Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Misure di sicurezza antiterrorismo. Leggi speciali e prevenzione del terrore nel Regno Unito. :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Misure di sicurezza antiterrorismo. Leggi speciali e prevenzione del terrore nel Regno Unito.
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Documento aggiornato al: 2005

 
Sommario

Gli attentati di Londra del 7 luglio 2005 ripropongono all'attenzione del mondo la questione del terrorismo internazionale e la necessità di una risposta da parte degli ordinamenti interni ai singoli Paesi. Al pari di altri fenomeni criminali con profonde radici sociali, nonché suscettibili, per la gravità delle azioni poste in essere, di mettere a repentaglio la fiducia nell'ordinamento costituito e di indebolirne le strutture, il terrorismo è da sempre trattato dal legislatore nazionale a mezzo di legislazioni speciali, inclini a manifestarsi come insieme di norme aventi carattere provvisorio e volutamente sanzionatorio, talvolta evidentemente ispirate a logiche di prevenzione speciale.

 
Abstract
 

Gli attentati di Londra del 7 luglio 2005 ripropongono all'attenzione del mondo la questione del terrorismo internazionale e la necessità di una risposta da parte degli ordinamenti interni ai singoli Paesi.

Al pari di altri fenomeni criminali con profonde radici sociali, nonché suscettibili, per la gravità delle azioni poste in essere, di mettere a repentaglio la fiducia nell'ordinamento costituito e di indebolirne le strutture, il terrorismo è da sempre trattato dal legislatore nazionale a mezzo di legislazioni speciali, inclini a manifestarsi come insieme di norme aventi carattere provvisorio e volutamente sanzionatorio, talvolta evidentemente ispirate a logiche di prevenzione speciale.

La legislazione in vigore nel Regno Unito al momento degli attentati del 7 luglio scorso non difetta di alcuno degli elementi visti poc'anzi e, all'opposto, proietta la propria efficacia preventiva e deterrente a mezzo di misure amministrative di sicurezza, sottoposte solo oggi al controllo di legittimità da parte dell'Autorità giudiziaria ordinaria.

Volendo peraltro procedere per ordine, tracciando un breve quadro storico della legislazione in parola, l'analisi dovrà prendere le mosse dai provvedimenti antiterrorismo varati dal Governo dell'Irlanda del Nord, che diedero origine all'Operazione Demetrius del 9 agosto del 1971 .

Il Civil Authority (Special Powers) Act (risalente peraltro al 1922) prevedeva numerose forme di arresto e detenzione stragiudiziale, anche non espressamente vincolate a limiti temporali definiti . Tra le diverse forme di privazione della libertà personale erano previsti l'arresto senza mandato a scopo di interrogatorio (Regulation 10), e il fermo (operato da membri della polizia, delle Forze armate, o da personale amministrativo su delega del Ministro degli Interni) qualora si ritenesse che il sospettato agisse, avesse intenzione di agire o avesse agito in modo tale da pregiudicare il mantenimento della pace o dell'ordine (Regulation 11). Mentre il primo aveva durata massima fissata in 48 ore, il secondo imponeva la rimessa in libertà nell'arco delle 72 ore successive. In tema di misure di sicurezza custodiali, il Civil Authority Act prevedeva inoltre misure di vera e propria detenzione su ordine delle Autorità di polizia (Regulation 11) o di internamento su disposizione del Ministro degli Interni, che andava a raccogliere le raccomandazioni delle Autorità di P.S. (Regulation 12).

Per entrambe le fattispecie non era prevista una durata massima, sebbene la prima non eccedesse, nella pratica, i 28 giorni, mentre la seconda potesse addirittura prolungarsi, a mezzo di successive proroghe, per diversi anni.

Ulteriori provvedimenti di legge, precedenti all'attacco contro le Twin Towers e il Pentagono, dell'11 settembre 2001, furono emanati nel 1974 (Prevention of Terrorism Act - PTA) e nel 2000 (Terrorism Act 2000) , a dimostrazione dell'attenzione rivolta al fenomeno da parte del Governo britannico. Il Terrorism Act 2000, in particolare, all'art. 1, riportava una definizione di terrorismo internazionale basata sulla previsione di una lista dei beni giuridici tutelati e di comportamenti lesivi (che abbracciava anche il c.d. terrorismo informatico) , fornendo inoltre un elenco di organizzazioni aprioristicamente considerate terroristiche .

