affidata agli Stati. Queste corti sembrano piuttosto utili a esercitare un'attività promozionale del diritto in due diverse direzioni. Nei confronti delle autorità statali (sia legislative che giudiziarie) potrebbero funzionare da stimolo, obbligando ciascuna di esse, nel rispetto del proprio ambito di competenze, a prendere atto dell'ipotesi tutt'altro che astratta che un'istanza eteronoma rispetto all'ordinamento interno assuma l'iniziativa repressiva, rivelando proprio quell'inadeguatezza di cui si è detto; stimolo che potrebbe tradursi vuoi, finalmente, nell'adeguamento sul piano normativo del diritto interno al diritto internazionale, vuoi in un più stringente utilizzo degli strumenti giurisdizionali che pur sempre esistono, anche in assenza di un compiuto adattamento, se non altro sul piano della cooperazione giudiziaria . Inoltre già sin d'ora, e nonostante l'esigua prassi, l'attività di queste corti internazionali si è rivelata significativamente utile ai fini della rilevazione del diritto internazionale esistente e di una progressiva evoluzione di esso inducendo in definitiva effetti anche di tipo preventivo .
Vi è dunque una concorrenza in concreto tra corti interne e corti internazionale che al momento attuale si articola secondo due diversi princìpi.
I due Tribunali ad hoc detengono una posizione di prevalenza rispetto alle corti interne, in virtù dell'autorità che loro deriva dall'essere stati stabiliti con risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate sulla base del capitolo VII della Carta di San Francisco, rafforzata dal disposto dell'art. 103 della Carta stessa: a motivo di questa priorità essi sono titolati a richiedere formalmente alla corte nazionale in ogni fase del procedimento il trasferimento dello stesso alla loro competenza quando si tratti di giudicare su comportamenti che ricadono all'interno della loro sfera di competenza .
La futura Corte penale internazionale si trova invece situata rispetto alle giurisdizioni nazionali in una posizione di complementarità , ovvero - come alcuni preferiscono - di sussidiarietà . Essa ha infatti una competenza limitata ai "most serious crimes of international concern" , quando ricorrano alcune poche condizioni di ricevibilità, quali sono l'incapacità ("inability") o la non volontà ("unwillingness") dello Stato di esercitare la propria giurisdizione nei confronti del presunto responsabile di quei crimini .
La disposizione che accoglie il principio del ne bis in idem negli Statuti dei due Tribunali ad hoc come in quello della Corte penale internazionale, nel porre quest'ulteriore condizione di ricevibilità, accorda però anche alle corti internazionali una posizione di privilegio, potendo esse scartare l'applicazione di questo principio quando le corti nazionali abbiano giudicato sulla base di una qualificazione del fatto come reato comune, o in modo non imparziale , ovvero - ma questo motivo ricorre solo negli Statuti dei tribunale ad hoc - quando l'oggetto del procedimento concerna fatti o situazioni giuridiche che hanno un'incidenza diretta sulle indagini o sulle accuse portate davanti alle Corti internazionali .
E' dubbio che la futura Corte penale internazionale sarà messa in grado di agire secondo il criterio della universalità della giurisdizione penale. In linea generale ciò non dovrebbe potersi verificare dal momento che - pur essendo la giurisdizione della Corte automaticamente operativa per il solo fatto della partecipazione dello Stato allo Statuto - l'attivazione di essa è condizionata all'esistenza di uno dei due links stabiliti (locus commissi delicti e cittadinanza della vittima). Senza contare che per i crimini di guerra lo Stato che aderisce allo Statuto può escludere la giurisdizione della Corte per sette anni (art. 124). Soltanto quando la Corte è attivata dal Consiglio di Sicurezza si può ipotizzare l'esercizio della giurisdizione sul piano universale (in assenza di qualsiasi link, essendoci a monte tuttavia l'accertamento di una delle situazioni di cui all'art. 39 NU) e in vià pressochè incondizionata; con l'unico limite - di natura politica - dell'esercizio del diritto di veto da parte di uno dei cinque "Grandi".

8. Il concreto operare di corti penali internazionali per la repressione dei delicta juris gentium "apre" alla cruciale questione dei rapporti fra giurisdizioni penali internazionali e corti interne, rapporti che "sotto vari aspetti potrebbero essere anche conflittuali (...) e che, nella migliore delle ipotesi (...), sono [comunque] destinati a porsi in modo dialettico per condizionarsi e influenzarsi a vicenda" .
