Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
"Introduzione del reato di tortura", ddl 582/2001 :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Tortura ed ordinamento italiano Senato della Repubblica
"Introduzione del reato di tortura", ddl 582/2001
Normativa

SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
disegno di legge n. 582
d'iniziativa dei senatori DE ZULUETA, SALVI, BONFIETTI, NIEDDU, RIPAMONTI, GUERZONI, VERALDI, MURINEDDU, BOCO, PIATTI, MARTONE, BUDIN, TOIA, MONTAGNINO, CAVALLARO, CALVI, SOLIANI, CASTELLANI, ACCIARINI, MARINO, MONTALBANO, VICINI e BETTA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 1º AGOSTO 2001
"Introduzione del reato di tortura" Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2001

 
Sommario

La esplicita previsione del reato di tortura, oltre che a corrispondere ad un obbligo giuridico internazionale, costituisce un forte messaggio simbolico in chiave preventiva. (...) L'introduzione del reato di tortura costituisce quindi un adeguamento della normativa interna a quella sovranazionale, colma le lacune del diritto interno (gli atti di tortura che non provocano lesioni gravi sono oggi punibili solo a querela di parte e rischiano quindi l'impunità, così come le sottili torture psicologiche non rientranti nel novero delle lesioni personali), costituisce norma di chiusura dell'ordinamento a garanzia dei diritti umani di tutti i cittadini.

 
Indice dei contenuti
 
1. Relazione

2. Testo del Disegno di Legge
 
Abstract
 

Onorevoli Senatori. - «È stato facile stabilire un primo punto fermo: cosa debba intendersi per tortura. Su questo punto ci soccorrevano la storia, gli scritti dei grandi illuministi (Verri, Beccaria, Voltaire, Manzoni), le letture recenti (ad esempio, La Question di Henri Alleg, sulla guerra di Algeria, o La Confessione di Arthur London, in cui il dirigente politico cecoslovacco descrive gli orribili metodi con cui i servizi di sicurezza del suo Paese torturavano i dissidenti politici negli anni cinquanta); ci sono state di grande aiuto anche le sentenze della Corte europea sui diritti dell'uomo (ad esempio quelle sulle cosiddette tecniche di aiuto all'interrogatorio, usate dagli inglesi nell'Irlanda del Nord), o il rapporto della Commissione europea sui diritti dell'uomo nella Grecia dei colonnelli. Senza nemmeno discuterne tra noi, ci è sembrato evidente che la tortura fosse qualunque violenza o coercizione, fisica o psichica, esercitata su una persona per estorcerle una confessione o informazioni, o per umiliarla, punirla o intimidirla. Nella tortura la disumanità è deliberata: una persona compie volontariamente contro un'altra atti che non solo feriscono quest'ultima nel corpo o nell'anima, ma ne offendono la dignità umana. Nella tortura c'è insomma l'intenzione di umiliare, offendere e degradare l'altro, di ridurlo a cosa...». Così si esprimeva Antonio Cassese nelle sue memorie di Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti.

