Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Ordinamento democratico e impiego delle forze armate oltre i confini :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Conferenza


Intervento al
CONVEGNO DI STUDI GIURIDICI
PADOVA, 30 NOVEMBRE 2000

Diritto e Forze armate. Nuovi Impegni

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario.
Regione Militare Nord.

Testi provvisori; trascrizioni non ufficiali.
Tutti gli interventi sono leggibili e scaricabili cliccando qui.

Si ringrazia Silvio Riondato (www.riondato.com) per la disponibilità. Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
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Documento aggiornato al: 2000

 
Sommario

I mutamenti della scena internazionale e dei contesti multilaterali in cui l'Italia si colloca, obbligano ad interrogarsi in modo nuovo su questioni fondamentali.

 
Abstract
 

1- I problemi nuovi. I mutamenti della scena internazionale e dei contesti multilaterali in cui l'Italia si colloca, obbligano ad interrogarsi in modo nuovo su questioni fondamentali . Le novità non sono poche, dal cammino del processo d'integrazione europea e dall' emergere dell'UE anche nel campo della difesa , nel quale si sta dotando di strumenti idonei, oltre che in quella della politica estera e della sicurezza; ma soprattutto pone problemi l'evoluzione della NATO da alleanza difensiva in organizzazione con compiti assai diversi dalla legittima difesa collettiva : peace-keeping, interventi "fuori area" e "missioni non-art.5". Il carattere apparentemente misterioso di quest'ultima formula ben testimonia evidente del modo in cui si procede: la NATO si assume compiti diversi da quelli per i quali è stata istituita senza che il trattato sia stato modificato. E tende a intervenire non solo oltre le sue competenze secondo il trattato istitutivo, ma anche oltre la stessa Carta dell'ONU .

Questo è stato chiaramente denunciato in Parlamento in occasione del dibattito sull'intervento militare in Serbia da deputati di diversa parte politica, compreso il sen. Andreotti che ,per le sue esperienze di ministro degli esteri , parla con sicura cognizione ( ).

Le difficoltà di conciliare queste nuove prassi con i principi costituzionali è evidente: se , a parte qualche dubbio ( ), può considerarsi legittimo per l'Italia aderire e partecipare ad un'Alleanza difensiva qual era originariamente la NATO, e quale dovrebbe essere tuttora secondo il Trattato, come si concilia con i principi dell'art.11 della Costituzione il nuovo ruolo,anche "aggressivo" che essa tende ad assumere? Il problema è grave, considerando che le missioni delle Forze armate al di fuori del territorio nazionale sono in aumento e, soprattutto, alla luce delle più recenti evoluzioni: alludo all'adozione formale della Nuova dottrina strategica della NATO ,avvenuta nel corso del vertice di Washington dell'aprile 1999, con tutte le ambiguità e incertezze che contiene ,anche a causa dell'indebolimento del raccordo col sistema delle N.U.( )
Ogni decisione della NATO ci impegna irrimediabilmente o abbiamo il potere di selezionare, secondo i principi della nostra Costituzione, quali interventi siano consentiti e quali no? L' interrogativo si è posto anche nel lungo dibattito parlamentare che ha affiancato gli interventi nella Repubblica Federale di Iugoslavia, durante il quale lo stesso governo ha ripetutamente riaffermato il potere di autonoma valutazione ( ) anche in rapporto agli obiettivi( ).
E dunque alla domanda se la nostra partecipazione ad ogni missione o intervento è automatica ( come da qualcuno anche in sede parlamentare erroneamente sostenuto), la risposta negativa sembra sicura . Infatti, dopo il consenso unanime di tutti gli Stati parte, ,la partecipazione di uno Stato ad interventi "fuori area" è espressamente condizionata ad un ulteriore consenso :"partecipation in any such operation or mission will remain subject to decision of member States in accordance with national Constitutions" ( ).
E' alla Costituzione, dunque, che bisogna guardare, non solo per valutare alla luce dei suoi principi la legittimità nel nostro diritto interno di ogni singolo intervento e missione, ma anche per chiarire quali siano gli organi competenti , quali le procedure e le forme.
Una seconda questione nuova si pone all'interno del sistema italiano - anche se è strettamente legata alle trasformazioni esterne- e anche questa sposta ,mi pare, notevolmente l'ottica consueta : alludo alla prevista trasformazione dell'esercito di popolo- di cui parlavano i Costituenti- in esercito professionale.


