Diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati: guerra e pace
Autodeterminazione e resistenza irakena :: Studi per la pace  
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ultimo aggiornamento: 12.03.2008
   
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Guerra in Iraq Prof. Aldo Bernardini
Autodeterminazione e resistenza irakena
Paper

l'Autore è Ordinario di Diritto internazionale all'Università di Teramo
già pubblicato su www.uruknet.info
articolo n.16, 10 settembre 2003 Pubblicazioni
Centro italiano Studi per la pace
www.studiperlapace.it - no ©
Documento aggiornato al: 2003

 
Sommario

Il diritto internazionale e in esso la Carta delle N.U., se non interpretati con "fantasia creativa" come ormai è d'uso da parte dei cortigiani di sempre, non lasciano scampo: l'aggressione è crimine internazionale e ormai sappiamo che anche gli addotti motivi contro l'Iraq, in sé tutti inadeguati, non avevano la minima consistenza.

 
Abstract
 

Vogliamo un esempio concreto di governo-quisling o fantoccio?

Serviamoci delle parole del "Corriere della Sera" del 14 luglio a proposito del "Consiglio di governo" installato il giorno prima dal governatore americano Bremer, con l'assistenza di un rappresentante delle N.U.: "Un'assemblea che non sa ancora su che cosa potrà decidere, ma che sa perfettamente di potersi riunire nel centro di Baghdad solo perché ci sono carri armati e centinaia di soldati americani attorno al palazzo, perché quattro elicotteri da combattimento si alternano in volo... e due aerei da caccia passano bassi". Una finzione dunque per "dividere la responsabilità della gestione dell'Iraq con gli stessi irakeni... Tutto ciò sulla carta, perché le chiavi della cassa e la forza militare restano in mano alle truppe d'occupazione". I 25 componenti, scelti da Bremer secondo un suo dosaggio etnico-religioso-politico (vi è pure... un "comunista"), "possono ratificare il bilancio, nominare dei ministri-tecnici comunque affiancati da esperti della coalizione (occupante), gli ambasciatori e i giuristi per redigere una costituzione democratica". Su tutto pende il possibile veto di Bremer. Essi "faticheranno parecchio a convincere i concittadini che non sono marionette". Immediate decisioni: la soppressione delle feste legate al partito Baath di Saddam Hussein e che un futuro tribunale ad hoc (!) debba processare i dirigenti dello stesso Baath: un intento non originale, dichiarato da tempo dagli americani.

Il diritto internazionale e in esso la Carta delle N.U., se non interpretati con "fantasia creativa" come ormai è d'uso da parte dei cortigiani di sempre, non lasciano scampo. L'aggressione è crimine internazionale e ormai sappiamo che anche gli addotti motivi contro l'Iraq, in sé tutti inadeguati, non avevano la minima consistenza. Il cambio di regime dall'esterno è assolutamente vietato: "democratizzazione" e "liberazione da una dittatura" da fuori (e con la forza!) - a parte il significato di quelle nozioni, che non può comunque dipendere dall'ideologia occidentale né da giudizi di Stati occidentali - non hanno corso nel diritto internazionale. All'aggressione criminale (e non parliamo dei crimini di guerra con le uccisioni di innocenti, degli atti barbarici, della distruzione di un paese) fa seguito un'occupazione parimenti illecita in modo assoluto. L'unica soluzione giuridicamente corretta è dunque la fine dell'occupazione straniera, la fine di ogni occupazione.

Questo tanto più è vero, in quanto lungi dall'essere un'occupazione integrale realmente effettiva, conseguente a una debellatio che avrebbe estinto lo Stato irakeno (es., la Germania nel 1945), la situazione si caratterizza nel senso che, come rilevato dal presidente della Commissione esteri della Duma russa, "non c'è stata alcuna capitolazione irakena e quello Stato esiste tuttora" ("Liberazione" del 13 luglio). Ancor più: l'opposizione della maggioranza della popolazione all'occupazione appare generalizzata e le sue punte più avanzate si manifestano in azioni di guerriglia continuative, efficaci e verosimilmente organizzate, che esprimono rispetto all'invasione una resistenza nazionale, sacrosanta e legittima, alla quale deve andare ogni esplicita solidarietà antimperialista: a mio parere questa resistenza incarna la vera continuità dello Stato irakeno, ad ancor maggior ragione - ma comunque non solo - se alla sua testa, sia pur nella clandestinità, fosse parte almeno della precedente dirigenza statale, con il legittimo presidente Saddam Hussein (sottolineo, legittimo presidente, come legittimo era il governo irakeno, e solo dalle lotte di quel popolo, senza interventi esterni, sarebbe potuta dipendere la sorte di quel presidente e di quel governo: la caccia all'uomo dei selvaggi americani mira all'assassinio del legittimo presidente irakeno, come ha già perpetrato quello dei suoi due figli e del nipotino quattordicenne). Dunque, l'occupazione della coalizione degli aggressori resterebbe la classica occupazione militare solo di fatto (con relativi obblighi internazionali), comunque illecita, a fronte della quale permane una continuità dello Stato - questo, per così dire, in situazione di quiescenza - sulla base della valida contestazione da parte del popolo irakeno, nell'esercizio dell'unica possibile autodeterminazione, quella indipendente dagli occupanti.

