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 pubblicato il 10 marzo 2001

Riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

Principi ispiratori, posizioni attuali, prospettive (1998)
dal sito del Minstero degli Esteri
 
Dalla Mappa del sito è possibile scaricare la proposta italiana in formato .pdf.

Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
Sito Internet - www.studiperlapace.it

 



 

I principi cui dovrebbe ispirarsi la riforma del Consiglio di Sicurezza

1. Il Consiglio di Sicurezza, organo delle Nazioni Unite chiamato a svolgere il ruolo piu’ significativo in difesa della pace e della stabilita’ internazionale, e’ attualmente composto da cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito e Cina) e da dieci non permanenti, eletti per turni biennali non immediatamente rinnovabili.

Dal 1993 e’ in atto un esercizio di revisione del Consiglio, condotto da un Gruppo di lavoro ad hoc, nel contesto di una piu’ vasta riforma delle procedure e dei metodi di lavoro dell’Organizzazione. La riforma, in modo particolare quella dell’organo di governo delle Nazioni Unite, deve tener conto della crescita dei Paesi che ne fanno parte, passati dai 113 del 1963, anno dell’unico ampliamento del Consiglio, ai 185 di oggi. Ma deve anche riflettere le profonde trasformazioni della realta’ internazionale intervenute dalla nascita dell’istituzione. In modo particolare:

- la decolonizzazione, che ha reso indipendenti e sovrani numerosi Stati, soprattutto in Africa;

- il ruolo significativo che alcuni paesi sono venuti assumendo per il raggiungimento degli obiettivi societari;

- la ristrutturazione della famiglia degli Stati, attraverso fenomeni di frammentazione come in Unione Sovietica ed in Jugoslavia;

- nuovi processi di aggregazione a livello continentale (Asia, America Latina) e l’approfondimento di quelli gia’ consolidati (Unione Europea);

- il ruolo crescente delle organizzazioni regionali e la responsabilita’ che esse invocano;

- le attenuazioni di sovranita’ rese necessarie dalla risposta alle sfide globali, come la non proliferazione ed il crimine internazionale, nonche’ la garanzia delle liberta’ fondamentali anche nei confronti del proprio Stato.

2. Secondo il Governo italiano l’ampliamento del CdS dovrebbe avere lo scopo di migliorarne:

    a) il grado di partecipazione, che si misura in modo particolare, anche se non esclusivo, nella presenza in Consiglio di Sicurezza. La sua periodicita’ non puo’ non essere legata al ruolo che ciascun Paese svolge per contribuire a realizzare le finalita’ dell’Organizzazione. D’altro canto e’ difficile accettare emarginazioni permanenti, se si tiene conto che 74 Stati membri non sono mai stati presenti in Consiglio e 46 lo sono stati una sola volta.

    b) la rappresentativita’ geografica, che non puo’ ignorare la ridistribuzione di pesi e responsabilita’, non solo per quanto riguarda i singoli Paesi, ma anche negli equilibri tra aree geografiche, nel contesto della unicita’ di politica ed economia internazionali. Emergono regioni, come in Asia, il cui sviluppo, talvolta precario e tumultuoso, e’ tuttavia una componente significativa della crescita globale. In Africa si delineano un "rinascimento", una ripresa della crescita. La democrazia ha messo in America Latina piu’ solide radici. In Europa alcuni Paesi hanno pienamente recuperato la sovranita’ nazionale e avviato il processo di adesione all’Unione Europea. La composizione del Consiglio di Sicurezza non puo’ non tenere conto di questi nuovi equilibri nei rapporti tra i continenti ed al loro interno.

    c) il carattere democratico, che si misura gia’ dalle procedure di revisione della Carta. Queste debbono essere sostenute da maggioranze larghe, come quella prevista dall’Art. 108 per gli emendamenti allo Statuto. Democraticita’ significa anche attenuazione di una logica elitaria o comunque di posizioni di privilegio, al di la’ di quelle spiegabili storicamente. Lo stesso diritto di veto, pertanto, dovrebbe esser limitato alle materie previste dal capitolo VII dello Statuto (azioni relative alle minacce alla pace, alle violazioni della pace e a atti di aggressione). Esso comunque non dovrebbe essere esteso oltre i membri permanenti che gia’ lo posseggono, con l’auspicio che il non uso lo renda obsoleto. Democraticita’ significa anche che il Consiglio deve essere rappresentativo di una chiara maggioranza della popolazione mondiale e delle risorse conferibili all’Organizzazione.