2.- La democrazia. Il carattere democratico dell'ordinamento è il dato fondamentale da cui partire; in quest'ottica, quindi, ogni questione va collocata. I problemi della democrazia non sono di certo risolti,né, credo, nella loro concretezza ,possono considerarsi risolti in modo definitivo.Già il significato essenziale della parola ha bisogno di essere chiarito e ha dimostrato di contenere elementi problematici :"governo del popolo" è una formula che apre, e ha aperto nella storia, almeno due interrogativi: chi fa parte del popolo e cosa vuol dire che il popolo governa( ) . Il primo interrogativo che ha trovato risposte diverse nel tempo pareva oggi ormai aver trovato definitiva soluzione. E invece non è cosìSe all'iniziale chiusura -votano solo i maschi, adulti, con un sufficiente grado di cultura e di censo- si è sostituito ormai il suffragio universale,vediamo che almeno su due fronti la questione si riapre. Da un lato è di questi giorni la proposta di far votare anche i sedicenni, dall'altro si è posta la questione del voto degli immigrati. I confini della democrazia sono dunque,in continuo movimento. Ma il punto più difficile è il secondo: cosa vuol dire che il popolo 'governa'. Alla difficoltà di far assumere direttamente le decisioni politiche dal corpo elettorale, si è rimediato con la democrazia rappresentativa: il popolo elegge i suoi 'rappresentanti' e, in tal modo, partecipa indirettamente alle decisioni politiche . E' chiaro che si tratta di meccanismi che lasciano margini di dubbio non lievi ( a cominciare dal rapporto fra elettori ed eletti, dal tipo di sistema elettorale, dal grado di corrispondenza fra assemblee elettive e orientamenti popolari) sui quali non è possibile qui intrattenersi. Resta comunque ferma una conclusione circa il rapporto fra lo Stato come apparato -costituito anche ed in primo luogo dagli organi costituzionali- e il popolo : la sovranità appartiene a quest'ultimo che la esercita direttamente o attraverso l'apparato statale. Questo dunque svolge un ruolo strumentale , è lo strumento attraverso il quale il popolo sovrano esercita la sua sovranità ( secondo l'opinione in particolare di due costituzionalisti illustri cui sono stata particolarmente legata, Vezio Crisafulli e Livio Paladin). Il che vuol dire che tutto l'apparato deve orientarsi in conformità agli indirizzi, agli orientamenti che il popolo ha espresso. E ciò dovrebbe valere anche nel campo difficile e delicato della difesa.

