La nozione di cittadinanza è considerata una categoria centrale della concezione liberale di democrazia.
Danilo Zolo, ad esempio, afferma che si tratta di una nozione "strategica" per chi voglia studiare il funzionamento delle istituzioni democratiche poiché consente, unendo l'approccio giuridico a quello sociologico, di associare il tema dei diritti soggettivi a quello delle ragioni "pregiuridiche" dell'appartenenza o dell'esclusione dal contesto politico che li garantisce e nel quale si attuano. Permette inoltre, proprio per l'attenzione che rivolge al contesto esperienziale, di analizzare la tensione che esiste tra il livello statuale della tutela dei diritti e quello internazionale, dal quale dipende oggi, in una società sempre più globale, la possibilità di un godimento effettivo degli stessi.
Chi è il cittadino? Egli ci appare immediatamente come colui che appartiene, per discendenza familiare o connessione territoriale, ad un certo Stato nazionale. Può essere distinto dallo "straniero" perché è soggetto alla legislazione del proprio Stato: gode infatti dei diritti in essa stabiliti, e deve adempiere agli obblighi che essa pone. La cittadinanza, cioè, è uno status soggettivo che denota l'appartenenza ad una comunità politica, e ha come conseguenza la titolarità di una serie di diritti, riconosciuti e garantiti dalla comunità medesima.
Dal punto di vista sociologico, lo status di cittadinanza è stato definito da
T.H.Marshall, autore nel 1950 del fondamentale "Cittadinanza e classe sociale", come la "forma di uguaglianza umana fondamentale connessa con il concetto di piena appartenenza ad una comunità", il cui contenuto è dato da una serie di diritti . Il sociologo inglese collega lo sviluppo dei diritti di cittadinanza alle dinamiche della moderna società industriale affermando che l'attribuzione di tale status e dei diritti e doveri ad esso collegati, ha permesso l'integrazione dei ceti sociali emersi con lo sviluppo della società industriale a partire dalla seconda metà del XVIII^ sec. (chiaramente Marshall ha come riferimento principale la realtà britannica). In una costante evoluzione verso l'uguaglianza- che si può leggere come flusso spontaneo o come il risultato di conflitti e rivendicazioni-, il contenuto della cittadinanza si è via via arricchito di nuovi diritti, che Marshall suddivide, concettualmente e cronologicamente, in tre classi: i diritti civili, quelli politici e quelli sociali. Si tratta dunque di un concetto dinamico, risultato di un processo storico di espansione per ciò che riguarda il contenuto (i diritti), nel quale però resta sempre fermo il carattere dell'appartenenza ad una comunità politica.
Qual è questa comunità politica di riferimento? A che cosa si riferisce l'appartenenza? Per rispondere a questa domanda, è necessario collocare la cittadinanza, così come ho provato a delinearla sinora, strutturata sul binomio appartenenza/diritti, nel contesto culturale all'interno del quale fu elaborata. Sebbene taluni qualifichino come cittadinanza, in senso ampio, anche le forme di partecipazione politica nella polis greca o nella società medievale , è solo l'adozione della prospettiva individualistica propria dei Giusnaturalisti, e della fondazione contrattualistica dello Stato moderno, che ci permette di vedere il cittadino come unità costitutiva dello Stato, titolare di diritti che quest'ultimo riconosce e garantisce.
Secondo i Giusnaturalisti, l'uomo è titolare per natura di diritti fondamentali ed inalienabili, e decide di associarsi con altri uomini perché questi diritti siano salvaguardati. In particolare, Locke concepisce lo Stato come il risultato di un patto associativo tra individui liberi ed uguali, che diventano cittadini affinché la struttura frutto del loro accordo permetta la migliore garanzia dei loro diritti fondamentali (la libertà, la sicurezza e la proprietà). L'uomo diventa cittadino, cioè parte di una comunità politica di simili, perché altrimenti i suoi diritti non avrebbero concretezza, non troverebbero attuazione.
La comunità politica di cui stiamo parlando altro non è che lo Stato nazionale.
Emblematica in proposito è la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, del 1789: la coppia uomo e cittadino non è separabile. Il cittadino dispone sì di diritti inalienabili ed assoluti, ma il loro esercizio dipende strettamente dalla legge e quindi dalla nazione sovrana della cui volontà la legge si fa espressione . E' l'appartenenza alla collettività che, di fatto, segna l'identità politica dell'individuo: il cittadino esiste come tale grazie al vincolo primario che lo lega alla nazione.