Un dato di partenza è indiscutibile: proprio la struttura dell'attuale comunità internazionale fa sì che le corti internazionali dipendano in larga misura dalla cooperazione degli Stati. Tali corti infatti non dispongono, se non in misura ridottissima, di un corpo di polizia, né di carceri, né tanto meno di un territorio sul quale far valere la propria autorità: ne risulta che la realizzazione del compito per il quale esse sono stabilite non può prescindere dalla cooperazione di almeno uno Stato. Quindi sono proprio le disposizioni sulla cooperazione fra Stati e corti internazionali a determinare in larga misura la capacità di queste ultime di funzionare con efficacia quando le autorità nazionali risultino incapaci di assicurare esse stesse la repressione o quando, pur essendo in grado di farlo, non vogliano in concreto perseguire efficacemente il responsabile di uno dei crimini che rientrano nella competenza delle corti internazionali .
Il carattere nevralgico delle disposizioni stabilite per tracciare il percorso della cooperazione fra esse e gli Stati emerge anche da un'altra disposizione contemplata in tutti e tre gli strumenti che disciplinano attualmente il funzionamento delle corti internazionali: in via di principio non è consentita la celebrazione di processi in absentia, potendo essere giudicati soltanto gli accusati detenuti e messi a disposizione delle corti internazionali . Dunque, l'attività statale volta alla ricerca dei sospetti - ovvero a consentire a queste corti di investigare - sul proprio territorio, nonché a consegnare le persone perché vengano giudicate, il più delle volte è determinante in ordine alla possibilità stessa di celebrare il processo. Non a caso lo Statuto della Corte penale internazionale apre la Parte 9 dedicata alla cooperazione fra Corte e Stati con l'art. 86 il quale, sotto la rubrica "General obligation to co-operate", pone a carico degli Stati parti l'obbligo di "co-operare fully with the Court in its investigation and prosecution of crimes within the jurisdiction of the Court [itself]".
Peraltro la prassi internazionale mostra l'emergere di un aspetto di grande interesse. Da una parte infatti è possibile rilevare, dalle modalità secondo le quali si vanno articolando i rapporti fra Tribunale ad hoc per il Ruanda e autorità giudiziarie nazionali, la tendenza a sviluppare la cooperazione nella direzione del rispetto del criterio di reciprocità: segnalo in particolare le richieste di assistenza inoltrate dalle autorità del Belgio, Paese nel quale, a motivo della legge del 1993 come modificata nel 1999 , è stato possibile avviare più di un procedimento per crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi in relazione a quel conflitto etnico. Da un'altra parte, proprio per far fronte all'eventualità "que les autorités nationales d'un Etat peuvent de temps à l'autre demander l'assistance du Tribunal [pour le Rwanda] aux fins de récueiller auprès d'une personne détenue par le Tribunal des preuves à utiliser dans des procès conduits au niveau national; considérant que le Règlement de procédure et de preuve (...) ne prévoit aucune procédure à suivre dans un tel cas (...)", il procuratore di questo Tribunale ha adottato una direttiva che dispone la procedura da seguire per il caso di richiesta di assistenza proveniente da un'autorità nazionale .
In questa stessa direzione si situa la norma dello Statuto della Corte penale internazionale, che detta una disciplina in gran parte speculare a quanto disposto per l'ipotesi di richieste di assistenza indirizzate dalla Corte stessa agli Stati. L'unica inevitabile sostanziale difformità di regime giuridico si riscontra nell'attitudine della Corte in quanto parte richiesta: indipendentemente dal fatto che la domanda provenga da uno Stato parte o non parte dello Statuto, è riconosciuta infatti alla Corte la facoltà di decidere se aderirvi o meno . La presenza di tale disciplina espressa è probabilmente determinata da due diversi ordini di fattori: la prassi che si è stabilita nei rapporti fra Stati e Tribunali ad hoc ha manifestato l'importanza di un fenomeno probabilmente in origine sottovalutato se non addirittura considerato non ipotizzabile. Inoltre, mentre non vi sarebbe motivo di negare da parte del Tribunale ad hoc la cooperazione richiesta da uno Stato, dal momento che esso è comunque in grado di affermare la propria competenza su di un caso a motivo della posizione di primazia che detiene, alla Corte conviene viceversa fin dall'inizio instaurare un rapporto di reciprocità con gli Stati, proprio in funzione della minore autorevolezza formale che essa detiene, dato il suo fondamento consensuale: di qui l'utilità di prevedere l'ipotesi della reciprocità e disporne già la disciplina.