3.- I principi costituzionali. Alla luce dei principi che caratterizzano la forma di Stato e di governo della Repubblica va esaminata la posizione delle Forze armate nel sistema costituzionale . La questione relativa al loro impiego fuori dal territorio, alle competenze decisionali al riguardo, alle forme e procedure da seguire è strettamente legata alle conclusioni di quell'esame. Ogni risposta a problemi nuovi deve infatti essere in armonia con il sistema costituzionale dal quale non è dato discostarsi. Altrimenti si esce dalla legalità.
La Costituzione italiana fornisce indicazioni abbastanza chiare sulla posizione delle Forze armate nell'ordinamento italiano, anche se rimangono incertezze sul ruolo di alcune istituzioni- in particolare del Consiglio Supremo di Difesa- superate peraltro dagli studiosi ( e in documenti ufficiali che ne riflettono il parere) alla luce , appunto, dei principi costituzionali, della forma di stato e della forma di governo.
Guardando alle disposizioni più strettamente attinenti al tema, due sono le norme chiave, che fissano i punti fermi insuperabili di ogni discorso : gli artt. 11 e 52 che esprimono in modo sicuro l'ispirazione pacifista della Costituzione , segnandone nel contempo in modo rigoroso il valore e i limiti . Al primo ,dove netto è il rifiuto della guerra- anzi il "ripudio"-, si affianca il secondo che ne completa e chiarisce la portata con il richiamo a valori etici di forte impegno. Da un lato il "ripudio" della guerra non solo come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli ma anche come strumento di risoluzione delle controversie internazionali -di tutte le controversie, sia giuridiche , sia politiche ( ) ; dall'altro la difesa della Patria come "sacro dovere" ,che fuga ogni possibile dubbio sulla legittimità dell'azione armata a scopo difensivo, e dunque sull'importanza, anche per un Paese pacifista, di un'efficiente e significativa organizzazione militare per la difesa.
Se forte è l'espressione usata per rifiutare la guerra -il verbo ripudia, com'è noto ,non fu scelto a caso ma dopo un'attenta valutazione di altre formule linguistiche scartate perché ritenute insufficienti ad esprimere con adeguato vigore l'intensità della condanna ( )- altrettanto forte è l'art.52 - l'altro pilastro che affianca l'art.11 per affermare in modo assoluto e definitivo che l'unica guerra ammessa è quella difensiva - una disposizione fortemente espressiva di valori etici che la formula usata ben traduce .
Dopo aver definito "sacro" il dovere di difendere la Patria, , il medesimo articolo (al comme 3) precisa che " L 'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica", esprimendo così efficacemente "la situazione di non separazione delle Forze armate rispetto alla società civile e alle altre istituzioni dello Stato"( ).
La locuzione "spirito democratico" fu proposta dall'on Aldo Moro in Sottocommissione ( la prima) quale garanzia a salvaguardia della "dignità della persona umana" e a temperamento del principio di gerarchia. La persona umana e la sua dignità è un valore cardine della Costituzione repubblicana, affermato fin dai primissimi articoli (art.2) e ripetuto successivamente. Non vi è dubbio, dunque, che l'art. 52, anche senza menzionarlo esplicitamente, a tale fondamentale valore si richiami ; l'on. Merlin così indicava il contenuto precettivo della disposizione : "l'esercito, senza venir meno al principio di unità e disciplina, nella sua organizzazione e nei suoi regolamenti non deve venir meno a quel rispetto della dignità e della libertà umana che è l'elemento fondamentale del progresso civile"( ). Dunque le Forze armate devono ispirarsi ai medesimi principi che valgono per la società civile, non devono essere un'istituzione separata: la loro organizzazione ,il loro ordinamento pur necessariamente informati ai principi di disciplina, unità e imparzialità non possono trovarsi in contraddizione con quei valori e quei principi ( ). Il comma 3 dell'art.52 "è indice del proposito di garantire una completa permeabilità fra ordinamento dello stato e ordinamento militare"( ). Con questa disposizione è elimina la tesi, accolta nell'ordinamento statutario anche in ragione della tradizionale posizione del re -e da alcuni ripetuta anche con riferimento al sistema repubblicano- che l'ordinamento delle Forze armate costituisca un ordinamento speciale, separato dall'ordinamento dello Stato ( ). Una tesi del resto , quella degli ordinamenti interni come ordinamenti separati, ormai comunque inammissibile perché incompatibile con la forma di stato della Repubblica italiana, che è uno Stato di diritto . I principi dello Stato di diritto non consentono l'esistenza di zone franche, sottratte alle regole comuni: il diritto deve permeare il sistema intero ed ogni settore dell'apparato statale( ). Presupponendosi come regola generale la vigenza dei principi costituzionali nell'intero sistema ,superata e venuta meno la concezione della "supremazia speciale" applicata alle Forze armate - figura " volutamente residuale e indeterminata , adatta in un'epoca di grosse trasformazioni giuridico-istituzionali quale era la Germania di fine secolo [ ossia di fine ottocento] a cristallizzarne l'evoluzione, perpetuando l'esclusione della legge da una vasta area di rapporti socio-giuridici" ( ). La vigenza generale del principio di legalità, e, addirittura,in materia di organizzazione (art. 97, 1 comma), la riserva di legge( ) rendono ormai costituzionalmente improponibile la vecchia idea dell'esclusione della legge - atto delle Assemblee rappresentative democraticamente elette- da alcuni settori dell'ordinamento.