L'appartenenza o il supporto fornito a tali organizzazioni costituiva una base giuridica sufficiente per giustificare l'utilizzo di misure di sicurezza nei confronti di un individuo. Nello specifico, venivano censurati comportamenti anche latamente suscettibili di sfociare in vere e proprie fattispecie criminose, quali l'incitamento al terrorismo, l'addestramento all'uso delle armi da fuoco (ivi compresa la fabbricazione di ordigni convenzionali e non) e l'insegnamento o l'apprendimento di tecniche terroristiche, all'estero o in patria. I poteri di polizia venivano parimenti ampliati, potendo le Autorità di P.S. disporre il fermo di persone sospette fino a 48 ore (contro le normali 24), come anche mutare il fermo medesimo in misura di sicurezza custodiale, su provvedimento dell'Autorità giudiziaria, fino ad un massimo di 7 gg., senza diritto ad essere assistiti da un difensore.

A seguito degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, il parlamento britannico approvò il controverso Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001 (ATCSA) . Tale provvedimento di legge conteneva una parte IV (artt. 21 e ss.) espressamente dedicata alle misure di sicurezza detentive disposte su ordine dell'Esecutivo. L'ATCSA pertanto autorizzava la detenzione a tempo indeterminato di cittadini stranieri sospettati di attività terroristiche, senza alcun controllo di legittimità da parte dell'Autorità giudiziaria ordinaria.

A seguito, i soggetti colpiti da tali misure preventive potevano scegliere di abbandonare il Paese rifugiandosi presso uno Stato estero che acconsentisse a riceverli. La procedura iniziava con l'ordine impartito dal Ministro dell'Interno (Secretary of State for the Home Department) che identificava i soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale anche e soprattutto sulla base di rapporti di intelligence, non sottoposti ad alcun controllo circa la provenienza o veridicità.

I provvedimenti amministrativi all'origine di tali misure di detenzione extra giudiziaria venivano comunque sottoposti a revisione da parte di una commissione speciale (in origine costituita per i casi di immigrazione clandestina), chiamata Special Immigration Appeals Commission (SIAC), già prevista dallo Special Immigration Appeals Commission Act 1997, e composta da un Presidente, un giudice dell'High Court, e un Circuit Judge con una lunga esperienza in casi di immigrazione e rispetto dei diritti umani.

Alla decisione della SIAC seguiva un eventuale giudizio d'appello innanzi la Court of Appeal su iniziativa di entrambe le parti (condannato e Ministro dell'Interno). L'ATCSA aveva infine carattere di legislazione straordinaria, prevedendo la durata provvisoria delle procedure descritte, che sarebbero comunque cessate entro il 10 novembre 2006.

Sottoposto a dure polemiche provenienti da autorevoli esponenti della dottrina giuridica e della magistratura, come anche dalla società civile, l'ATCSA è stato successivamente sottoposto a revisione a seguito dei rilievi tecnico - giuridici sollevati, in primis, dai parlamentari - consiglieri della Corona britannica , poi dalla House of Lords nel corso di un giudizio di appello e infine da un magistrato incaricato appositamente sulla base di un meccanismo di controllo previsto nell'ATCSA stesso .

Relativamente al giudizio instaurato innanzi la House of Lords le censure individuate riguardavano, nello specifico, la violazione degli artt. 5 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e gli artt. 9 e 26 del Patto sui diritti civili e politici del 1966 , in ragione della mancata previsione, da parte dell'ATCSA, di un controllo di legittimità sulle misure detentive da parte dell'Autorità giudiziaria ordinaria, applicate inoltre, in violazione del principio di non discriminazione, solamente nei confronti di cittadini stranieri.

Il giudizio in parola ha affrontato tre temi principali, riguardanti a) l'esistenza di uno stato d'urgenza, b) il rispetto del criterio di proporzionalità tra le misure intraprese e il contrasto al fenomeno criminale, c) la presunta violazione del principio di non discriminazione. Per ciò che concerne il punto sub. a), si è rilevato come la stessa CEDU contenga una disposizione derogatoria ai principi di riserva di legge e tassatività , contenuta all'art. 15¹, che consente compressioni straordinarie del diritto alla libertà individuale in presenza di uno "stato d'urgenza" , laddove la deroga stessa non si ponga in contrasto con altri obblighi internazionali del Paese membro.

I Law Lords, accertata l'incompatibilità delle misure detentive extragiudiziarie con le disposizioni della CEDU, hanno complessivamente ritenuto la questione della sussistenza di un'emergenza un tema più politico che giuridico. Nel contempo (sub. b)), la Suprema Corte ha affermato che riservare a misure di sicurezza pensate per il contrasto all'immigrazione clandestina il problema della sicurezza interna del Paese ha prodotto l'impossibilità di procedere con le medesime misure contro cittadini britannici, nel contempo favorendo l'uscita dal Paese di immigrati sospetti (ciò che il Commissario Europeo per i Diritti Umani aveva additato come "esportazione del terrorismo").

Tali misure sarebbero state inoltre applicate anche in mancanza di intenti ostili nei confronti del Regno Unito (problema del bene giuridico protetto).