Ovviamente, non è dato prevedere l'esito dello scontro, molto difficile per la resistenza: ma certo non sono portatori dell'autodeterminazione i collaborazionisti con gli occupanti, che comprendono persino esponenti di un "partito comunista irakeno" ben singolare: comunisti, le cui attività, sedi, stampa e partecipazione al "consiglio governativo" sono permesse, anzi promosse, dagli occupanti USA, costituiscono una stravaganza storica, nel momento attuale fin troppo leggibile. Partecipare "al consiglio provvisorio per riconsegnare il paese alla democrazia e terminare l'occupazione" (come una delegazione di quel partito ha sostenuto con "Liberazione", 20 luglio), cioè a un organismo creato e delegato dagli americani invasori, vuol dire collaborare con l'occupazione e illudersi e illudere che questa sia avvenuta a fini di beneficenza.

Del resto, paletti ben fermi sono posti dagli occupanti per la costituzione del futuro Stato: democrazia formale, privatizzazioni e mercato, ma entro limiti che impediscano la vittoria di forze sgradite, ed esclusione del Baath che è stato comunque l'artefice della decolonizzazione anche economica dell'Iraq, e fine pertanto dell'avanzatissimo Stato sociale irakeno, con la rapina delle ricchezze naturali da parte delle multinazionali americane, adesso già in opera. Questa non è autodeterminazione, che non può venire delegata e limitata dallo straniero. Si eviti ogni sciocco paragone con la liberazione italiana del 1945: l'Italia fascista era paese imperialista e colonialista che aveva aggredito diversi Stati, l'Iraq proprio con il Baath aveva vinto il colonialismo ed ora vi viene ricacciato, in forma larvata e con l'aiuto di collaborazionisti comunque etichettati, mentre la (solo formalmente) illegittima occupazione del Kuwait era questione esaurita con il ritiro del 1991. Di fronte alla ricolonizzazione imperialista, le forze patriottiche dovrebbero tutte superare le loro divisioni, come indicato da Saddam Hussein con il recente messaggio dalla clandestinità ("Repubblica" del 2 agosto), e schierarsi per l'indipendenza del paese e la cacciata della coalizione di invasori. Ma l'obiettivo è arduo per le divisioni religiose ed etniche, fomentate dall'imperialismo (separatismo kurdo, sciiti "fondamentalisti", inoltre una borghesia urbana soprattutto a Baghdad propensa al collaborazionismo). Si potrebbe persino arrivare alla guerra civile, con vantaggio dell'imperialismo. Tutto ciò dovrebbe far riflettere sui motivi profondi del carattere "autoritario", ma pur sempre laico e progressista in senso reale, del "regime" Baath.

Il grande inganno dell'ultima ora, a fronte della resistenza irakena, è il tentativo di ripristinare un "multilateralismo" con il coinvolgimento anzitutto di NATO e magari di Unione Europea (che non c'entrano niente e solo si assocerebbero all'aggressione), nonché delle N.U.. Per queste gioca il solito equivoco di ritenerle un Superstato, che non sono: l'aggressione e la violazione dell'autodeterminazione non sono sanabili, in quanto vietate da norme inderogabili; le N.U. non hanno per sé poteri sovrani su territori e popolazioni ed ogni intervento loro, e più realisticamente di Stati da esse "autorizzati" (cosa poi possibile in via generale solo entro limiti e su presupposti precisi), può avvenire esclusivamente con il consenso del sovrano legittimo (e per l'Iraq non è) o degli occupanti di fatto, e nel nostro caso illegittimi: in questa seconda ipotesi l'amministrazione "internazionale" (comunque vietata per uno Stato indipendente dall'art. 78 Carta, che ricorda come i rapporti tra membri delle N.U. - tale è anche l'Iraq - sono ispirati al principio di eguaglianza sovrana) erediterebbe le stimmate di non consolidamento e di illiceità e si porrebbe come continuata aggressione contro l'autodeterminazione dell'Iraq e in Iraq e il suo portatore, il popolo attivo nella lotta e in prima linea la resistenza irakena. Ci riferiamo anche alla nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza che alcuni Stati (Francia, Russia, Germania...) si dice auspichino: sarebbe illegittima. Le N.U. dunque non come fonte di legittimità internazionale, bensì, in quanto prescindano dalla condanna dell'aggressione, di ulteriore assoluta illiceità: espressione dunque di "coalizioni internazionali" come all'epoca coloniale, così quella contro la Cina della rivolta dei Boxers nel 1900 o quella contro la Rivoluzione di Ottobre e tante altre, condannate dalla storia e dal diritto.

P.S. Una nota per certi miei ineffabili colleghi giuristi, che pudicamente sorvolano sulla condanna totale dell'aggressione e, per necessaria ma ignorata coerenza, delle sue conseguenze, pur quando considerano non legittima la guerra anglo-americana, e si dilettano a censurare dettagli, quali la pubblicazione delle foto dei figli di Saddam Hussein assassinati dagli americani: insomma, si vuole insegnare il galateo a M. Verdoux senza dare a questo la conveniente qualifica ("Repubblica" del 25 luglio): ma le taglie su dirigenti del "paese nemico" non sono per caso anch'esse contrarie al diritto di guerra? Oppure auspicano l'intervento delle N.U. in soccorso degli occupanti, magari senza sporcarsi le mani in funzione (apparentemente) umanitaria, senza porsi il problema del rapporto con la resistenza: insomma, l'aiuto indiretto agli aggressori in funzione di stabilizzazione contro chi lotta per l'indipendenza ("Messaggero" del 31 luglio). Quando addirittura non si sono agitati per proporre i modi in cui portare a giudizio penale i dirigenti irakeni aggrediti invece che gli aggressori.