4.- Segue: la neutralità delle Forze armate. La formula del 3 °comma dell'art.52, col richiamo alla democraticità dell'ordinamento delle Forze armate vale anche a sottolinearne significativamente la posizione : già in Assemblea Costituente le Forze armate sono viste come un elemento di neutralità rispetto al rapporto maggioranza-opposizione in quanto dedite soltanto al "servizio della Patria", quindi soggette al potere politico democraticamente espresso il cui libero determinarsi deve essere accettato senza intromissioni o tentativi di condizionamento ( ).
Il principio cardine in materia di difesa è la separazione fra "potere civile" e "potere militare" e l'attribuzione esclusivamente al primo dei poteri d'indirizzo ( ) in applicazione del principio "della dipendenza delle Forze armate dal sistema politico di rappresentanza della sovranità popolare"( ) . E sempre nell'ottica democratica per cui le decisioni politiche spettano al corpo elettorale e agli organi che lo rappresentano, l'intervento delle Forze armate avviene su richiesta del potere politico; e,d'altra parte, reciprocamente, gli organi politici ,per la separazione di competenza già ricordata, non possono ingerirsi nelle questioni relative al comando militare in senso tecnico, a parte gli interventi in sede d'indirizzo e di controllo ( )
Coerente con il medesimo principio democratico è la neutralità delle forze armate, già sottolineata ,il loro carattere apolitico ( ): in questo senso fondamentale e indicativo è l'art.87, comma 9, per il quale il Capo dello Stato ,organo imparziale che rappresenta l'unità nazionale" ,ha " il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa...,dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere".
L'aver posto il Presidente della Repubblica al comando delle Forze armate- che non significa , ma su ciò torneremo, comando effettivo- ha un forte significato simbolico, espressivo d'imparzialità che bene scolpisce la posizione delle forze armate nel sistema oltre a comportare notevoli conseguenze nell'interpretazione del ruolo di un'organo che la Costituzione menziona ma non disciplina: il Consigli supremo di difesa. Ma, tornando alla neutralità e apoliticità è chiaro, ed è stato ben sottolineato in dottrina( ) che i principi costituzionali comportino il divieto di milizie di parte ,oltre che il divieto di milizie locali : l'unità della Repubblica, il 'comando' affidato a chi quell'unità- rappresenta, rendono evidente questo secondo divieto. Anche il primo del resto è ben evidente : "L'esercito è fatto per difendere la Patria; la Patria si difende sotto qualsiasi regime e con qualsiasi orientamento politico" fu detto in Assemblea Costituente e, come l'esperienza del fascismo insegna, le milizie di parte sono caratteristica dei regimi autoritari.

5- La Relazione della Commissione per l'esame dei problemi costituzionali concernenti il comando e l'impiego delle Forze Armate. Dicevo già che l'aver posto il Capo dello Stato al 'comando' delle Forze armate ha importanti riflessi sull'interpretazione del ruolo di un organo previsto ma non disciplinato dalla Costituzione , il Consigli supremo di difesa,"costituito secondo la legge" ,dice l'art.97. Ma la legge attuativa (28 luglio 1959,n,624), anche secondo la relazione della Commissione costituita dal governo Goria su richiesta del presidente Cossiga ( ), autorevolmente presieduta da Livio Paladin -il caro amico e illustra collega che purtroppo non è più con noi e anche in quest'occasione mi piace ricordare- ,non pare conforme a Costituzione laddove pare coinvolgere il Consiglio nell 'indirizzo della difesa ( ).
Qual è la ragione dell'illegittimità di simile coinvolgimento? La Relazione menzionata è assai chiara in proposito: la ragione sta nel contrasto con i principi della forma fi governo stabilita dalla Costituzione.
Sin dall'inizio dicevo che tutta la materia della Difesa va considerata alla luce dei principi della forma di Stato e della forma di governo, principi che non possono essere violati. Della forma di stato ho già detto: democratico, di diritto, e ho messo in luce le conseguenze. Quanto alla forma di governo, la nostra è una repubblica parlamentare il che significa che l'indirizzo politico compete al raccordo governo-parlamento, deve essere stabilito dalla maggioranza parlamentare, espressione del corpo elettorale ( di cui dunque riflette l'orientamento ). Il Presidente della Repubblica,in un sistema parlamentare, dalla funzione d'indirizzo è escluso: il suo ruolo super partes, di garante della Costituzione e dell'integrità del sistema altrimenti risulterebbe annullato. E dunque la Relazione, alla luce dei principi del sistema e della forma di governo - ribadito che "non esistono attribuzioni riservate all'esclusiva competenza dell'apparato militare, opponibili alle autorità politiche preposte alla difesa e limitanti le funzioni di comando"( ) - dice espressamente che è da "escludere che il Presidente stesso abbia la competenza d'interferire nella definizione delle strategie riguardanti la difesa, come pure nella linea del comando politico-militare". Ciò in quanto il
carattere parlamentare della forma italiana di governo "esige di assegnare l'intero indirizzo politico, compresi gli impieghi delle Forze Armate, al legislativo e all'esecutivo collegati dal rapporto di fiducia ".