    d) l’efficienza. Un forte aumento degli Stati membri del Consiglio di Sicurezza rischierebbe di condurre alla sua ingovernabilita’. Certo l’esperienza insegna che la paralisi puo’ intervenire piu’ spesso per l’abuso del diritto di veto che non per la difficolta’ di raggiungere una maggioranza. L’Italia ritiene pertanto che i Paesi membri del Consiglio non dovrebbero essere piu’ di venticinque.

    e) la trasparenza. Il Consiglio di Sicurezza deve assumere maggiormente i connotati di una casa di vetro, con procedure accessibili, leggibili, con un’ampia disseminazione dell’informazione. Questo soprattutto, come ha sostenuto il Governo italiano piu’ volte, attraverso un maggior coinvolgimento degli Stati che non fanno parte del Consiglio. Essi sono da associare ai processi decisionali, attraverso una maggiore informazione e consultazione, specie in questioni che li concernono direttamente.

3. Questi sono i principi, i valori intorno ai quali aggiornare composizione e funzionamento del Consiglio di Sicurezza. La sua riforma deve discendere da questi principi, piu’ che da occasionali alleanze, da pressioni di singoli Stati, da equilibri congiunturali.


 

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Le principali proposte per l’ampliamento del CDS

Fra le numerose proposte presentate nell’ambito dell’esercizio per la riforma del Consiglio di Sicurezza, se ne ricordano qui alcune fra le principali.

La proposta italiana. Essa prevede di lasciare immutati gli attuali cinque membri permanenti ed i dieci non permanenti. Si dovrebbero invece istituire otto-dieci nuovi seggi non permanenti, sui quali dovrebbero ruotare in maniera più frequente (due anni ogni sei) 24-30 Paesi, scelti dall’Assemblea Generale in ciascun gruppo regionale, fra quelli che contribuiscono maggiormente agli obiettivi e alle attivita’ delle Nazioni Unite. Naturalmente, tali 24-30 Paesi non potrebbero piu’ competere per l’elezione sui dieci attuali seggi non permanenti. I Paesi prescelti per la rotazione piu’ frequente, inoltre, sarebbero tenuti ad assumere maggiori responsabilita’ nel finanziamento dell’ONU, fornendo un contributo supplementare al bilancio delle operazioni di pace, pari a meta’ della "surcharge" attualmente dovuta dai membri permanenti.

Lo spirito della proposta italiana e’ stato di recente rilanciato quando il delegato di un importante Paese in via di sviluppo, commentando le formule che prevedono seggi rotativi soltanto per il Terzo Mondo e seggi permanenti veri e propri per i Paesi industrializzati, ha affermato: "se noi dobbiamo ruotare, allora devono ruotare anch’essi (i Paesi industrializzati)". Altrimenti, la discriminazione fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo tra i membri permanenti si aggraverebbe anziche’ attenuarsi.


 

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La formula "2+3 permanenti". Consiste nell’assegnare due seggi permanenti a due Paesi industrializzati (si sono gia’ candidati Germania e Giappone) e tre, sempre permanenti, ad un Paese dell’Africa, uno dell’America Latina-Caraibi e uno dell’Asia. Tale soluzione incontra pero’ due ostacoli maggiori. Innanzitutto, e’ assai improbabile che i Paesi dei tre continenti in questione pervengano a un accordo su quale di essi debba sedere permanentemente in Consiglio, in quanto vi e’ una comprensibile riluttanza a riconoscere a un Paese una sorta di preminenza sull’intero continente. Inoltre, alcuni degli attuali membri permanenti hanno gia’ fatto capire che non acconsentiranno ad accordare, assieme al seggio permanente, anche il diritto di veto ai Paesi in via di sviluppo.


 

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La formula "2 permanenti + 3 permanenti a rotazione". Inizialmente suggerita dalla Norvegia, tale formula prevede che i due Paesi industrializzati ottengano ciascuno un seggio permanente, mentre tre "seggi regionali permanenti a rotazione" verrebbero assegnati a Africa, Asia e America Latina-Caraibi. E’ questa la formula riflessa nelle ultime versioni della proposta dell’ex-Presidente dell’Assemblea Generale, Amb. Razali, nonche’ nella nuova impostazione suggerita, come possibile alternativa, dal Delegato degli Stati Uniti nel luglio 1997. Ed e’ questa, sostanzialmente, la formula alla quale sembrano tuttora mirare i due Paesi industrializzati che aspirano ai seggi permanenti, sotto forma di una "risoluzione-quadro".