La tortura, così come il genocidio, è considerato crimine contro l'umanità dal diritto internazionale. La proibizione della tortura e di altre forme di trattamento o punizione crudele, inumana o degradante costituisce oggetto di molteplici Convenzioni internazionali ratificate anche dal nostro Paese.
La Convenzione ONU approvata dall'Assemblea generale il 10 dicembre 1984 e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 3 novembre 1988, n. 498, all'articolo 1 definisce il crimine della tortura come «qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze, fisiche o mentali, con l'intenzione di ottenere dalla persona stessa o da un terzo una confessione o un'informazione, di punirla per un atto che lei o un'altra persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorire o costringere la persona o un terzo, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi altra forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenza siano inflitte da un pubblico ufficiale o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito». All'articolo 4 si prevede che ogni Stato parte vigili affinchè tutti gli atti di tortura vengano considerati quali trasgressioni nei confronti del proprio diritto penale. Lo stesso vale per il tentativo di praticare la tortura. Nasce così un obbligo giuridico internazionale ad oggi inadempiuto dal nostro Paese, ossia l'introduzione del reato di tortura nel codice penale, più volte sollecitato sia dal Comitato sui diritti umani istituito dal Patto sui diritti civili e politici che dal Comitato istituito dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura, adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987, di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 7, il quale nell'esame dei due rapporti periodici sull'Italia ha sottolineato come fosse necessario supplire a tale lacuna normativa. La proibizione della tortura è anche esplicitamente prevista all'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, ed all'articolo 7 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 19 dicembre 1966, di cui alla legge 25 ottobre 1977, n. 881.
In sede europea dal 1989 opera, a seguito della citata Convenzione, il predetto Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti le cui visite periodiche nelle carceri e nelle stazioni di polizia dei Paesi firmatari la Convenzione costituiscono il più efficace deterrente contro ogni tentazione di violazione dei diritti fondamentali delle persone private della libertà personale.
Per chiudere il quadro internazionale di riferimento esiste anche una Convenzione interamericana contro la tortura, mentre la Carta africana la proibisce espressamente.
La esplicita previsione del reato di tortura, oltre che a corrispondere ad un obbligo giuridico internazionale, costituisce un forte messaggio simbolico in chiave preventiva. Significa chiarire con nettezza quali sono i limiti dell'esercizio della forza e quali sono i limiti dell'esercizio dei pubblici poteri rispetto ad esigenze investigative o di polizia.
Alcune questioni devono essere preliminarmente affrontate per meglio chiarire l'ambito di azione di un disegno di legge che intende introdurre il reato di tortura nel nostro ordinamento penale.
È difficile esplicitare esaustivamente il contenuto del reato di tortura. Proprio per evitare operazioni ermeneutiche che ne ridimensionino la portata, è necessario procedere ad una elencazione casistica, seppur non omnicomprensiva, delle fattispecie che possono essere configurate quali episodi di tortura. Una prima distinzione è fra forme di tortura fisica (pestaggi sistematici e non, molestie sessuali, shock elettrici, torture con gettiti di acqua, mutilazioni) e forme di tortura psicologica (ingiurie verbali, minacce di morte, costrizione alla nudità integrale, costrizione ad assistere alla tortura o alla morte di altri detenuti, minacce trasversali, ispezioni improvvise e senza mandato, sorveglianza continua durante l'espletamento di attività lavorativa, perdita del lavoro o della possibilità di continuare gli studi al termine del periodo di detenzione). Questa prima elencazione, frutto di un'analisi della giurisprudenza internazionale, evidenzia come la tortura possa essere non solo inflizione di sofferenza fisica ma anche di sofferenza psicologica. E nel nostro ordinamento oggi è certamente insufficiente la mera previsione del reato di minaccia di cui all'articolo 612 del codice penale.
La definizione di tortura presente all'interno della stessa Convenzione ONU, essendo ripresa nel disegno di legge, richiede alcuni chiarimenti. Essa è primariamente intesa a tutelare i detenuti, ossia le persone in stato di detenzione legale. Destinatario del crimine di tortura è anche colui che si trova in uno stato di detenzione illegale o di fatto (ad esempio ricovero forzato in un ospedale psichiatrico). In tal senso si è espresso il Comitato sui diritti umani che ha interpretato la proibizione della tortura prevista al citato articolo 7 del Patto sui diritti civili e politici quale strumento di protezione non solo delle persone condannate o arrestate, ma anche degli allievi nelle scuole e dei malati negli ospedali. Ogni definizione di tortura, pertanto, non deve essere confinata alle sole ipotesi di violenze nei luoghi di detenzione. In prospettiva è quindi auspicabile che l'ambito applicativo si estenda sino a ricomprendere episodi di violenza sessuale posti in essere da pubblici ufficiali o di lavoro forzato a danno di minori. Il concetto di tortura deve essere riempito di contenuti dettati dalle circostanze politiche e dal momento storico.