In ultimo, l'unica Autorità riconosciuta in grado di poter minimizzare i rischi di compressione del diritto alla libertà individuale veniva individuata dai Law Lords nel potere giudiziario, tenuto però dall'ATCSA lontano dal procedimento in parola, senza ragioni sufficienti a motivarne l'esclusione.

Per ciò che concerne il punto sub. c), nessun dubbio che l'ATCSA finisse per discriminare i soggetti sulla base della propria cittadinanza e non guardasse in modo paritetico alla sola condotta criminale posta in essere. Del resto lo Human Rights Act 1998 (Designated Derogation) Order 2001 , che dichiarava ufficialmente le deroghe dell'ATCSA alla CEDU, riguardava solo l'art. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza) e non l'art. 14 (divieto di discriminazione), che quindi rimaneva in vigore e ne obbligava il legislatore britannico al rispetto.

Tenuto conto dei rilievi espressi nel giudizio
innanzi la House of Lords, il legislatore britannico ha da ultimo emanato il Prevention of Terrorism Act 2005 .

Tale atto di legge va a sostituire l'intera parte IV dell'ATCSA, disponendo una nuova categoria di provvedimenti amministrativi, i control orders, ovvero una sorta di ampio genus contenente le più diverse species di misure di sicurezza, la cui determinazione viene rimessa all'apprezzamento delle Autorità competenti. I control orders vengono emessi da parte del Ministro dell'Interno allorquando non impongano misure detentive o a queste assimilabili sulla base dell'art. 5 della CEDU, ovvero da parte del giudice competente, su richiesta del Ministro dell'Interno, nel caso opposto.

L'A.G. ordinaria (l'High Court) rimane in ogni caso competente al controllo di legittimità sui control orders emessi, secondo un procedimento di revisione in due fasi, la prima delle quali avviene entro 7 gg. dall'emanazione dell'ordine, potendo la Corte eventualmente annullare gli ordini emessi, ovvero imporre modifiche.

Il fatto che dal dicembre 2001 al dicembre 2004 vi siano stati solamente 9 casi di individui sottoposti alle misure di cui alla parte IV dell'ATCSA depone a favore di coloro che vedono nelle misure amministrative di sicurezza custodiali una risposta meramente muscolare e poco efficace ad un evento (quello degli attentati dell'11 settembre) tanto inatteso quanto sconvolgente.

L'estrema parsimonia con cui le Autorità britanniche hanno fatto ricorso alle norme in parola indicherebbe inoltre la scarsa fiducia delle stesse di fronte a strumenti suscettibili di assolvere solo in senso lato alle finalità di prevenzione cui originariamente preposti.

Allo studio del legislatore britannico vi sono peraltro due distinti progetti di legge. Uno riguarda l'obbligatorietà del documento di riconoscimento, l'altro l'abbassamento ex lege della quantità di elementi indiziari utili alla formazione della prova per il reato di terrorismo, come anche l'introduzione di una nuova categoria di reato: "atti di preparazione al terrorismo" .

Di fronte ad attentati quali quelli del 7 luglio scorso, è opinione diffusa che l'unico rimedio alle inefficienze del sistema di prevenzione possa rintracciarsi in un inasprimento delle norme penali o riguardanti misure amministrative di sicurezza.

Nonostante appaia chiaro come l'efficienza del sistema giudiziario e di polizia in materia non possa prescindere dalla previsione di norme chiare che disciplinino il contrasto al fenomeno terroristico, sembra di poter affermare con una certa prudenza che, talvolta, proprio la specialità della legge fornisce il terreno su cui sorgono derive criminali che lo stesso ordinamento fatica a contenere.

Difatti, se fossero confermati i sospetti delle Autorità di P.S. britanniche sul compimento degli attentati alla metropolitana londinese o sull'aiuto fornito agli attentatori, da parte terroristi homegrown, britannici di terza generazione, sembrerebbe evidente quanto legislazioni speciali e discriminatorie a nulla siano valse nella prevenzione del terrore.

Di contro, l'atteggiamento responsabile del Primo Ministro britannico a perseguire gli esecutori materiali e i mandanti degli attentati, senza per questo "mutare lo stile di vita" dei cittadini del Regno, misura la distanza con i frequenti moniti all'uso di strumenti repressivi e inutilmente invasivi della libertà individuale, capaci di incidere sull'ordinamento democratico più dei pericoli posti dal terrorismo stesso .

Del resto, finanche la recente esperienza delle guerre balcaniche insegna come il significato della democrazia possa essere messo in seria crisi, qualora questa sia posta al bivio fra cittadinanza e appartenenza etnica, legata ai valori della differenza piuttosto che al loro rifiuto, rapportata all'unicità ovvero alla molteplicità dei fattori di genere o di natura ideologica, culturale, etnica, religiosa che concorrono alla definizione del bene pubblico .

Di tale principio, il diritto britannico sembra essersi fatto portatore con inutile ritardo.

 
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