Un'ultima evoluzione che va per ora prospettandosi sulla scia dell'esperienza maturata per il Ruanda è quella relativa alla istituzione di tribunali localizzati sul territorio di Stati che vivono conflitti armati interni di grave intensità. Segnalo che un tentativo è stato avviato per la creazione di una Kosovo War and Ethnic Crimes Court: questo tribunale ha iniziato a lavorare in maniera precaria , godendo di giurisdizione concorrente con le corti nazionali. Ne è stata deliberata la soppressione l'11 settembre 2000 dal Department of Justice dell'UMMIK poiché è stata valutata come più efficace l'iniziativa - peraltro anch'essa già avviata - di affiancare alle corti nazionali giudici internazionali e procuratori competenti per la repressione di crimini di guerra e di altre serie violazioni del diritto internazionale umanitario, nonché di crimini motivati da ragioni etniche: questa iniziativa ha infatti rimosso l'urgenza di sostenere l'attività di una giurisdizione speciale. A questo stesso schema di composizione (mista: giudici interni e internazionali) dovrebbe rispondere il costituendo tribunale per la Cambogia .
Un'iniziativa analoga a quella dei due esistenti tribunali ad hoc per la ex.Jugolslavia e per il Ruanda è suggerita dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ai fini del ristabilimento della pace in Sierra Leone: con risoluzione 1315(2000) si invita il Segretario generale delle NU a stipulare un accordo con il Governo locale in vista di creare un tribunale speciale indipendente competente a perseguire le persone responsabili di crimini contro l'umanità, di crimini di guerra, di altre violazioni gravi del diritto internazionale umanitario nonché di crimini stabiliti dal diritto della Sierra Leone .

9. Ciò che conclusivamente emerge dal quadro tracciato è la duttilità, almeno in astratto, del sistema di repressione che si è evoluto con la prassi di costituire tribunali internazionali. Lo Stato risponde dei propri comportamenti in prima persona verso gli altri componenti della comunità internazionale, ovvero indirettamente poiché viene perseguito l'individuo-organo che per lui opera. D'altra parte, anche l'individuo si trova a dover rispondere in più sedi, alternativamente , dei crimini di diritto internazionale commessi: davanti ai giudici del proprio Stato, ovvero di altro Stato che, utilizzando anche il criterio della universalità della giurisdizione penale, prendano su di sé il compito di ripristinare il rispetto il rispetto di un valore di international concern ; e davanti alle giurisdizioni internazionali secondo quei criteri di competenza già ricordati.
Stante il rapporto di concorrenza al quale si informa l'esercizio dei poteri giurisdizionali in materia, il ruolo, il peso, di queste ultime corti è destinato a porsi in un rapporto di proporzionalità inversa rispetto alla capacità e volontà degli Stati di far fronte alle proprie responsabilità anzitutto sul piano legislativo : tale attività non potrà infatti non tradursi in una maggior visibilità delle corti nazionali, messe in grado di utilizzare gli istituti contemplati dal diritto dei conflitti armati, vuoi giudicando, vuoi consegnando ad altri organi di giustizia, vuoi cooperando a diversi livelli con corti nazionali e internazionali; con ciò in definitiva riducendo a ipotesi marginali i casi di unwillingness e di inability che costringono il giudice internazionale a farsi carico del procedimento. Si tratterà in gran parte di quei casi di collasso del sistema nazionale, che rendono del tutto incapace l'apparato giudiziario e di polizia dello Stato a far fronte alle proprie responsabilità anche in ordine alla repressione delle violazioni del diritto umanitario; nonché delle situazioni di conflitto armato interno, nei confronti delle quali la giustizia ordinaria si è dimostrata in queste ultime vicende del tutto inadeguata a fronteggiare le situazioni di emergenza.

 
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