In merito a tale impostazione, sono state espresse forti riserve. La formula e’ stata subito definita un "quick fix mascherato" o un "grimaldello" per aprire la porta a due Paesi soltanto. Molti, inoltre, hanno obiettato che l’espressione "seggi regionali permanenti a rotazione" e’ una contraddizione in termini: un seggio o e’ permanente o e’ rotativo. Inoltre, qualora tali seggi non siano dotati del diritto di veto (com’e’ assai probabile vista la riluttanza di alcuni attuali membri permanenti a concedere il veto ai Paesi dell’Asia, Africa e America Latina-Caraibi) essi, in quanto seggi rotativi senza veto, non sarebbero null’altro che dei seggi non permanenti ordinari.

Ma, soprattutto, tale formula produrrebbe il singolare effetto di suddividere i Paesi membri in quattro categorie, in senso del tutto contrario allo spirito dello Statuto dell’ONU, che proclama solennemente l’eguaglianza fra tutti gli Stati.


 

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La proposta principale dei non-Allineati. Suggerisce l’allargamento del CdS da 15 ad almeno 26 seggi, aggiungendovi nuovi seggi permanenti e non permanenti. L’assegnazione dei primi ai Paesi dei continenti meno favoriti e’ volta a riequilibrare almeno in parte il divario esistente, nella categoria dei membri permanenti, fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo.


 

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La proposta subordinata dei non-Allineati. In subordine, ove un accordo per l’aumento dei membri permanenti non risultasse possibile, i non-Allineati sarebbero favorevoli all’aumento - per il momento - dei soli seggi non permanenti. Cio’ avrebbe il vantaggio di riequilibrare se non altro il rapporto fra il numero dei membri del Consiglio di Sicurezza e l’accresciuta "membership" dell’ONU. Inoltre, aumentando i seggi non permanenti disponibili per tutti i gruppi geografici, si faciliterebbe l’accesso di tutti gli Stati membri al Consiglio di Sicurezza.


 

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La proposta messicana. Prevede l’ampliamento del Consiglio da 15 a 20 seggi, mediante l’istituzione di soli 5 nuovi seggi non permanenti, cosi’ suddivisi: 1 per l’Africa, 1 per l’Asia, 1 per l’America Latina e Caraibi, 1 in alternanza biennale fra il Gruppo Occidentale e quello Est-Europeo, ed 1 in alternanza biennale fra Germania e Giappone.


 

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La posizione africana, ribadita al Vertice dei Paesi OUA di Harare del giugno 1997, prevede l’attribuzione all’Africa di almeno due seggi permanenti rotativi, dotati di tutte le prerogative di quelli attuali (incluso il diritto di veto), nonche’ un totale di cinque seggi non permanenti, rispetto ai tre attuali. I Paesi africani stanno attualmente discutendo i meccanismi in base ai quali assicurare la rotazione sui due seggi permanenti da essi auspicati. Cruciale e’ la questione del veto. Come gia’ osservato, tali Paesi ritengono importante che le legittime aspirazioni dell’Africa trovino espressione concreta in seggi permanenti che si pongano su un piano di parita’ con quelli attuali. Essi sostengono che la mancata contemporanea attribuzione ai seggi africani del diritto di veto, vedrebbe attribuiti all’Africa dei semplici "seggi rotativi senza veto", cioe’ null’altro che normali seggi non permanenti.


 

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La posizione dei Paesi arabi. Nel Gruppo di Lavoro "Open-Ended" per la riforma del Consiglio di Sicurezza, i Paesi del Gruppo Arabo hanno presentato nel maggio 1997 una proposta che prevede l’attribuzione ad essi di almeno due seggi non permanenti, nonche’ - qualora vi sia aumento di seggi permanenti - anche di uno di questi ultimi, con tutte le relative prerogative (incluso il diritto di veto). Tale seggio permanente verrebbe fatto ruotare fra tutti gli Stati arabi. Considerato inoltre che all’ONU gli Stati arabi sono suddivisi fra il Gruppo Africano e quello Asiatico, la proposta prevede che tale rotazione venga attuata mediante consultazioni tra i due Gruppi regionali.


 

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Il Governo italiano ritiene che diverse tra le proposte sopra elencate, pur riflettendo uno sforzo apprezzabile per promuovere una riforma del Consiglio di Sicurezza, non tengano conto a sufficienza o comunque lo facciano in modo parziale, dei principi qui indicati. Principi, appunto, la cui osservanza conferisce efficacia e legittimita’ all’azione delle Nazioni Unite. La loro traduzione in regole e procedure richiede dunque una riflessione approfondita, alla quale possa concorrere il numero maggiore possibile di Paesi. Questa esigenza puo’ essere talvolta difficilmente compatibile con la volonta’ di accelerare i tempi dell’esercizio, ignorando regole procedurali che hanno un valore sostanziale e la cui non osservanza pregiudica il contenuto stesso del processo di riforma.