Altra questione riguarda l'autore del reato. Non è necessario che il pubblico ufficiale sia autore diretto della tortura; è sufficiente che ne sia istigatore, complice consenziente o mero soggetto acquiesciente alla commissione del crimine. Pertanto un cittadino comune utilizzato o impiegato da un pubblico ufficiale per commettere violenza fisica o psicologica nei confronti di un altro cittadino, in stato di detenzione o non, per le finalità descritte con precisione nella norma, commette il reato di tortura. Vi deve essere un nesso di causalità diretto tra l'istigazione e l'atto compiuto; nesso che non viene meno nei casi in cui il privato cittadino vada oltre il mandato conferitogli. Deve rispondere di tortura anche il pubblico ufficiale tacitamente consenziente alla commissione di atti di tortura compiuti da soggetti privati o che si sottrae volontariamente all'obbligo di impedire un atto di tortura.
La rielaborazione della nozione di tortura deve spingersi sino a ricomprendere tutte quelle ipotesi in cui gruppi para-legali (ad esempio «squadroni della morte» o gruppi armati non dello Stato) fruiscono dell'incoraggiamento, anche indiretto, dello Stato per intraprendere azioni dirette a sopprimere gli oppositori politici.
Deve essere tenuto in debito conto, inoltre, il ruolo che il sesso ed il genere possono giocare nella identificazione degli atti di tortura. Non può essere tralasciato come ben diversi siano i rischi a cui una donna è soggetta durante un interrogatorio rispetto ad un uomo, così come differenti sono le condizioni di detenzione perchè si configuri un trattamento non rispettoso della dignità della persona.
Infine, la tortura non include, ovviamente, le sofferenze derivanti dall'applicazione di una sanzione legale o ad essa inerente o accessoria.
Per tutte queste ragioni è importante prevedere l'introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale. Non possono essere ritenuti sufficienti gli articoli 606 (arresto illegale), 607 (indebita limitazione di libertà personale), 608 (abuso di autorità contro arrestati o detenuti), 609 (perquisizione ed ispezione personali arbitrarie) del codice penale, sia per la non severità della sanzione, sia per la non incisività del contenuto. Dall'altro lato nei reati di percosse (articolo 581 del codice penale) e di lesioni (articolo 582 del codice penale) manca la specificità dell'elemento soggettivo, tipico, invece, della tortura.
L'introduzione del reato di tortura costituisce quindi un adeguamento della normativa interna a quella sovranazionale, colma le lacune del diritto interno (gli atti di tortura che non provocano lesioni gravi sono oggi punibili solo a querela di parte e rischiano quindi l'impunità, così come le sottili torture psicologiche non rientranti nel novero delle lesioni personali), costituisce norma di chiusura dell'ordinamento a garanzia dei diritti umani di tutti i cittadini.
Il disegno di legge, che introduce il reato di tortura nel codice penale nell'ambito dei delitti contro la persona (e precisamente a chiusura del capo concernente i delitti contro la vita e l'incolumità individuale), prevede la procedibilità di ufficio, pene particolarmente severe visto che si attenta ai diritti umani fondamentali, obbligo di negare l'immunità diplomatica a chiunque si sia macchiato di reati di tortura anche all'estero, l'istituzione di un fondo ad hoc per la riabilitazione delle vittime della tortura.

***


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. Nel Capo I del Titolo XII del Libro II del codice penale, dopo l'articolo 593, è inserito il seguente:

«Art. 593-bis. - (Tortura) - Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona, con qualsiasi atto, dolore o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

La pena è aumentata se ne deriva una lesione personale. È raddoppiata se ne deriva la morte.
Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all'impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente».

Art. 2.

1. Il Governo italiano non può assicurare l'immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro Paese o da un tribunale internazionale.

2. Nei casi di cui al comma 1 il cittadino straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale relativa.

Art. 3.

1. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un fondo per le vittime dei reati di tortura per assicurare un risarcimento finalizzato ad una completa riabilitazione.

2. In caso di morte della vittima, derivante dall'atto di tortura, gli eredi hanno diritto ad un equo risarcimento.
3. È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione per la riabilitazione delle vittime della tortura, con il compito di gestire il fondo di cui al comma 1. La composizione e il funzionamento della Commissione sono disciplinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
4. All'onere derivante dalla presente legge, valutato in lire 10 miliardi per ciascuno degli anni 2001, 2002 e 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.