Nasce peraltro anche una identità collettiva della nazione, insieme di cittadini che condividono una stessa cultura, una stessa lingua, delle stesse leggi, e che perseguono interessi omogenei. La cittadinanza, dunque, nasce con riferimento allo Stato moderno, il quale è stato nazionale, dotato di due caratteristiche fondamentali, la sovranità e la territorialità . Il che implica, tra l'altro, la potestà di emettere comandi giuridicamente vincolanti entro un determinato territorio, all'interno del quale non si pongono entità dotate di un potere maggiore. Dice ad esempio Jurgen Habermas: "Sovrano è soltanto quello Stato che può mantenere all'interno l'ordine pubblico e tutelare all'esterno, de facto, i propri confini" .
E' importante, ai nostri fini, capire se il nesso tra cittadinanza e Stato nazionale sia necessario oppure contingente. Solo nella prima ipotesi, infatti, sarà possibile "adattare" questo concetto alle mutate condizioni strutturali del sistema internazionale ed alla crisi delle tradizionali strutture dello Stato.
In proposito, ci sembra utile la ricostruzione del concetto di "nazione", e del suo intrecciarsi con le vicende dello Stato moderno, operata da Jurgen Habermas .
Il filosofo tedesco parte dall'assunto secondo il quale la forma classica dello Stato nazionale appare oggi "in via di estinzione", e ritiene che per comprendere verso quale direzione ci si sta muovendo, sia necessario chiarire il significato delle categorie di "cittadinanza politica" e "identità nazionale". Il concetto giuridico di "Stato" si riferisce a tre aspetti: dal punto di vista oggettivo, indica la sovranità interna ed esterna del potere statale; dal punto di vista spaziale, indica il territorio su cui tale sovranità viene esercitata; infine, socialmente, indica l'insieme dei soggetti che vi appartengono e che vengono designati come "popolo di Stato". Il popolo è il titolare, entro la sfera territoriale dello Stato, delle situazioni giuridiche soggettive previste dall'ordinamento giuridico. Ora, di norma, nel linguaggio politico, i termini "popolo di Stato" e "nazione" vengono usati come se fossero equivalenti; in realtà, il secondo ha una propria specifica connotazione socio-culturale poichè indica non solo una comunità politica, ma anche una comunità contrassegnata da una specifica identità etnica o quanto meno linguistica, culturale e storica. Inoltre, afferma Habermas, i processi di formazione degli Stati e delle nazioni sono diversi e non sono paralleli: è solo a partire dalla seconda metà del XVIII^ sec. che si intrecciano. Natio è, nel latino classico, un concetto assimilabile a quello di "gens": comunità integrate geograficamente, culturalmente, linguisticamente ma non politicamente, ossia in una forma pubblica di autoorganizzazione. In epoca medievale, natio viene equiparata a "lingua", oppure utilizzata per operare suddivisioni interne ad organismi quali università, ordini cavallereschi..etc..: in ogni caso, conclude Habermas, "l'origine nazionale era attribuita dagli altri e mirava a circoscrivere negativamente ciò che era straniero rispetto a ciò che era proprio" .
Perché, allora, c'è un momento (la Rivoluzione francese) in cui la comunità politica si identifica con la nazione, ed il riconoscimento dei diritti, che pure riguarda sia l'uomo che il cittadino, viene mediato dall'appartenenza alla comunità, e non un a qualsiasi comunità (altrimenti la risposta sarebbe piuttosto ovvia e riguarderebbe, giusnaturalisticamente parlando, il necessario passaggio dallo stato di natura allo stato civile) bensì a quella nazionale ?
Torniamo a Habermas. Egli distingue tra "identità nazionale" e "cittadinanza politica", laddove la prima si riferisce al sentimento di appartenenza etnico-culturale e si fonda quindi sull'omogeneità della discendenza o della "forma di vita", mentre la seconda si riferisce alla comunità politica (lo Stato) come associazione di cittadini liberi ed eguali, che vi aderiscono liberamente ed a prescindere da ogni criterio di ascrizione quale la nascita o la residenza. La cittadinanza politica discenderebbe cioè dalla trasposizione sul piano pubblico dell'autonomia individuale, dando vita ai meccanismi della sovranità popolare, cioè l'auto-legislazione della collettività, che condivide (riconoscendosi in essa) una prassi democratica di partecipazione e comunicazione. Solo così intesa, come prassi collettiva finalizzata all'autodeterminazione, all'interno di una rete di rapporti egualitari di riconoscimento reciproco, la cittadinanza diventa una status soggettivo caratterizzato dalla titolarità di diritti .