 

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L’aspetto procedurale

Di qui l’importanza cruciale delle procedure di revisione. Nell’ottobre 1997 una ventina di Paesi, tra cui l’Italia, hanno presentato un progetto di risoluzione (L.7) che ribadisce la necessita’ che qualsiasi risoluzione sul Consiglio di Sicurezza implicante emendamenti allo Statuto dell’ONU sia approvata seguendo le procedure dell’Art. 108: con una maggioranza di due terzi degli Stati membri, cioe’ almeno 124 voti. Il progetto di risoluzione, tra l’altro, riprende alla lettera le decisioni adottate a New York il 25 settembre 1997 dai Ministri degli Esteri dei Paesi appartenenti al movimento dei non-Allineati e il 2 ottobre 1997 dai Ministri dei Paesi della Conferenza Islamica.

Un emendamento proposto al progetto di risoluzione tenta di sostituire il paragrafo relativo all’Art. 108 (maggioranza di due terzi degli Stati membri) con un altro, in base al quale una prima "risoluzione quadro" sulla riforma del CdS potra’ essere approvata con una maggioranza di due terzi dei presenti e votanti. I promotori, in sostanza, mirano a far approvare in Assemblea Generale, con una maggioranza inferiore, tale prima risoluzione istitutiva di nuovi seggi permanenti, senza precisare i nomi dei Paesi beneficiari. Considerato che, allorche’ all’ONU vanno in votazione questioni difficili e controverse, numerosi Paesi finiscono con l’astenersi o assentarsi, l’emendamento avrebbe l’effetto di consentire l’approvazione della "risoluzione quadro" anche con soltanto 80-90 voti favorevoli: neppure la meta’ degli Stati membri dell’ONU! Si tratta di una soluzione politicamente e giuridicamente improponibile, per una decisione che incidera’ sull’assetto delle Nazioni Unite e sugli equilibri globali per decenni a venire.

I numerosi Paesi che cosponsorizzano la risoluzione L.7 o ne condividono i contenuti ritengono invece indispensabile che la riforma del Consiglio di Sicurezza sia decisa attenendosi, in ogni fase, a un’ampia maggioranza (perlomeno quella dei due terzi degli Stati membri prescritta dall’Art. 108). E’, questa, una condizione indispensabile affinche’ il Consiglio di Sicurezza riformato presenti il necessario carattere di legittimita’ e di rappresentativita’, condizioni a sua volta di credibilita’ e autorevolezza. Procedure non coerenti e trasparenti finirebbero per alimentare contrapposizioni tra i membri dell’ONU, pregiudicandone il funzionamento stesso per molto tempo a venire.


 

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Prospettive

Gli orientamenti italiani possono essere riassunti nelle linee espresse dal Ministro degli Affari Esteri, On. Lamberto Dini, in numerose occasioni, in particolare per le celebrazioni della giornata delle Nazioni Unite, a Roma, il 29 ottobre 1997. Piu’ volte il Ministro Dini ha sottolineato che la riforma del Consiglio di Sicurezza, che corrisponde a un interesse strategico del Paese, resta una delle priorita’ della politica estera italiana. La proposta del Governo italiano ha cercato di farsi carico delle molte esigenze indicate all’inizio, con una risposta puntuale alle novita’ emerse sulla scena internazionale in questi ultimi anni. Essa e’ commisurata alle maggiori responsabilita’ che alcuni Paesi sono venuti assumendo. Ma non ignora la dimensione paritaria della societa’ internazionale e quindi le aspettative anche dei Paesi minori. Questi potrebbero, sempre secondo il suggerimento italiano, utilizzare in via esclusiva gli attuali dieci seggi elettivi, senza sottoporsi alla competizione di Stati di maggiori dimensioni che, in alcuni gruppi regionali, finiscono per monopolizzare i seggi elettivi.

Da parte italiana si e’ peraltro consapevoli che sarebbe improduttivo arroccarsi su una sola formula. E’ importante che i principi qui richiamati siano rispettati e su questo e’ bene che tutti siano intransigenti. Ma l’Italia e’ aperta a concorrere con altri alla ricerca di un punto di equilibrio, entro tempi ragionevoli, affinche’ l’Organizzazione rispecchi veramente i punti di forza della comunita’ internazionale e ne sia lo strumento di azione piu’ efficace e universale.


 

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