6.- Segue: il Presidente della Repubblica come garante del rispetto dei limiti costituzionali agli interventi armati. Questo è un punto molto importante ai fini del discorso che vengo a fare: importante per ciò che viene escluso e per ciò che viene affermato. Infatti, una volta escluso che Consiglio e Presidente abbiano funzioni d'indirizzo in materia di difesa, resta da sapere di che natura siano allora le funzione loro spettanti: perché insomma, a quali fini sia stato costruito un sistema che fa capo al Presidente della Repubblica in Consiglio. La risposta della Relazione è sicura e del tutto coerente con il ruolo del Capo dello Stato nel sistema: quella a lui spettante è , come sempre, una funzione di garanzia. Non è un ruolo di comando effettivo, ma neppure un ruolo esclusivamente formale : la presenza del Presidente sta a garantire che i limiti costituzionali , generali e specifici, non siano stati superati. In particolare ,che l'intervento non sia deciso per scopi diversi da quelli relativi alla difesa : che, insomma, il fondamentale principio posto l'art. 11 non risulti violato.
Chiaro risulta l'impatto di queste conclusioni sulla questione degli interventi fuori confine: egli deve opporsi ad ogni che esca dai limiti invalicabili posti dagli art.11 e 52.
La relazione sottolinea la necessità che il Capo dello Stato, per poter svolgere la sua fondamentale funzione di garanzia , sia continuamente e correttamente informato circa ogni decisione, atto ,operazione relativa alla difesa. Per poter garantire i valori costituzionali ( (compresa l'assoluta fedeltà delle Forze armate alle istituzioni repubblicane ) in maniera efficace- continua la Relazione- "il Capo dello Stato dev'essere in grado di valutare e sanzionare tempestivamente le eventuali violazioni concretabili mediante quegli assetti o quegli impieghi delle Forze Armate che contraddicano la Costituzione o rischino comunque di comprometterne il disegno" .E pare davvero significativo che la Commissione s'interroghi sui modi in cui il Presidente medesimo può rendere effettivo tale ruolo che diventa incisivo non nel decidere l'indirizzo della difesa- che esula dalle sue funzioni- ma nell'impedire - negando la sua firma e rinviando agli atti di organi politici competenti per un riesame- che decisioni, interventi, a scelte in generale in qualunque modo assunte possano aver applicazione qualora contrastino con i principi costituzionali che sta a lui garantire.Funzione di garanzia tanto più essenziale di fronte alla prospettiva di un esercito professionale.
Nella Relazione, addirittura, si attribuisce al Capo dello Stato il "potere di opporsi in maniera insuperabile" , coinvolgendo il Parlamento mediante un messaggio, nell'ipotesi-limite di un contrasto così netto con il disegno costituzionale da configurare l'ipotesi di attentato alla Costituzione. Per rendere possibile tale controllo, si insiste sulla necessità che l'informazione spettante al Capo dello stato abbia un carattere privilegiato e "abbracci la generalità degli impieghi delle Forze armate" e riguardi, come del resto avviene, anche ogni riunione della NATO.
A questo proposito, a completamento di quanto già detto all'inizio (supra,§1).va rilevato che la relazione della Commissione Paladin nel porsi la questione derivante dai vincoli posti dall'Alleanza sia giunta alle stesse conclusioni di cui ho detto : dopo aver considerato che"gli accordi bilaterale e multilaterali stipulati in esecuzione del trattato nord-atlantico,nel perseguire il fine della comune difesa coerentemente con l'art.11 della Costituzione, non prescindono affatto dal consenso di ciascuno Stato membro dell'Alleanza". E dunque, azioni e misure previste nell'ambito NATO,"richiedono la preventiva consultazione politica nelle sedi dell'alleanza, così mettendo in gioco le attribuzioni spettanti- secondo l'ordinamento italiano- agli organi Costituzionali dello Stato". Ed esclusivamente -va sottolineato- per i fini consentiti dal principio pacifista,che è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione( ).
In un sistema democratico è il popolo sovrano (art.1 Costituzione) o gli organi che politicamente lo rappresentano a dover assumere le decisioni fondamentali: il Parlamento in primo luogo deve necessariamente essere coinvolto e informato costantemente e, naturalmente il Governo che nei confronti del Parlamento è politicamente responsabile. Il controllo costituzionale, come si è detto, è del Presidente della Repubblica, che, sicuramente escluso da ogni funzione d'indirizzo politico , è garante della Costituzione e dell'integrità del sistema ( ). La necessità della partecipazione delle Assemblee rappresentative in ogni decisione relativa all'impiego delle Forze armate fuori dei territorio è del resto chiaramente emersa nel dibattito parlamentare in occasione dell'intervento contro la Repubblica federale di Iugoslavia ( ). E del resto, il Progetto di riforma costituzionale approvato dalla Commissione bicamerale espressamente lo prevedeva.

 
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