Posta tale differenziazione, Habermas sostiene che l'idea di nazione ha fatto da "catalizzatore" all'affermazione di una concezione puramente politica della cittadinanza. Quest'ultima infatti presuppone comunque un buon grado di integrazione sociale, un orizzonte culturale comune tale da alimentare la solidarietà tra persone reciprocamente estranee: perchè si realizzi la trasformazione "da sudditi a cittadini" è necessario un momento forte di integrazione e mobilitazione politica, e questa mobilitazione si è attuata, in Europa, intorno all'idea di nazione . Il comune sentimento di appartenenza nazionale, facendo leva su un complesso di sentimenti potremmo dire ancestrali ed immediatamente cari ad ogni individuo, è servita da formidabile veicolo per la legittimazione del potere statale e per l'integrazione sociale. Non si sarebbe potuto produrre il passaggio dalla sovranità "del principe" alla sovranità popolare senza una forza "motrice e vitale", capace di produrre motivazioni forti, creando un volk, una comunità di cittadini solidali e mutualmente responsabili.
Tanto detto, però, il nesso tra ethnos e demos è, per Habermas, puramente provvisorio e contingente, poichè dal punto di vista concettuale l'aspetto giuridico-politico della cittadinanza deve essere tenuto distinto da quello socio-culturale, sebbene quest'ultimo -come si è visto- abbia avuto un ruolo determinante nel consolidamento del primo.
La cittadinanza dunque, con il suo corredo di diritti, non è un concetto astratto, bensì va necessariamente contestualizzata nella comunità di appartenenza del soggetto, comunità formata da individui legati da rapporti di reciproco riconoscimento e fiducia.
Storicamente questa comunità ha coinciso con l'ethnos, in ragione del carattere immediato e coinvolgente che esso comporta; ma una volta consolidata, accanto alla tradizione "etnica", anche una tradizione democratica di partecipazione e di esercizio dei diritti, nulla vieta di allargare i criteri di ascrizione alla comunità, che però cessa di essere tale nel momento in cui vengono meno la fiducia e la comprensione reciproche tra i suoi membri .
Se è così, allora la cittadinanza potrà svolgere anche in questo momento di crisi dello stato nazionale e di affermazione di uno scenario politico ed economico globale, quel ruolo di promozione dei diritti e di democratizzazione che ha svolto nel momento della formazione dello Stato moderno; occorrerà però riformularla in una maniera adeguata a questo nuovo contesto.
Come si vedrà nel prosieguo del lavoro, l'accennato processo di ridefinizione dei criteri dell'appartenenza si sta lentamente compiendo. Da un lato, le società nazionali vanno facendosi sempre più complesse e disomogenee, soprattutto a causa dell'intensificarsi dei fenomeni migratori e dell'interdipendenza tra le economie dei diversi Stati; dall'altro, proprio la crescente integrazione economica e politica porta alla creazione di entità sovranazionali alle quali vengono devolute alcune prerogative tipiche della sovranità dello Stato.
Ad essere veramente dirompente, però, quale fattore di mutamento, è il processo di emersione di un ordinamento sovranazionale fondato sul diritto internazionale dei diritti umani. Il sistema internazionale di protezione e promozione dei diritti umani, che trova il proprio chiaro fondamento nella Carta delle Nazioni Unite , ha portato ad un profondo cambiamento nella struttura dell'ordinamento e del diritto internazionale.
Da un paradigma interstatuale, nel quale soggetti dell'ordinamento sono i singoli Stati, ciascuno autonomo e sovrano e vincolato solo da obblighi bilaterali o multilaterali liberamente assunti (oltre che da pochi essenziali principi generali), ci si sta muovendo verso un sistema internazionale dotato di valori propri, transnazionali, e di un sistema di obbligazioni non solo reciproche ma (stante il loro carattere fondativo) erga omnes , la cui violazione può essere accertata e sanzionata da ciascun membro della "comunità internazionale", o da apposite istituzioni internazionali attivate non solo da agenti statuali ma anche -ed è questa l'innovazione profondissima- dagli individui.
Non è questa la sede per affrontare la complessa tematica dell'emergente costituzionalismo internazionale.
Interessa alla nostra indagine, però, e lo si riprenderà in seguito, constatare come l'esistenza di una sorta di ordine pubblico transnazionale, che trova la propria legittimazione nel riconoscimento diritti umani fondamentali, e che per sua natura esce dal paradigma interstatuale per conferire forme di soggettività internazionale anche agli individui, venga a minare le basi di una cittadinanza -titolarità di diritti meramente dipendente dall'appartenenza ad una comunità nazionale.
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http://www.stranieri.it sito dell'ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) |